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Il percorso lavorativo delle donne con disabilità - Associazione ...

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[ 78<br />

L’occupazione<br />

[ I rapporti di lavoro: tra realtà e immaginario ]<br />

L’aver trovato un’occupazione non è che il primo passo di un <strong>percorso</strong> più complesso di inserimento<br />

<strong>lavorativo</strong>. Fin dal primo giorno, all’interno del posto di lavoro, le <strong>donne</strong> intervistate<br />

rac<strong>con</strong>tano di una frequente sottovalutazione <strong>delle</strong> proprie capacità, nonché della difficoltà<br />

di rapportarsi <strong>con</strong> un’immagine ormai sedimentata della <strong>disabilità</strong>, che non ri<strong>con</strong>osce al<br />

singolo il diritto di partecipare alla vita sociale in base alle proprie potenzialità e aspettative,<br />

ma classifica le persone in funzione della loro utilità.<br />

Ciò che emerge dalle interviste è la presenza, in ambito <strong>lavorativo</strong>, di un doppio atteggiamento:<br />

da una parte, compassionevole, e dall’altra diffidente, per cui il disabile non viene<br />

valorizzato per quello che è, ma viene <strong>con</strong>siderato o come un povero disgraziato o come uno<br />

che vuole togliere il posto di lavoro agli altri…tanti lo di<strong>con</strong>o apertamente, di<strong>con</strong>o “farebbero<br />

meglio a dargli la pensione e lasciarlo stare a casa”.<br />

<strong>Il</strong> messaggio che più o meno esplicitamente viene trasmesso è di “non ri<strong>con</strong>oscimento”<br />

da parte di colleghi e superiori. La mia <strong>con</strong>dizione di <strong>disabilità</strong> mi faceva percepire da loro<br />

come una che non era in grado di fare l’insegnante. Così come altre intervistate rac<strong>con</strong>tano di<br />

quanto siano basse le aspettative nei loro <strong>con</strong>fronti, indipendentemente dalle <strong>con</strong>oscenze<br />

e competenze acquisite o dall’entusiasmo per l’attività lavorativa. <strong>Il</strong> mio direttore non voleva<br />

farmi fare niente, io facevo qualcosa ma lui non voleva che toccassi niente…mi diceva che<br />

arrivavo troppo presto la mattina.<br />

Accade che i colleghi non si rivolgano direttamente alla persona, come se non esistesse, o<br />

che le parlino per tramite di altri, minando profondamente l’autostima e sminuendo il ruolo<br />

professionale, come rac<strong>con</strong>tano due <strong>delle</strong> <strong>donne</strong> intervistate.<br />

La nuova dirigente non mi ha mai dato fiducia, stavo all’interno della stanza, eravamo in tre,<br />

e si rivolgeva sempre agli altri…io più di una volta sono scoppiata a piangere…aveva questa<br />

cosa di sottovalutarmi. Se<strong>con</strong>do me, lei veramente pensava che io non fossi in grado di poter<br />

fare tante cose.<br />

– Invece di parlare a me si riferiva all’altra assistente, perché era più veloce, era udente…e a me<br />

questa cosa ha dato molto, molto fastidio, perché così si sminuisce la figura professionale, perché<br />

io devo far vedere che anche un sordo può e tu invece trovi un metodo più veloce. Questa per me<br />

è una forma di discriminazione: non credere nelle capacità di una persona sorda.<br />

A volte, la stigmatizzazione e il mancato ri<strong>con</strong>oscimento <strong>delle</strong> proprie potenzialità si traduce,<br />

almeno inizialmente, in una percezione di inadeguatezza e inefficacia <strong>delle</strong> proprie azioni.<br />

Ma, per lo più, dalle storie raccolte emerge la volontà di vedere affermati i propri diritti, di<br />

farcela nonostante le difficoltà prodotte dal <strong>con</strong>testo sociale.

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