PER LA - Rivista IDEA

tornare, sia pur privo di al -
cune pagine, nel no stro
Pae se acquistato nel
1868 dal conte Gia como
Man zoni di Lugo.
Furono proprio gli eredi di
que st’ultimo a vendere nel
1892 a Sabasnikov, all’ingente
cifra di 30 mila franchi, il codice
in loro possesso i cui fogli mancanti
fu rono acquistati dal russo
a caro prezzo a Vienna e a Parigi.
Piumati poté così assemblare,
stu diare, stampare e restituire al
mondo un’opera che si credeva
non più ricomponibile.
L’originale del “Codice sul volo
degli uccelli” nel 1893 fu donato
da Piumati e Sabasnikov al re
d’Italia Umberto I che in quel
mo mento rappresentava la cultura,
la lingua e il Paese in cui era
nato e aveva operato Leonardo.
E da allora è conservato alla Bi -
blio teca reale di Torino.
Subito dopo, nel 1894, ottenuto
l’incarico per la pubblicazione,
Piumati cominciò a studiare il ce -
lebre “Codice Atlantico”, conservato
alla Biblioteca ambrosiana
di Milano allora retta da A chille
Ratti, il futuro papa Pio XI, con il
quale il braidese strinse rap porti
di salda amicizia.
Dopo 15 anni di lavoro Piumati
aveva praticamente terminato lo
studio del “Codice Atlantico” ed
era pronto alla pubblicazione
quan do improvvisamente gli fu
sottratta la ricerca ormai terminata.
Come ha dimostrato la studiosa
Gabriella Maria Brizio, Piu -
Lanciato
a novembre dalla
Nasa, il laboratorio Curiosity
ospita le copie dell’autoritratto di
Leonardo e del “Codice sul volo
degli uccelli” grazie all’iniziativa
promossa dal Tgr “Leonardo”
della Rai e dall’Agenzia
spaziale italiana
(Asi).
mati fu vittima di una sorda congiura
dell’ambiente accademico,
sempre più geloso dei suoi successi
e della sua fama di più noto
e accreditato leonardista italiano.
Piumati lottò come un leone per
difendere il suo lavoro, ma gli av -
versari ebbero la meglio e do -
vette subire la dolorosa onta di
ve dere attributo ad altri il suo im -
mane lavoro sul “Codice A tlan -
tico” che, infatti, sulla copertina
non riporta il suo nome.
Amareggiato e avvilito, con il
vol to sempre più ossuto, il naso
affilato e la zazzera riccia e indomita
ormai ingrigita, Giovanni
Piu mati si ritirò in provincia di
Torino, nella cittadina di Viù, sua
seconda patria, ove morì, semidimenticato,
nel 1915.
Queste righe vogliono essere un
tributo, minimo certo, ma sentito,
alla memoria di questo grande
figlio del cuneese.