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Rivista Slsi 1-4 /2004 - Slsi.It

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un’adeguata lettura ad alta voce” (p. 85). In questo sonetto<br />

l’arte del concertare fa una delle prove più armoniche.<br />

Ancora viene analizzato un altro significativo sonetto<br />

dal titolo Le smammate “che rappresenta una<br />

novità, che verrà recepita dalla tradizione dialettale<br />

successiva” (p. 87).<br />

Veramente nel 1835 molti sono i sonetti che offrono<br />

esempi di dialogato vero e proprio e di essi lo studioso<br />

esamina solo alcuni, quelli più significativi. In sostanza<br />

la tecnica, la vecchia “tecnica realistico-giocosa del sonetto<br />

dialogato è portata da Belli a livelli di somma<br />

maestria, e naturalmente viene imitata dagli epigoni,<br />

come Augusto Marini (1838-1837) o Filippo Chiappino”<br />

(p. 89). In certi sonetti si ha il dialogato attraverso<br />

finestre, cortili e vicoli, che richiama uno “spazio di vita”<br />

domestico e popolare, “saporosamente quotidiano,<br />

e ricorda il più vivace Goldoni e la sua grande scoperta<br />

dell’aver saputo trarre poesia dall’umile conversare e<br />

dai camuffati della vita d’ognigiorno” (pp. 89-90). Ecco<br />

il sonetto Le chiamate dell’appiggionante: “‘Sora Sabella<br />

/ affacciateve un po’ su la loggetta’. / ‘Eccheme:<br />

chevvolete, sora Bbetta?’ / ‘Riavete una piluccia mezz’anella?’”.<br />

Se ne potrebbero citare altri: L’affari da la<br />

finestra, Li pericoli der temporale, Le lettanie de<br />

Nnarella, “banco di prova per chi recita a voce alta”<br />

(p. 93).<br />

L’interprete leggendo e rileggendo s’accorge di sonetti<br />

importanti che prima non lo avevano attirato, o che gli<br />

erano caduti del tutto dalla memoria. Ora l’analisi mira<br />

a focalizzare convergenze di altri sonetti intorno a uno<br />

solo: La Tirnità de’ Pellegrini ma son pure esaminati<br />

altri: La carità ccristiana, Li frati, La Nunziata, La<br />

bbonifiscenza, Era Papa ner giuveddi ssanto, Bizzoco<br />

farzo. Giachery ci fa vedere come vanno letti i sonetti<br />

belliani, assaporati e indagati nei loro aspetti e alla<br />

luce della più qualificata critica su Belli. Difatti “una<br />

giusta lettura ad alta voce ha da essere molto aderente<br />

e attenta al significante: ciò che gli attori, non di rado<br />

pessimi lettori di testi poetici, spesso dimenticano, presi<br />

come sono dall’idea del declamare o drammatizzare”<br />

(p. 110). con la voce, a volte calda e calma, si assapora,<br />

e si fa assaporare all’ascoltatore, quella che è la corposità<br />

fonica degli appellativi che la bella cadenza<br />

aperta della vecchia parlata romanesca sottolinea.<br />

Per ritornare al sonetto dei pellegrini è da dire ora che<br />

sono rappresentati nell’immediatezza del loro arrivare<br />

(e del loro “disturbare”, secondo il modo con cui Belli<br />

stesso traduce e insieme attenua nella nota a piè di pagina<br />

quel “roppo li cojjoni”): “e ppena entrano a Roma<br />

calli-calli / co le lòro mozzette e li sbordoni, / ’gna alloggialli,<br />

sfamalli, sciaquettalli, / come fùssino lòro li<br />

padroni”. Non può certo meravigliare, in un poeta come<br />

Belli molto attento alla vita quotidiana della sua Roma,<br />

se si trovano molte carrozze, e anche i cocchieri:<br />

“Stavo pe tterra a piagne a vvita mozza, / quanno c’una<br />

