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Rivista Slsi 1-4 /2004 - Slsi.It

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i profeti. Un tempo la spinta a scrivere aveva un nome<br />

e cioè "ispirazione" e si credeva che le voci che dettavano<br />

la scrittura non si sapeva da dove arrivassero ma<br />

se ne conosceva il nome, le Muse. Una di loro, è la dea<br />

che viene invocata da Omero nel primo verso del primo<br />

poeta occidentale. Questa dea non spinge solo a<br />

cantare, ma canta lei stessa poiché è voce nel senso<br />

più pieno. Così, il più antico poeta occidentale annota,<br />

rammemora, riferisce, ma è anche cieco perché deve<br />

innanzitutto ascoltare e ricordare.<br />

Viene, a questo punto, in mente la splendida raccolta<br />

poetica di Vittorio Vettori che è Eleusis. Il libro delle<br />

chimere, dove c’è un singolare prologo dello stesso<br />

Vettori e che a nostro avviso è importante per intendere<br />

tutta la produzione poetica dello scrittore. Anche<br />

Vettori evoca le Muse e che lui, simbolicamente, riduce<br />

a tre rispetto alle nove della tradizione: Mneme, la<br />

chimera delle sorgenti, ossia del ricordo, ma che recupera<br />

l’origine; Melete, la chimera della pienezza, ossia<br />

del confronto quotidiano sul proprio destino di poeta<br />

che deve passare dall’io al noi; Archè, la chimera dialogante<br />

del sogno che sa indirizzare "l’anima della<br />

scrittura sui sentieri avventurosi dell’Oltre". Nell’ascoltare<br />

e ricordare queste sue tre Muse segrete Vittorio<br />

Vettori scopre, a un certo punto, come Ulisse nell’antro<br />

del Ciclope, che il suo nome e Nessuno. Non ha<br />

volto e non ha nome. Si sente soltanto un pellegrino<br />

del sogno "sulla strada lunga delle amate Chimere ‘elusine’",<br />

soltanto un passo che fatica e cammina verso<br />

Eleusis, verso cioè il "nonluogo che fa da sfondo alla<br />

speranza e in cui si raccoglie tutta la gloria della catastrofe<br />

e del naufragio".<br />

E per intendere in tutto il suo spessore la scrittura di<br />

Vittorio Vettori, fatta di ascolto e di ricordo, bisogna<br />

aprire le pagine di uno straordinario suo libro che è<br />

Sulla via dell’Arcangelo (Franco Cesati Editore, Firenze<br />

1993), dedicato idealmente alla "vivente memoria<br />

di Piero Graverini, il Bersagliere, / aretino di stampo<br />

etrusco romano / valoroso avvocato e uomo di cuore<br />

/ soldato generosamente europeo e planetario / di<br />

una nuovissima <strong>It</strong>alia ancora tutta da fare", ma in cui la<br />

vicenda personale con quella che un giorno diventerà<br />

sua moglie, e cioè Ruth Càrdenas, si intreccia misteriosamente,<br />

con la riflessione drammatica di Carlo Michelstaedter.<br />

Un libro teso, intenso, e vibrante di<br />

ascolto e di ricordi, ma di cui non bisogna dimenticare<br />

l’incipit: "Vecchiaia solitudine smarrimento: la sensazione<br />

del declino è così intensa e così conturbante da<br />

indurmi in uno stato di angoscia che rischia o minaccia<br />

di farsi permanente cioè cronico ossia patologico<br />

[…] all’Amarissimo chedo dunque di guarirmi per via<br />

omeopatica dalla mia amarezza, esasperandola e così<br />

liquidandola secondo la vocazione ontologicamente<br />

naturale della scrittura che è quella di assecondare<br />

l’Avversario per trasformarlo e di accarezzare i nodi<br />

C A R M E L O M E Z Z A S A L M A<br />

33<br />

per scioglierli" (p. 99). Si tratta, dunque, ancora una<br />

volta, di una scelta tra la persuasione e la retorica, la<br />

verità e la menzogna, ma sempre legata alla scrittura<br />

letteraria.<br />

Di fatto, nella Firenze degli anni Venti e Trenta, "città<br />

sopra il monte", come la chiamava Giorgio La Pira, e<br />

dove si formarono esperienze letterarie ad altre temperatura<br />

antropologica e civile, la letteratura era un<br />

fatto centrale nella vita di molte esistenze di giovani<br />

ansiosi di dare alla loro vita un nobile significato. Forse<br />

la letteratura doveva guadagnarsi questo spazio, ma<br />

in ogni caso aveva un ruolo molto alto perché, come ricordava<br />

Geno Pampaloni, credere nella letteratura<br />

aveva a quel tempo un significato quasi salvifico: "Letteratura<br />

come vita – scriveva proprio Pampaloni – la<br />

scoprimmo prima che Carlo Bo ne chiarisse il senso e<br />

le ragioni. Era la nostra certezza, o addirittura la nostra<br />

identità. Le affidavamo il fondamento del nostro<br />

destino. La letteratura era, detto brevemente, il nostro<br />

remedium solitudinis. Con una duplice ricchezza:<br />

che ci spingeva alla solitudine, e ci salvava dalla solitudine".<br />

Anche Vittorio Vettori appartiene per temperamento<br />

ed affinità a questa temperie culturale e, dunque,<br />

questa parte del suo itinerario che è rappresentato<br />

da Sulla via dell’Arcangelo, tra amore e verità, testimonia<br />

che egli è stato sempre fedele alla scrittura<br />

come vita e lo dichiara lui stesso, a un certo punto del<br />

libro, citando Diego Fabbri e la sua preghiera: "In principio<br />

era il verbo, e il Verbo si è fatto carne. Vi dico che<br />

di ogni parola vana detta gli uomini daranno conto nel<br />

giorno del giudizio, poiché dalle tue parole sarai giustificato<br />

e dalle tue parole sarai condannato" (p. 95).<br />

Aveva, dunque, ragione ancora una volta, Maria Zambiano<br />

allorché definiva il vero scrittore colui che grida<br />

solitario al cielo, colui che si arrischia perché gli è stato<br />

ordinato di dare espressione, nella forma più indelebile<br />

possibile, a ciò che grida verso il cielo. La solitudine<br />

o la vittoria della solitudine che è l’amore. E pensando<br />

alle molte pagine che hanno segnato il destino<br />

di Vittorio Vettori e che egli ha consegnato alla nostra<br />

attenzione e solidarietà, non possiamo proprio fare a<br />

meno di citare questo pensiero della Zambiano: "Colui<br />

che deve scrivere rompendo il silenzio, cercando, se<br />

non altre creature, il cielo, i mari, gli elementi tra cui<br />

va, confuso ma fiducioso, senza bussola. Forse gli elementi,<br />

ch sono tutto quanto gli è rimasto, ascolteranno,<br />

loro sì, il suo canto, il suo gemito, il suo grido" .<br />

Proprio pensando al Novecento, Vittorio Vettori ha<br />

fatto sentire il suo gemito attraverso la pubblicazione<br />

complessiva di tre suoi romanzi che portano il titolo<br />

Destini e segreti e che raccoglie davvero il meglio<br />

della narrativa di Vittorio Vettori e cioè tre romanzi<br />

L’amico del Machia (1973), L’Oro dei vinti (1983),<br />

e, appunto, Sulla via dell’Arcangelo (1993). Tre romanzi<br />

che vogliono racchiudere, emblematicamente, il

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