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guarda a mme [cioè guarda il gesto che io faccio}, tanto<br />
de piatto / de strozzapreti cotti cor suggello”. L’analisi<br />
critica dell’interprete è sempre precisa, convincente,<br />
chiara, penetrante, e tantissimi sono i sonetti esaminati<br />
che attengono ai “Piaceri de la mensa”: Er cardinale<br />
de pasto (vale a dire di buon appetito), Cosa fa<br />
er Papa?, La guittarìa, Quaratatré nnomi de zor<br />
Grostino, e poi ancora, Er paranzo de li Minenti<br />
(Minenti, da eminente: “così chiamansi coloro che vestono<br />
l’abito del volgo romanesco”; La bbona famijja,<br />
“piccolo capolavoro”, lodato da un critico di Belli come<br />
Riccardo Merolla.<br />
Dopo i piaceri mangerecci ben descritti e analizzati del<br />
Carnevale, molto presente nell’opera del poeta romanesco.<br />
Anche da queste pagine risalta la chiarezza e la<br />
perizia critica con cui son messi a fuoco i testi belliani<br />
nei quali il carnevale è presente pure a livello “pienamente<br />
tematico”. Ecco al riguardo alcuni titoli di sonetti.<br />
Er guitto in ner carovale, Er Carovale smascherato,<br />
La maschera, Er Carovale der 37, Le corze<br />
de carovale, L’urtimo ggiorno de carnevale, Le<br />
mascherine pulitucce, L’ordinazzione p’er Carovale.<br />
Il poeta Belli accoglie e ha altri elementi della cultura<br />
carnevalesca: il grottesco, molto frequente, il burattinesco,<br />
al riguardo si rinvia al bellissimo sonetto dal<br />
titolo La pantomima cristiana; ma viene pure citato<br />
l’altro sonetto Er zucchetto der Decàn de Rota: qui la<br />
scansione strutturale riesce a sottolineare, quasi a mimare<br />
i momenti burattineschi, come nel caso di questa<br />
scena di mineserie ecclesiastiche” (p. 54), tratta dal<br />
sonetto che ho citato prima: “‘indegno, indegno’. / E<br />
cquell’altri: ‘Degnissimo, degnissimo’”. Il papa (in questo<br />
caso Gregorio) compare in tantissimi sonetti. Il suo<br />
ritratto è, secondo Gadda, “tra le più stupende e vitali<br />
pitture che i lunghi secoli abbiano mai dedicato a un<br />
sovrano”. Nel Belli il carnevale – come viene ampiamente<br />
mostrato – acquista più di un senso; e c’è anche<br />
un “carnevale della storia” in “una città divenuta soprattutto<br />
spettacolo, come aveva notato Goethe […]”<br />
(p. 56). Il carnevale richiama per antinomia l’esistenza<br />
della quaresima e – come viene osservato – “viene in<br />
mente uno scritto di Pietro Gibellini che s’intitola Il<br />
quaresimale del Belli e che s’incentra nel sonetto famoso<br />
La vita dell’omo” (p. 57).<br />
Non vengono solo analizzati i sonetti più noti ma anche<br />
quelli che non sono stati mai toccati dalla critica e sono<br />
perciò meno noti ma molto importanti e significativi<br />
come Chi ha ffatto ha ffatto che “sembra l’involontario<br />
preannuncio della fine di un mondo” (p. 59). Nel<br />
sonetto il poeta suona la campana a morto sul tempo<br />
carnevalesco. Il sonetto ricordato prima è un piccolo<br />
originale capolavoro e di esso si assapora la sonorità e<br />
i ritmi che sono molto funzionali al senso: “Non pissurta,<br />
Anna mia; semo a lo scorto: / è ggià st’acciaccatelli<br />
pasticcetti/ vanno a ccasa a ordinà li brodi stretti / d’or-<br />
