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Rivista Slsi 1-4 /2004 - Slsi.It

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Dante Maffia,<br />

La biblioteca d’Alessandria,<br />

Edizioni Lepisma, Roma, <strong>2004</strong>, Euro 7,00.<br />

Dante Maffìa affronta la battaglia forse più difficile che<br />

un poeta dei nostri giorni possa affrontare: riprendere<br />

a tema e quasi a modello la grecità più classica e più<br />

tragica, quella che ebbe nell’incendio della biblioteca<br />

di Alessandria il momento culturalmente più drammatico<br />

(La Biblioteca d’Alessandria, Roma, Lepisma,<br />

2003, pref. di Mario Specchio, pp. 32, euro 7). Nulla di<br />

più facile, su un tema siffatto, che cadere o nella retorica<br />

classicheggiante o nella falsa modernizzazione<br />

dell’argomento: Maffìa esclude l’uno e l’altro pericolo<br />

enunciando quindici “confessioni” (forse una lontana<br />

reminiscenza di Spoon River) che legano indissolubilmente<br />

la sorte di quell’insostituibile monumento culturale<br />

distrutto duemila anni fa dalle fiamme, con le<br />

testimonianze drammatiche di coloro – poeti e scrittori<br />

– che soffrirono per quel tragico evento il danno della<br />

perdita delle loro opere. Tema del tutto nuovo e difficilissimo,<br />

che l’autore ha potuto affrontare rinunciando<br />

sia a ingombranti testimonianze storiche sia a<br />

lacrimevoli lamentazioni. Le “notizie”, le “testimonianze”<br />

in prima persona vengono rese con tali asciutti ma<br />

drammatici accenti da rendere “vere” quelle che dovettero<br />

essere le parole di chi da quell’incredibile<br />

evento subì il maggior danno. Senza una parola di<br />

sciocca retorica o di inutile pianto, le pagine del libretto<br />

di Maffìa scorrono sotto gli occhi del lettore – “Il<br />

mio scaffale nella Biblioteca / era il più fornito…”; “Il<br />

fuoco entrò col pretesto di purificare…”; “Non ha importanza<br />

ormai / che sia stato scrittore…” – come dolenti<br />

e asciutte testimonianze di un fatto che fu oggettivamente<br />

vero duemila anni fa, ma che solo oggi, attraverso<br />

pagine asciutte e dolenti di un poeta di venti<br />

secoli dopo, tornano umanamente attuali; quasi miracolosamente<br />

e credibilmente sottratte all’oblio, nelle<br />

quali l’ovvia falsità storica nulla toglie all’attualità poetica;<br />

e persino – vorremmo dire – alla loro possibile verità<br />

biografica.<br />

* * *<br />

Giuliano MANACORDA<br />

Dopo Lo specchio della mente con cui dava voce<br />

agli esclusi dal dono della ragione, ovvero<br />

agli ospiti di tre manicomi del Sud, penetrando<br />

nelle loro anime oscure e facendo di quel triste quadro<br />

una metafora della condizione del mondo diseredato,<br />

Dante Maffìa torna ad un testo corale con La Bibliote-<br />

R E C E N S I O N I<br />

59<br />

ca d’Alessandria, facendoci rivivere quel leggendario<br />

incendio della colossale biblioteca alessandrina avvenuto<br />

attorno al 300 avanti Cristo, e lo fa “mettendo in<br />

scena”, rendendoli testimoni e insieme protagonisti di<br />

quella immane tragedia, gli scrittori e i poeti che ne furono<br />

vittime: o inseguiti e avvolti dalle fiamme, o andando<br />

volontariamente incontro alla morte, perché<br />

“senza i miei libri niente aveva più senso”. Ecco: proprio<br />

in questo verso si può riassumere il significato di<br />

questi profili esemplari che nascono dall’immaginazione<br />

di Maffìa e che sono come strofe di un breve ma intenso<br />

poema. La vita e la scrittura sono i due valori<br />

messi in gioco dalla presenza violenta della morte. Per<br />

il poeta la scrittura è la vita stessa – ci dice Maffìa – e<br />

per quale dei due è dunque più temibile quel confine?<br />

Così questo leggendario episodio dell’antichità diviene<br />

non soltanto la metafora “della furia devastatrice sempre<br />

in agguato nella vita e nella storia”, come suggerisce<br />

giustamente Mario Specchio nella sua bella prefazione,<br />

ma anche, direi, e forse soprattutto, del destino<br />

del poeta che identifica la vita, la sua vita, nella propria<br />

poesia e che vede per ciò annullarsi, o farsi priva<br />

di significato l’esistenza quando la sua parola non ha<br />

più eco, o tace. Così Maffìa ha adottato lo strumento<br />

del poema drammatico pur essendo un purissimo lirico<br />

(si pensi ai suoi versi d’amore) per dare voce a tutti<br />

gli scrittori che temono che quell’ultimo inevitabile<br />

incendio che li muterà in cenere, possa avvolgere nelle<br />

sue fiamme i loro libri. E allora sarebbe questa la<br />

tremenda verità: “quelli che sono morti sono morti<br />

daccapo”. E diciamo che, come tutti i poeti, anche qui,<br />

per bocca dei suoi fantasmi, Maffìa parla di sé, dei suoi<br />

stati d’animo, delle sue angosce. E rivelando anche le<br />

sue doti di narratore e usando un verso libero che tende,<br />

com’è giusto in questo contesto, ad essere prosastico,<br />

ma non privo di quella musica che connota la sua<br />

poesia; e dove si affacciano, non rari, gli endecasillabi,<br />

ha scritto un libro di struggente suggestione, dove attraverso<br />

la costruzione di personaggi a tutto tondo<br />

(ognuno con la sua specificità, il suo personale rapporto<br />

con la propria opera, il suo carattere, e che per<br />

questo restano indimenticabili nel lettore) fa filtrare la<br />

sua personale poetica che va rintracciata nei versi rivelatori,<br />

e ci dà notizia del suo rapporto con la creatività:<br />

“Prima il nulla, poi una parvenza, poi quel grido /<br />

della forma che si fa inseguire da aquile bianche / immortali<br />

e pretende dedizione totale”. Dunque La Biblioteca<br />

d’Alessandria come specchio dell’ossessione<br />

di chi vuole difendere prima che la vita la sua poesia,<br />

e la difende con la poesia stessa, questa, in cui le aquile<br />

bianche hanno fatto il loro volo più alto, a testimoniarci<br />

della piena maturità espressiva di Maffìa e del<br />

suo innegabile valore.<br />

Luciano LUISI

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