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Un testimone del Novecento.<br />
Omaggio a Vittorio Vettori<br />
Comunicazione letta a Firenze il 19 dicembre 2003<br />
Signori e signore, carissimo Vittorio, converrai anche<br />
tu con me che è quasi impossibile, nel poco<br />
spazio che ci è concesso in questa felice circostanza<br />
di un riconoscimento alla tua figura di scrittore,<br />
quanto sia difficile tentare qui un ritratto, sia pure a<br />
grandi linee, del tuo complesso e sfaccettato itinerario<br />
intellettuale e letterario, che senza timore di retorica ha<br />
attraversato, in altezza e profondità, quel mare della storia<br />
che è il nostro Novecento, italiano ed europeo. Sì, europeo,<br />
come ha potuto scrivere di te l’amico Marino<br />
Biondi in uno splendido saggio dedicato al tuo giubileo<br />
letterario e dove, con felice espressione, dichiara "il deciso<br />
e solido europeismo di Vettori, prima che l’Europa<br />
diventasse una giaculatoria monetaria". Del resto, proprio<br />
Marino Biondi ha tentato per primo un bilancio, con<br />
ottimo esito, mi sembra, di tutta la tua straordinaria avventura<br />
di scrittore, poeta, pensatore, animatore culturale<br />
e protagonista, al contempo, di quel secolo, "breve o<br />
lungo" che sia, che ha segnato la nostra modernità con le<br />
sue stimmate funeste, ma anche con aneliti insopprimibili<br />
di giustizia e di verità.<br />
Non tenterò, quindi, a mia volta, una sintesi, cari amici<br />
e amiche che mi ascoltate, che possa rendere visibile,<br />
per così dire, l’intensa navigazione di Vittorio Vettori in<br />
quel Novecento letterario e culturale sul quale, oggi più<br />
che mai, sarebbe necessario uno scandaglio rigoroso e<br />
oggettivo per individuarne le rotte ancora vive da quelle<br />
che sono ormai sepolte nelle secche di spiagge inospitali.<br />
Ma, come ha notato giustamente Cesare Segre,<br />
quello a cui assistiamo oggi è l’assopirsi del senso critico,<br />
intontito da immagini e rumori, e dalle suggestioni<br />
semplificatrici degli slogan, portate anche nella politica.<br />
E tuttavia, proprio perché con Vittorio Vettori ci<br />
troviamo di fronte a un testimone singolare e privilegiato<br />
di questo Novecento, vale la pena ancora di battersi<br />
per lo sviluppo di un senso critico che da solo sarebbe<br />
sufficiente a sottrarci al terribile degrado che ci<br />
minaccia tutti. La letteratura, nonostante tutto, può<br />
ancora fare la sua parte e per certi aspetti anche decisiva.<br />
Mi limiterò, dunque, a dei brevi flash, cercando di<br />
cogliere, nell’avventura letteraria e culturale di Vittorio<br />
Carmelo MEZZASALMA<br />
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Vettori, una sorta di "appunti di viaggio" che possono<br />
giustificare, in qualche modo, l’angolazione impegnativa<br />
con cui personalmente guardo a questo "testimone<br />
del Novecento".<br />
Un Ulisse toscano<br />
Ed è ancora Marino Biondi a offrirci il taglio, questa<br />
volta oggettivo, di questa angolazione allorché giustamente<br />
ha definito Vittorio Vettori "un Ulisse toscano<br />
che ha traghettato il novecento con una carta nautica<br />
disegnata dai maestri della storia, Vico, come primo nome<br />
fra gli italici, ai grandi trasgressori di quella storia,<br />
Nietzsche per cui vale la definizione di Lou Andreas Salomè,<br />
che per lui conoscere significò essere sconvolto.<br />
In quell’arca di libri hanno trovato posto altri portolani<br />
e altri autori, che l’umanesimo conciliatorio e polivalente<br />
di Vettori ha voluto insieme, nonostante che la<br />
storia e la politica li avesse tenuti distinti e avversi:<br />
Croce, Gentile, Gramsci […]. In Vettori non si tratta però<br />
soltanto di interpretazioni settoriali, di ritocchi filologici,<br />
ma di una tensione a quella che possiamo chiamare<br />
l’unitarietà del canone italiano".<br />
Davvero non si poteva dir meglio, per riportare l’avventura<br />
del pensare e dello scrivere di Vittorio Vettori<br />
alla sua profonda unità, che usare la metafora di<br />
quell’"arca di libri" e di autori che hanno tentato, spesso<br />
a costo della vita, di traghettare l’<strong>It</strong>alia sulle acque<br />
di quel diluvio aperto dalla modernità e cercando di<br />
salvare un senso alto del pensare e dello scrivere. Una<br />
tensione altissima e drammatica, ma anche capace di<br />
emanare bagliori non effimeri che Vittorio Vettori ha<br />
coltivato, per alimentarne la fiamma, con rare capacità<br />
di intuizione e un fervore eccezionali. Di fatto, Vittorio<br />
Vettori, non si è mai limitato a scandagliare le<br />
idee o i luoghi della letteratura italiana, ma ha spaziato,<br />
con animo europeo ante litteram – è il caso di dirlo<br />
– in territori, già ai suoi tempi quasi profetici, rappresentati<br />
dal pensare e dallo scrivere di un Mircea<br />
Elide, di un Ezra Pound, di un Wittgenstein, di un Heidegger,<br />
di un Michelstaedter e solo per citarne alcuni.<br />
Tutti autori che non godevano certo, nel dibattito del<br />
nostro Novecento, un posto privilegiato ma che certi