C A R M I N E C H I O D O<br />
56<br />
zo, ranocchie e cicorietta d’orto. / E ccurri, e bballa, e<br />
bbeve, e ffotte, e biascia! Ggià sso’ tutti scottati: ma<br />
stasera/ da la padella caschino a la brascia. / Domani è<br />
la manguardia de le Messe / co la pianeta paonazza e<br />
nera, / domani ar Memento-cchià-ppurvissesse”. Poi<br />
l’attenzione dell’interprete si concentra sui sonetti del<br />
1835: anno di straordinaria creatività per il Belli. Ciò è<br />
sottolineato pure da un altro penetrante studioso del<br />
poeta: Marcello Teodonio. In quell’anno Belli incontra<br />
Amalia Bettini; un anno che comincia (3 gennaio) “con<br />
l’invito a pranzo dalla principessa Zenaide Wolkonski”<br />
(p. 61). Nel salotto della principessa russa quasi certamente<br />
si incontra con Gogol, il quale dopo averlo ascoltato<br />
ne rimase tanto colpito da parlarne, sul battello Civitavecchia-<br />
Marsiglia, a Sainte-Beuve. Lo studioso<br />
chiarisce e analizza nel libro il parlato del commedione<br />
belliano che si incarna tutto in una viva voce recitante.<br />
Si tratta di un parlato che “tende […] al momento della<br />
recitazione ad alta voce per poter assaporare e anche<br />
far risaltare i mutamenti di ritmi sottolinealti dal significante<br />
in sintonia coi successivi acquisti di grado: “Prima<br />
annava ar galoppo, po’ ar passetto, / po’ cianche larghe<br />
e a vita sderenata, / e mmò ppare che balli er minuetto”.<br />
Certe atmosfere belliane ricordano Goldoni, così anche<br />
il dialogato e il parlato del poeta romano richiamano un<br />
altro nome: il poeta Porta: quello della celebre Desagrazzi<br />
de Giovannin Bongee. Ecco il sonetto belliano:<br />
“Chi ssiete? – Un omo. – come vi chiamate? / – Biascio<br />
Chiafò. – Di qual paese siete? / – Romano ca’ e llei.<br />
– Quanti anni avete?– / – So’ entrato in ventina. – Dove<br />
abitate? / – Dietr’a Campo Carneo. – Che arte fate? / –<br />
Gnisuna, che sapp’io. – Come vivete? / – De quer che<br />
Dio me manna. – Lo sapete / perché siete voi qui? – Pe<br />
ttre posate”. Qui va rilevato “il contrappunto sottile fra<br />
l’italiano quasi ‘burocratico’ dell’inquirente e il romanesco<br />
ironicamente protervo e un po’ ‘rugante’, che costituisce<br />
un acqusito tecnico ed espressivo nei confronti”<br />
(p. 74) del Porta e del Pannati.<br />
All’inizio del 1835 Belli compone 334 sonetti nei quali<br />
subito ci è dato incontrare il parlato già nella prima<br />
quindicina di gennaio. Al digrado viene menzionato il<br />
sonetto Li portroni e anche in un sonetto di pochi<br />
giorni dopo, il fenomeno della sottolineatura della nozione<br />
del parlare è più vistoso. Questo sonetto si intitola<br />
Le sciarlette de la commare: “Dico, diteme un po’<br />
ssora commare, / che sset’ita discenno a Mmadalena…”.<br />
Sono pure analizzati altri sonetti come L’arrampichino<br />
(gennaio 1835), La strellata de mamma<br />
(1833) “ Cesare, sscegni ggiù dda la funtana”. Un tal<br />
componimento è stato giudicato da Giorgio Vigolo molto<br />
bello, e che “inaugura la maniera [...] più impersonale<br />
e immediatamente ripresa sul vero” del Belli. Sempre<br />
nel 1835 vede la luce il sonetto dal titolo Er Pupo,<br />
“la cui complessità emerge proprio dalla difficoltà di