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In un settimanale di ispirazione cristiana, ampiamente<br />
diffuso, Ermanno Paccagnini dedica un articolo<br />
a Sartre, intitolato: L’ateo che scoprì la speranza.<br />
Quando, esattamente, Sartre avrebbe scoperto<br />
la speranza? L’inventio tesauri, Paccagnini è testimone,<br />
risalirebbe al dicembre 1940. In quei giorni, ancora<br />
in cattività a Treviri, Sartre, esortato dall’abate Page<br />
e dal gesuita Persin, compone Bariona o il figlio<br />
del tuono, atto unico, in sette quadri, sulla Natività.<br />
Bariona, capo di un villaggio povero e vessato dalle imposizioni<br />
romane, decide, come ultima, disperata protesta,<br />
l’astensione dei suoi dalla procreazione ed il conseguente,<br />
progressivo spopolamento della zona. Sennonché,<br />
l’annuncio del Messia, da parte di un angelo,<br />
spinge gli abitanti del villaggio a spostarsi a Betlemme.<br />
Bariona, solo e sconcertato con il suo popolo per l’apparizione<br />
inquietante di quel Messia, progetta di ucciderlo.<br />
La vista del neonato, tuttavia, è la più efficace<br />
delle inquietudini, la consolazione più alta. Bariona<br />
muore combattendo contro i soldati di Erode per difendere<br />
quella culla, nido di speranza.<br />
Che si tratti davvero di un “trastullo di Natale”, come ebbe<br />
a scrivere lo stesso autore in chiusura dell’opera? Difficile<br />
a dirsi. Quella di Sartre, è una prosa asciutta, diretta,<br />
fredda. Senza enfasi Sartre ti proietta nella scena e ti<br />
abbandona lì, nudo. È così che ti ritrovi, asfittico ed intirizzito,<br />
accanto al rivoluzionario Pablo Ibbieta, nella sua<br />
stessa cella, ad aspettare l’esecuzione di Tom e Juan, già<br />
con le spalle contro Il muro. Gli occhi serrati, lo sguardo<br />
corrucciato il mento retratto; porti la mani alle orecchie<br />
e rannicchiando la testa tra le gambe aspetti, con lui, l’imminente<br />
scoppio dei moschetti.<br />
Allo stesso modo, non puoi trattenerti dal dimenare freneticamente<br />
le braccia attorno alla testa nel tentativo di<br />
liberarti dall’invadenza di quelle statue, che la mente del<br />
folle Pietro ha permesso ronzassero libere e senza tregua<br />
attorno a La camera.<br />
O, ancora, si ha quasi la sensazione di sperimentare il gelo<br />
metallico che il contatto della pistola di Erostrato provoca<br />
al contatto con la gamba, soffocati da migliaia di occhi<br />
indiscreti che frugano nelle tue tasche, lungo boulevard<br />
Montparnasse.<br />
Ora, cosa hanno in comune questi personaggi? Emerge,<br />
sin dalla prima lettura, un senso di disincanto dalla<br />
realtà borghese, così ideologizzato da assumere gli<br />
accenti di una paradossale, orgogliosa superiorità. Si<br />
D I B A T T I T I<br />
I colori della speranza<br />
Marco MILIONI<br />
28<br />
pensi, ad esempio, alla quanto mai significativa scena<br />
di apertura di Erostrato. Qui il protagonista osserva<br />
gli uomini dall’alto della sua finestra e commenta: “Mi<br />
sporgevo e mi mettevo a ridere: dov’era andato a finire<br />
quel famoso portamento eretto di cui andavano così<br />
orgogliosi?”. Superiorità, in questo caso, solo di posizione,<br />
dal momento che, come confessa tristemente<br />
lo stesso Erostrato, “Bisognava talvolta riscendere in<br />
strada” e “quando si è sullo stesso piano degli uomini,<br />
è molto più difficile considerarli come formiche: ci toccano”.<br />
Superiorità è, anche, nell’atteggiamento di Antoine Roquentin,<br />
che, consumando un pasto veloce nella trattoria<br />
Bottanet, si burla della semplicità con la quale l’ Autodidatta<br />
confessa di amare gli uomini. “Io non sono<br />
umanitario” commenta Roquentin, ed aggiunge ironicamente<br />
poco dopo: “Lo so che tutti gli uomini sono mirabili.<br />
Che lei è mirabile. Che io sono mirabile. In quanto<br />
creature di Dio, naturalmente”.<br />
Superiorità è, inoltre, nella parole che Eva, la giovane<br />
moglie di Pietro, rivolge al padre, il quale inutilmente le<br />
consiglia di rinchiudere Pietro in una casa di cura.<br />
Ma in che consiste questa superiorità? È la superiorità<br />
di chi crede di aver compreso il non sens dell’esistenza.<br />
E poco importa se la scoperta conduce allo scacco,<br />
all’indifferenza, alla totale mancanza di entusiasmo<br />
(altro tratto caratteristico dei personaggi sartriani). “Il<br />
mio pensiero sono io: – si legge nelle pagine di un Lunedì<br />
del diario di Roquentin – ecco perché non posso<br />
fermarmi. Esisto perché penso… e non posso impedirmi<br />
di pensare. In questo momento stesso se esisto è<br />
perché ho orrore di esistere. Sono io, io, che mi traggo<br />
dal niente al quale aspiro: l’odio, il disgusto di esistere<br />
sono altrettanti modi di farmi esistere; di affondarmi<br />
nell’esistenza”. Più oltre si legge: “Tutto quello<br />
che m’è accaduto dal mese di gennaio l’ho capito ora.<br />
La Nausea – corsivo nostro – non m’ha lasciato e non<br />
credo che mi lascerà tanto presto; ma non la subisco<br />
più, non è più una malattia né un’accesso passeggero:<br />
sono io”.<br />
Altrettanto forti sono le riflessioni di Pablo Ibbieta, quasi<br />
rassegnato all’idea della sua esecuzione; quasi fosse<br />
morto prima di morire: “Nello stato in cui mi trovavo, –<br />
considera il rivoluzionario – se fossero venuti ad annunciarmi<br />
che potevo tornarmene tranquillamente a casa<br />
mia, che mi avevano graziato, la cosa mi avrebbe lascia-