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i profeti. Un tempo la spinta a scrivere aveva un nome<br />
e cioè "ispirazione" e si credeva che le voci che dettavano<br />
la scrittura non si sapeva da dove arrivassero ma<br />
se ne conosceva il nome, le Muse. Una di loro, è la dea<br />
che viene invocata da Omero nel primo verso del primo<br />
poeta occidentale. Questa dea non spinge solo a<br />
cantare, ma canta lei stessa poiché è voce nel senso<br />
più pieno. Così, il più antico poeta occidentale annota,<br />
rammemora, riferisce, ma è anche cieco perché deve<br />
innanzitutto ascoltare e ricordare.<br />
Viene, a questo punto, in mente la splendida raccolta<br />
poetica di Vittorio Vettori che è Eleusis. Il libro delle<br />
chimere, dove c’è un singolare prologo dello stesso<br />
Vettori e che a nostro avviso è importante per intendere<br />
tutta la produzione poetica dello scrittore. Anche<br />
Vettori evoca le Muse e che lui, simbolicamente, riduce<br />
a tre rispetto alle nove della tradizione: Mneme, la<br />
chimera delle sorgenti, ossia del ricordo, ma che recupera<br />
l’origine; Melete, la chimera della pienezza, ossia<br />
del confronto quotidiano sul proprio destino di poeta<br />
che deve passare dall’io al noi; Archè, la chimera dialogante<br />
del sogno che sa indirizzare "l’anima della<br />
scrittura sui sentieri avventurosi dell’Oltre". Nell’ascoltare<br />
e ricordare queste sue tre Muse segrete Vittorio<br />
Vettori scopre, a un certo punto, come Ulisse nell’antro<br />
del Ciclope, che il suo nome e Nessuno. Non ha<br />
volto e non ha nome. Si sente soltanto un pellegrino<br />
del sogno "sulla strada lunga delle amate Chimere ‘elusine’",<br />
soltanto un passo che fatica e cammina verso<br />
Eleusis, verso cioè il "nonluogo che fa da sfondo alla<br />
speranza e in cui si raccoglie tutta la gloria della catastrofe<br />
e del naufragio".<br />
E per intendere in tutto il suo spessore la scrittura di<br />
Vittorio Vettori, fatta di ascolto e di ricordo, bisogna<br />
aprire le pagine di uno straordinario suo libro che è<br />
Sulla via dell’Arcangelo (Franco Cesati Editore, Firenze<br />
1993), dedicato idealmente alla "vivente memoria<br />
di Piero Graverini, il Bersagliere, / aretino di stampo<br />
etrusco romano / valoroso avvocato e uomo di cuore<br />
/ soldato generosamente europeo e planetario / di<br />
una nuovissima <strong>It</strong>alia ancora tutta da fare", ma in cui la<br />
vicenda personale con quella che un giorno diventerà<br />
sua moglie, e cioè Ruth Càrdenas, si intreccia misteriosamente,<br />
con la riflessione drammatica di Carlo Michelstaedter.<br />
Un libro teso, intenso, e vibrante di<br />
ascolto e di ricordi, ma di cui non bisogna dimenticare<br />
l’incipit: "Vecchiaia solitudine smarrimento: la sensazione<br />
del declino è così intensa e così conturbante da<br />
indurmi in uno stato di angoscia che rischia o minaccia<br />
di farsi permanente cioè cronico ossia patologico<br />
[…] all’Amarissimo chedo dunque di guarirmi per via<br />
omeopatica dalla mia amarezza, esasperandola e così<br />
liquidandola secondo la vocazione ontologicamente<br />
naturale della scrittura che è quella di assecondare<br />
l’Avversario per trasformarlo e di accarezzare i nodi<br />
C A R M E L O M E Z Z A S A L M A<br />
33<br />
per scioglierli" (p. 99). Si tratta, dunque, ancora una<br />
volta, di una scelta tra la persuasione e la retorica, la<br />
verità e la menzogna, ma sempre legata alla scrittura<br />
letteraria.<br />
Di fatto, nella Firenze degli anni Venti e Trenta, "città<br />
sopra il monte", come la chiamava Giorgio La Pira, e<br />
dove si formarono esperienze letterarie ad altre temperatura<br />
antropologica e civile, la letteratura era un<br />
fatto centrale nella vita di molte esistenze di giovani<br />
ansiosi di dare alla loro vita un nobile significato. Forse<br />
la letteratura doveva guadagnarsi questo spazio, ma<br />
in ogni caso aveva un ruolo molto alto perché, come ricordava<br />
Geno Pampaloni, credere nella letteratura<br />
aveva a quel tempo un significato quasi salvifico: "Letteratura<br />
come vita – scriveva proprio Pampaloni – la<br />
scoprimmo prima che Carlo Bo ne chiarisse il senso e<br />
le ragioni. Era la nostra certezza, o addirittura la nostra<br />
identità. Le affidavamo il fondamento del nostro<br />
destino. La letteratura era, detto brevemente, il nostro<br />
remedium solitudinis. Con una duplice ricchezza:<br />
che ci spingeva alla solitudine, e ci salvava dalla solitudine".<br />
Anche Vittorio Vettori appartiene per temperamento<br />
ed affinità a questa temperie culturale e, dunque,<br />
questa parte del suo itinerario che è rappresentato<br />
da Sulla via dell’Arcangelo, tra amore e verità, testimonia<br />
che egli è stato sempre fedele alla scrittura<br />
come vita e lo dichiara lui stesso, a un certo punto del<br />
libro, citando Diego Fabbri e la sua preghiera: "In principio<br />
era il verbo, e il Verbo si è fatto carne. Vi dico che<br />
di ogni parola vana detta gli uomini daranno conto nel<br />
giorno del giudizio, poiché dalle tue parole sarai giustificato<br />
e dalle tue parole sarai condannato" (p. 95).<br />
Aveva, dunque, ragione ancora una volta, Maria Zambiano<br />
allorché definiva il vero scrittore colui che grida<br />
solitario al cielo, colui che si arrischia perché gli è stato<br />
ordinato di dare espressione, nella forma più indelebile<br />
possibile, a ciò che grida verso il cielo. La solitudine<br />
o la vittoria della solitudine che è l’amore. E pensando<br />
alle molte pagine che hanno segnato il destino<br />
di Vittorio Vettori e che egli ha consegnato alla nostra<br />
attenzione e solidarietà, non possiamo proprio fare a<br />
meno di citare questo pensiero della Zambiano: "Colui<br />
che deve scrivere rompendo il silenzio, cercando, se<br />
non altre creature, il cielo, i mari, gli elementi tra cui<br />
va, confuso ma fiducioso, senza bussola. Forse gli elementi,<br />
ch sono tutto quanto gli è rimasto, ascolteranno,<br />
loro sì, il suo canto, il suo gemito, il suo grido" .<br />
Proprio pensando al Novecento, Vittorio Vettori ha<br />
fatto sentire il suo gemito attraverso la pubblicazione<br />
complessiva di tre suoi romanzi che portano il titolo<br />
Destini e segreti e che raccoglie davvero il meglio<br />
della narrativa di Vittorio Vettori e cioè tre romanzi<br />
L’amico del Machia (1973), L’Oro dei vinti (1983),<br />
e, appunto, Sulla via dell’Arcangelo (1993). Tre romanzi<br />
che vogliono racchiudere, emblematicamente, il