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Rivista Slsi 1-4 /2004 - Slsi.It

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Significati della “leggerezza”<br />

nella poesia del Novecento<br />

Nella poesia del Novecento, si legge nel titolo.<br />

Va subito precisato: “poesia italiana del Novecento”,<br />

e non basta. Una rassegna del genere<br />

richiederebbe una ricognizione troppo estesa e dispersiva:<br />

va dunque precisato meglio: “in poeti italiani del<br />

Novecento”. Quali, e perché? La scelta dipende da<br />

quello che si può chiedere a una ricerca di questo genere.<br />

A questo punto della vita, ormai lunga vita di interprete<br />

di poesia, per una pressione del daimon interiore<br />

o per un appello dell’Essere, pongo sempre più<br />

al centro del mio lavoro e delle mie battaglie la poesia<br />

come esperienza spirituale, che è il titolo di uno<br />

scritto di anni lontani, dovuto a una coppia straordinaria,<br />

formata da Jacques e Raïssa Maritain. La leggerezza<br />

molto più che semplice motivo: è una modalità del<br />

nostro senso del mondo. Ed è particolarmente ricco di<br />

possibili aperture a orizzonti spirituali (un aggettivo,<br />

questo, che uso senza alcuna remora, anzi con un po’<br />

di spavalderia). In questo tempo di vita che mi è donato<br />

mi pare giusto volgermi, per quanto posso e so a<br />

temi profondi e irradianti, rifuggendo dall’aborrito minimalismo.<br />

Ecco dunque che la scelta di un tema come<br />

questo è fortemente motivato. Starei per dire necessitato.<br />

Sulla leggerezza, un eccellente punto di partenza ci<br />

viene suggerito da <strong>It</strong>alo Calvino. Nelle postume e giustamente<br />

celebri Lezioni americane lo scrittore offriva<br />

al millennio avvenire, come primo dono-auspicio,<br />

la leggerezza, antidoto “contro la pesantezza, l’inerzia,<br />

l’opacità del mondo”. Nella sua attività di narratore,<br />

Calvino afferma di aver “cercato di togliere peso<br />

ora alle figure, ora ai corpi celesti, ora alle città”, e soprattutto<br />

“di togliere peso alla struttura del racconto e<br />

al linguaggio”.<br />

In certi momenti a Calvino “sembrava che il mondo<br />

stesse diventando tutto di pietra”. Ed era “come se<br />

nessuno potesse sfuggire allo sguardo inesorabile della<br />

Medusa”. Nonostante l’aereo movimento e l’estrosa<br />

freschezza del suo fraseggio, il discorso di Calvino acquista<br />

valore di testimonianza (magari involontariamente)<br />

quasi testamentaria, sia per l’implicita solennità<br />

dell’occasione di messaggio al millennio in arrivo e<br />

di sintetico consuntivo non soltanto letterario del tempo<br />

in cui gli è toccato di vivere, sia anche per il fatto,<br />

Emerico GIACHERY<br />

21<br />

estrinseco ma non per questo meno significativo, che<br />

si tratta di scritti estremi, redatti nell’ultimo tempo di<br />

vita. “Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra<br />

condannato alla pesantezza, penso che vorrei volare<br />

come Perseo in un altro spazio”. Perseo, naturalmente,<br />

contrapposto a Medusa.<br />

Come una sorta di emblema araldico, la figura di Guido<br />

Cavalcanti che nella stupenda novella nona della<br />

sesta giornata del Decameron scavalca le arche di<br />

Santa Reparata “sì come colui che leggerissimo era”, e<br />

si allontana dalla petulante brigata di messer Betto<br />

Brunelleschi, dicendo loro “onestamente villania” con<br />

la sibillina battuta : “Signori, voi mi potete dire a casa<br />

vostra ciò che vi piace”. Vale davvero la pena di rileggere<br />

la postilla di Calvino. “Se volessi scegliere un simbolo<br />

augurale per l’affacciarsi del nuovo millennio sceglierei<br />

questo: l’agile salto improvviso del poeta filosofo<br />

che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando<br />

che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza,<br />

mentre quella che molti credono essere la vitalità<br />

dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e<br />

rombante, appartiene al regno della morte, come un<br />

cimitero d’automobili arrugginite”. Cavalcanti esprime<br />

segni di leggerezza anche come poeta , con tutti i<br />

suoi “spiriti”, con l’invito alla celebre sua ballata di andare<br />

“leggera e piana” sino all’amata, col suo incantarsi<br />

a contemplare la “bianca neve scender senza venti”.<br />

Ma il poeta italiano esemplare per la leggerezza gli<br />

sembra Leopardi, il quale “nel suo ininterrotto ragionamento<br />

sull’insostenibile peso del vivere, dà alla felicità<br />

irraggiungibile immagini di leggerezza: gli uccelli,<br />

una voce femminile che canta da una finestra, la trasparenza<br />

dell’aria, soprattutto la luna. La luna, appena<br />

s’affaccia nei versi dei poeti, ha avuto sempre il potere<br />

di comunicare una sensazione di levità, di sospensione,<br />

di silenzioso e calmo incantesimo”. E aggiunge<br />

che “il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio<br />

ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare”.<br />

L’idea di leggerezza è polisensa, e non sempre<br />

ha valenza positiva. Quella che a me ora interessa varca<br />

i limiti dell’immanentismo di <strong>It</strong>alo Calvino, esprime<br />

un tendere della parola a liberarsi dal suo peso. Ma prima<br />

di varcare l’immanentismo consentiamoci una breve<br />

sosta.

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