C A R M I N E C H I O D O<br />

57<br />

carrozza da siggnore / me passò accanto a ppasso de<br />

bbarrozza. / ‘Ferma’, strillò ar cucchiero un zervitore; /<br />

ma un voscino ch’esscì da la carrozza/ Je disse: ‘Avanti,<br />

alò; cchi mmore more’”. Il sonetto si intitola Chi vva la<br />

notte va a la morte.<br />

Qui c’è appunto l’indimenticabile scena notturna<br />

(“cquell’infernu aperto de nottata”) e di mancato soccorso<br />

al povero diavolo di padrone infortunato per una<br />

grave caduta e piangente. Per il Vigolo questo sonetto<br />

è “indicativo della indefettibile continuità della satira<br />

belliana contro la mancanza di carità e l’ingiustizia sociale”.<br />

C’è in questo testo “una certa aria pariniana”<br />

(sempre Vigolo); si può pensare a un Belli “pariniano”.<br />

Si può richiamare – e già lo ha fatto Marcello Teodonio<br />

– La caduta. “Pariniano” in senso molto più sottile e<br />

profondo, nell’accogliere e sviluppare certe “scoperte”<br />

umane, esperienzali, di Parini acquisite alla coscienza<br />

culturale italiana. Perché – e lo confermerebbe una voce<br />

particolarmente autorevole in campo epistemologico,<br />

quella di Karl Popper – anche gli scrittori e gli artisti<br />

come gli uomini di scienze, offrono alla collettività<br />

“scoperte” o magari rivelazioni di esperienza umana e<br />

tecnica destinate a durare e a fecondarsi e trasformarsi<br />

(p. 118). In tal senso si può parlare di un Belli “pariniano”<br />

(per esempio, anche nel sonetto Er poverello<br />

de malagrazzia). Certamente le esperienze “lombarde”,<br />

pariano-manzoniane, oltre che parianiane, lo hanno<br />

interessato: non modelli, ma stimoli. Quei “mascalzoni<br />

erranti” del sonetto La carrozza del ricco potrebbero<br />

ricordare le “spalle di mascalzone” dell’episodio<br />

di Padre Cristoforo in casa di Don Rodrigo. E ancora<br />

il potente scorcio finale della Tirnità de’ Pellegrini<br />

richiama “piuttosto a una specie di ‘adantismo’ di questo<br />

poeta che tanto amò e lesse Alighieri, che lasciò così<br />

copiosi Appunti su Dante” (p. 119).<br />

Accanto agli autori prima citati per il Belli va fatto anche<br />

il nome di Verga. Verga e Belli. L’interprete prende<br />

le mosse da “un acuto scritto di Pietro Gibellini, Notizie<br />

su Belli e Verga” per alcune riflessioni e postille. Verga<br />

conosceva Belli come si deduce da un passo epistolare<br />

indicato da Gibellini. Giachery mette a fuoco affinità fra<br />

i due scrittori che sono profonde e sostanziali, “che hanno<br />

offerto occasioni di scavo critico agli studiosi sia dell’uno<br />

sia dell’altro” (p. 125). Belli e Verga sono “per così<br />

dire due scrittori-Antei, che trovano autenticità e<br />

grandezza nel contatto profondo, vitale con la propria<br />

terra, sia essa Roma papale nel suo scialbo declino (con<br />

qualche raro e splendido excursus nella campagna romana,<br />

come nel caso di quel capolavoro che è il sonetto<br />

Er deserto), sia una limitata zona di Sicilia orientale tra<br />

campagna e mare. Entrambi formatisi in aree marginali<br />

e in contesti culturali antiquati, scoprono la propria più<br />

autentica vocazione dopo una presa di distanza nei confronti<br />

della città natale, e un avvicinamento all’Europa<br />

attraverso la ‘porta’ rappresentata da Milano” (p. 127).

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