Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Ci voleva Clint Eastwood (74 anni) , questa volta<br />
solo alla regia, per firmare un capolavoro asciutto,<br />
essenziale e crudele come Mystic River, tratto<br />
dall’omonimo romanzo di Tennis Lehane e sceneggiato<br />
con articolata perizia dal premio Oscar Brian Helgeland<br />
(L. A. Confidential). Con un impianto classico per<br />
pulizia di immagini, movimento lento della macchina e<br />
grande spazio all’interpretazione, l’amato Clint propone<br />
un thriller, consumato in un modesto quartiere periferico<br />
di Boston, ove si respira la soffocata opportunità dei<br />
grandi spazi, la sommersa voglia di fuggire l’angusta quotidianità.<br />
Il thriller ha tutti gli ingredienti per appassionare,<br />
è teso e fluido insieme e presenta, nel concitato finale,<br />
una doppia verità-realtà. Non domina il concetto di<br />
redenzione, di perdono o di giustizia, ma solo una brutale<br />
legge pessimistica, di marca western, vissuta dal più<br />
forte; ognuno resterà nel suo ruolo: chi nell’innocenza<br />
mancata, che nel selvaggio livore di una tragedia greca.<br />
Da un autore che ci ha regalato film indimenticabili come<br />
Una giornata particolare (1983), La cena (1988) e<br />
Concorrenza sleale (2001) ci aspettavamo con Gente di<br />
Roma un discorso più unitario e coerente. L’opera, dallo<br />
stile documentaristico, vuole coinvolgerci in svariati e<br />
talvolta slegati mosaici di situazioni vissute da figure che<br />
affrescano l’attuale Roma, quella che accoglie moltitudini<br />
di extracomunitari, ma fa vivere in pace greci e turchi,<br />
indiani e pachistani. Roma fa da sfondo con le sue immortali<br />
testimonianze di respiro storico, la città abbraccia<br />
ed accoglie nel suo ventre una variopinta carrellata<br />
di figurine che si colorano, a tratti, di venature antropologiche<br />
e guizzi auto-ironici. Purtroppo l’omaggio alla capitale<br />
di Scola, pur intriso di freschezza sperimentale,<br />
perde d’autorità nello stile e nei collegamenti, inserendo,<br />
in maniera frammentaria e riempitiva, momenti imbarazzanti<br />
per melanconia e degrado umano.<br />
Dogville, l’ultima provocazione colta del regista danese<br />
Lars von Trier è un lavoro di pretta atmosfera teatrale,<br />
sviluppato in un’unica geniale planimetria priva di am-<br />
Film visti<br />
da Gianluigi CAPITANIO<br />
63<br />
bienti divisori, impreziosito da giochi di luce atti ad esaltare<br />
la sofferta e compenetrata fisicità dei volti. L’apparente<br />
democraticità di un minuscolo ed isolato paesino<br />
americano, composto da quindici anime, viene messo a<br />
dura prova dall’improvviso arrivo di una straniera: Grace.<br />
L’avvenente giovane, ricercata dai gangster e dalla<br />
polizia, rappresenta l’ignoto, la destabilizzazione della<br />
quotidianità, l’ansia di una verità che può negativamente<br />
abbattersi come una condanna fatale nel difficile periodo<br />
della Grande Depressione. La terminale metafora<br />
del regista è spiazzante, crudele e vendicativa, ma segna<br />
il lapidario riscatto del più debole.