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Rivista Slsi 1-4 /2004 - Slsi.It

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l’utopia, alimentata da un taglio ironico che, fuori delle<br />

facili battute, si sedimentava in equilibrio precario<br />

quanto la stessa esistenza. E la “diversità” di Swift, dei<br />

Viaggi di Gulliver, aveva dapprima prodotto frammentarie<br />

pagine di fantasia problematica affidate all’idea<br />

del Cavastivale, fin quando disperazione ed umorismo<br />

s’erano coagulate nelle facce giustapposte del<br />

medaglione di Una e una notte e l’immaginazione<br />

flaianea aveva proiettato il suo io alla scoperta dell’<br />

“altro”, di una extraterrestrità che tentava di aprire<br />

uno squarcio di insospettabile libertà all’uomo comune;<br />

mentre in Un marziano a Roma rovesciava pessimisticamente<br />

ogni precedente prospettiva, chiamando<br />

fra i tavolini di Via Veneto, cioè nello spaccato di Babilonia<br />

dei viventi in cui andava al momento a ridursi la<br />

metafora del possibile, il galattico Kunt, oggetto di iniziale<br />

stupore e di concitato interesse, presto fagocitato<br />

e messo da parte, reietto nella omologante normalità<br />

dalla rapida assuefazione di un pubblico sempre alla<br />

ricerca del nuovo.<br />

L’insuccesso teatrale del Marziano, che non dette alla<br />

testa all’autore come suonò una boutade falsamente<br />

attribuitagli e che ancora resiste, non lo lasciò però indifferente;<br />

semmai lo indusse a riflettere sulla costrizione<br />

dello scrittore a seguire il flusso, sull’inutilità del<br />

messaggio dirompente, sulla consentaneità implicita<br />

solo all’immagine richiesta dal lettore-consumatore di<br />

essere più astutamente e mondanamente educativo. Si<br />

rassegnò al gioco che lo voleva sapido e faceto, caustico<br />

e pungente ad ogni opportuno momento, perfino a<br />

richiesta, una sorta di microaedo dispensatore della filosofia<br />

dell’immediato fornita a piccole dosi omeopatiche,<br />

le uniche comprensibili; accettò dunque veste ed<br />

aureola dell’epigrammista solforico e la maschera inossidabile<br />

dello scettico, non senza riflettere sul fatto<br />

che la corrosività della satira, il suo grande viatico a<br />

districare il sicuro cammino nel labirinto salottiero più<br />

svilito e avvilente finanche del trito quotidiano non era<br />

del suo presente. Così, da “Ennius Flaianus” continuò<br />

a sminuzzare un suo verbo che vedeva apprezzato ma<br />

sapeva al fondo incomprensibile: "Io forse non ero di<br />

quest’epoca – avrebbe sinceramente dichiarato in una<br />

tarda intervista - . Forse appartengo ad un altro mondo:<br />

io mi sento in armonia quando leggo Giovenale,<br />

Marziale, Catullo. È probabile che io sia un antico romano<br />

che sta qui ancora, dimenticato dalla storia, a<br />

scrivere cose che altri hanno scritto molto meglio di<br />

me: cioè, ripeto, Catullo, Marziale, Giovenale".<br />

In questo modo Flaiano sceglieva, alla maniera dei modelli<br />

indicati, di diventare uno scrittore postumo, inconsapevolmente;<br />

questo perché l’insegnamento dei<br />

grandi moralisti arriva sempre in ritardo generazionale.<br />

Intanto, l’attività della scrittura si sforzava di dispiegarsi<br />

progettualmente, in un impegno vano di organizzazione<br />

sistematica minacciata dalle accettate com-<br />

G I U S E P P E P A P P O N E T T I<br />

53<br />

mittenze del mestiere, e di riscalettare i molti tasselli<br />

esitati in disparate sedi giornalistiche, difficili comunque<br />

da calamitare dalla loro generosa dispersività in<br />

chi, per habitus pluriennale e quindi impossibile da<br />

dismettere, tirava la giornata senza vere pause di concentrazione<br />

riflessiva, variegata e impigrita nei mille<br />

rivoli delle occasioni. Eppure, se una garbata parabola<br />

cinematografica come Fantasmi a Roma lanciava con<br />

finezza elegiaca il monito a non stravolgere la minuta<br />

e sedimentata storia degli uomini, le memorie e gli affetti<br />

che i luoghi rispettati dal tempo sapevano ancora<br />

positivamente trattenere, l’accelerazione mutevole dei<br />

costumi e dei gusti portarono Flaiano ad altri testi di<br />

maggior respiro narrativo che s’incentravano sul fondato<br />

concetto della metamorfosi, della vita che cambiava<br />

pelle attraverso meccanismi dallo scatto imponderabile<br />

nella loro impudica oscillazione fra il ludico e<br />

l’atroce; Il gioco e il massacro testimoniava allora una<br />

sperimentata "stanchezza e insignificanza della realtà,<br />

in un crepuscolo della credibilità generale", giacché il<br />

reale aveva finito per superare in fantasia del vizio anche<br />

la satira.<br />

E la scrittura continuamente interrotta di Flaiano non<br />

ebbe quindi altri punti di riferimento che l’eliminazione<br />

dell’approdo, scorrendo e sfaldandosi di pari passo<br />

col mutamento di superficie delle forme, quando gli<br />

anni, in sintonia con l’amato Gadda, non poterono che<br />

apparirgli quasi una sorte di “rutto enorme”, improntati<br />

com’erano al "molto rumore per tutto" (e ne è oggi<br />

riprova la riproposta del coacervo di inediti in arbitrario<br />

assetto di volumi, che ci sottopongono un Flaiano<br />

“impossibile”, se non nella facoltà arbitraria di cogliere<br />

a scelta qualche scheggia particolarmente ficcante<br />

di una galassia sempre viva ma quasi impazzita).<br />

Al fondo, però, resisteva l’antica esigenza dell’individuazione<br />

ferma, di una scelta netta capace di fermare<br />

il remissivo abbandonarsi alla corrente; stava lì a ricordarglielo<br />

il collega Marziale, forte del suo ritorno in<br />

provincia, nella nativa Bilbilis. Pur fermamente convinto<br />

dell’impossibilità di una tale soluzione ("Perché a<br />

una certa età è difficile tornare, anzi restare dopo esservi<br />

tornato, nel paese natale"), Flaiano ebbe modo di<br />

fare il punto sulla sua abruzzesità, guardandovi orgogliosamente<br />

in ottica di privilegio, rivendicando da essa<br />

la qualità della tolleranza, della pietà cristiana, dell’umore<br />

benevolente e della franchezza nelle amicizie;<br />

indicando tra i dati negativi il sentimento della vanità<br />

del tutto e la conseguente rassegnazione a una diconseguente<br />

rassegnazione a una disarmante accettazione<br />

della vita in quanto preludio alla morte. Nel Dialogo<br />

per provare una penna nuova, non poteva che augurarsi<br />

di andare anch’egli "sulla collina dirimpetto al<br />

mare"; così purtroppo non è stato per chi dell’Abruzzo<br />

diceva di conoscere poco, quel poco che aveva nel sangue:<br />

ma era il tutto.

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