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l’utopia, alimentata da un taglio ironico che, fuori delle<br />
facili battute, si sedimentava in equilibrio precario<br />
quanto la stessa esistenza. E la “diversità” di Swift, dei<br />
Viaggi di Gulliver, aveva dapprima prodotto frammentarie<br />
pagine di fantasia problematica affidate all’idea<br />
del Cavastivale, fin quando disperazione ed umorismo<br />
s’erano coagulate nelle facce giustapposte del<br />
medaglione di Una e una notte e l’immaginazione<br />
flaianea aveva proiettato il suo io alla scoperta dell’<br />
“altro”, di una extraterrestrità che tentava di aprire<br />
uno squarcio di insospettabile libertà all’uomo comune;<br />
mentre in Un marziano a Roma rovesciava pessimisticamente<br />
ogni precedente prospettiva, chiamando<br />
fra i tavolini di Via Veneto, cioè nello spaccato di Babilonia<br />
dei viventi in cui andava al momento a ridursi la<br />
metafora del possibile, il galattico Kunt, oggetto di iniziale<br />
stupore e di concitato interesse, presto fagocitato<br />
e messo da parte, reietto nella omologante normalità<br />
dalla rapida assuefazione di un pubblico sempre alla<br />
ricerca del nuovo.<br />
L’insuccesso teatrale del Marziano, che non dette alla<br />
testa all’autore come suonò una boutade falsamente<br />
attribuitagli e che ancora resiste, non lo lasciò però indifferente;<br />
semmai lo indusse a riflettere sulla costrizione<br />
dello scrittore a seguire il flusso, sull’inutilità del<br />
messaggio dirompente, sulla consentaneità implicita<br />
solo all’immagine richiesta dal lettore-consumatore di<br />
essere più astutamente e mondanamente educativo. Si<br />
rassegnò al gioco che lo voleva sapido e faceto, caustico<br />
e pungente ad ogni opportuno momento, perfino a<br />
richiesta, una sorta di microaedo dispensatore della filosofia<br />
dell’immediato fornita a piccole dosi omeopatiche,<br />
le uniche comprensibili; accettò dunque veste ed<br />
aureola dell’epigrammista solforico e la maschera inossidabile<br />
dello scettico, non senza riflettere sul fatto<br />
che la corrosività della satira, il suo grande viatico a<br />
districare il sicuro cammino nel labirinto salottiero più<br />
svilito e avvilente finanche del trito quotidiano non era<br />
del suo presente. Così, da “Ennius Flaianus” continuò<br />
a sminuzzare un suo verbo che vedeva apprezzato ma<br />
sapeva al fondo incomprensibile: "Io forse non ero di<br />
quest’epoca – avrebbe sinceramente dichiarato in una<br />
tarda intervista - . Forse appartengo ad un altro mondo:<br />
io mi sento in armonia quando leggo Giovenale,<br />
Marziale, Catullo. È probabile che io sia un antico romano<br />
che sta qui ancora, dimenticato dalla storia, a<br />
scrivere cose che altri hanno scritto molto meglio di<br />
me: cioè, ripeto, Catullo, Marziale, Giovenale".<br />
In questo modo Flaiano sceglieva, alla maniera dei modelli<br />
indicati, di diventare uno scrittore postumo, inconsapevolmente;<br />
questo perché l’insegnamento dei<br />
grandi moralisti arriva sempre in ritardo generazionale.<br />
Intanto, l’attività della scrittura si sforzava di dispiegarsi<br />
progettualmente, in un impegno vano di organizzazione<br />
sistematica minacciata dalle accettate com-<br />
G I U S E P P E P A P P O N E T T I<br />
53<br />
mittenze del mestiere, e di riscalettare i molti tasselli<br />
esitati in disparate sedi giornalistiche, difficili comunque<br />
da calamitare dalla loro generosa dispersività in<br />
chi, per habitus pluriennale e quindi impossibile da<br />
dismettere, tirava la giornata senza vere pause di concentrazione<br />
riflessiva, variegata e impigrita nei mille<br />
rivoli delle occasioni. Eppure, se una garbata parabola<br />
cinematografica come Fantasmi a Roma lanciava con<br />
finezza elegiaca il monito a non stravolgere la minuta<br />
e sedimentata storia degli uomini, le memorie e gli affetti<br />
che i luoghi rispettati dal tempo sapevano ancora<br />
positivamente trattenere, l’accelerazione mutevole dei<br />
costumi e dei gusti portarono Flaiano ad altri testi di<br />
maggior respiro narrativo che s’incentravano sul fondato<br />
concetto della metamorfosi, della vita che cambiava<br />
pelle attraverso meccanismi dallo scatto imponderabile<br />
nella loro impudica oscillazione fra il ludico e<br />
l’atroce; Il gioco e il massacro testimoniava allora una<br />
sperimentata "stanchezza e insignificanza della realtà,<br />
in un crepuscolo della credibilità generale", giacché il<br />
reale aveva finito per superare in fantasia del vizio anche<br />
la satira.<br />
E la scrittura continuamente interrotta di Flaiano non<br />
ebbe quindi altri punti di riferimento che l’eliminazione<br />
dell’approdo, scorrendo e sfaldandosi di pari passo<br />
col mutamento di superficie delle forme, quando gli<br />
anni, in sintonia con l’amato Gadda, non poterono che<br />
apparirgli quasi una sorte di “rutto enorme”, improntati<br />
com’erano al "molto rumore per tutto" (e ne è oggi<br />
riprova la riproposta del coacervo di inediti in arbitrario<br />
assetto di volumi, che ci sottopongono un Flaiano<br />
“impossibile”, se non nella facoltà arbitraria di cogliere<br />
a scelta qualche scheggia particolarmente ficcante<br />
di una galassia sempre viva ma quasi impazzita).<br />
Al fondo, però, resisteva l’antica esigenza dell’individuazione<br />
ferma, di una scelta netta capace di fermare<br />
il remissivo abbandonarsi alla corrente; stava lì a ricordarglielo<br />
il collega Marziale, forte del suo ritorno in<br />
provincia, nella nativa Bilbilis. Pur fermamente convinto<br />
dell’impossibilità di una tale soluzione ("Perché a<br />
una certa età è difficile tornare, anzi restare dopo esservi<br />
tornato, nel paese natale"), Flaiano ebbe modo di<br />
fare il punto sulla sua abruzzesità, guardandovi orgogliosamente<br />
in ottica di privilegio, rivendicando da essa<br />
la qualità della tolleranza, della pietà cristiana, dell’umore<br />
benevolente e della franchezza nelle amicizie;<br />
indicando tra i dati negativi il sentimento della vanità<br />
del tutto e la conseguente rassegnazione a una diconseguente<br />
rassegnazione a una disarmante accettazione<br />
della vita in quanto preludio alla morte. Nel Dialogo<br />
per provare una penna nuova, non poteva che augurarsi<br />
di andare anch’egli "sulla collina dirimpetto al<br />
mare"; così purtroppo non è stato per chi dell’Abruzzo<br />
diceva di conoscere poco, quel poco che aveva nel sangue:<br />
ma era il tutto.