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Rivista Slsi 1-4 /2004 - Slsi.It

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In un settimanale di ispirazione cristiana, ampiamente<br />

diffuso, Ermanno Paccagnini dedica un articolo<br />

a Sartre, intitolato: L’ateo che scoprì la speranza.<br />

Quando, esattamente, Sartre avrebbe scoperto<br />

la speranza? L’inventio tesauri, Paccagnini è testimone,<br />

risalirebbe al dicembre 1940. In quei giorni, ancora<br />

in cattività a Treviri, Sartre, esortato dall’abate Page<br />

e dal gesuita Persin, compone Bariona o il figlio<br />

del tuono, atto unico, in sette quadri, sulla Natività.<br />

Bariona, capo di un villaggio povero e vessato dalle imposizioni<br />

romane, decide, come ultima, disperata protesta,<br />

l’astensione dei suoi dalla procreazione ed il conseguente,<br />

progressivo spopolamento della zona. Sennonché,<br />

l’annuncio del Messia, da parte di un angelo,<br />

spinge gli abitanti del villaggio a spostarsi a Betlemme.<br />

Bariona, solo e sconcertato con il suo popolo per l’apparizione<br />

inquietante di quel Messia, progetta di ucciderlo.<br />

La vista del neonato, tuttavia, è la più efficace<br />

delle inquietudini, la consolazione più alta. Bariona<br />

muore combattendo contro i soldati di Erode per difendere<br />

quella culla, nido di speranza.<br />

Che si tratti davvero di un “trastullo di Natale”, come ebbe<br />

a scrivere lo stesso autore in chiusura dell’opera? Difficile<br />

a dirsi. Quella di Sartre, è una prosa asciutta, diretta,<br />

fredda. Senza enfasi Sartre ti proietta nella scena e ti<br />

abbandona lì, nudo. È così che ti ritrovi, asfittico ed intirizzito,<br />

accanto al rivoluzionario Pablo Ibbieta, nella sua<br />

stessa cella, ad aspettare l’esecuzione di Tom e Juan, già<br />

con le spalle contro Il muro. Gli occhi serrati, lo sguardo<br />

corrucciato il mento retratto; porti la mani alle orecchie<br />

e rannicchiando la testa tra le gambe aspetti, con lui, l’imminente<br />

scoppio dei moschetti.<br />

Allo stesso modo, non puoi trattenerti dal dimenare freneticamente<br />

le braccia attorno alla testa nel tentativo di<br />

liberarti dall’invadenza di quelle statue, che la mente del<br />

folle Pietro ha permesso ronzassero libere e senza tregua<br />

attorno a La camera.<br />

O, ancora, si ha quasi la sensazione di sperimentare il gelo<br />

metallico che il contatto della pistola di Erostrato provoca<br />

al contatto con la gamba, soffocati da migliaia di occhi<br />

indiscreti che frugano nelle tue tasche, lungo boulevard<br />

Montparnasse.<br />

Ora, cosa hanno in comune questi personaggi? Emerge,<br />

sin dalla prima lettura, un senso di disincanto dalla<br />

realtà borghese, così ideologizzato da assumere gli<br />

accenti di una paradossale, orgogliosa superiorità. Si<br />

D I B A T T I T I<br />

I colori della speranza<br />

Marco MILIONI<br />

28<br />

pensi, ad esempio, alla quanto mai significativa scena<br />

di apertura di Erostrato. Qui il protagonista osserva<br />

gli uomini dall’alto della sua finestra e commenta: “Mi<br />

sporgevo e mi mettevo a ridere: dov’era andato a finire<br />

quel famoso portamento eretto di cui andavano così<br />

orgogliosi?”. Superiorità, in questo caso, solo di posizione,<br />

dal momento che, come confessa tristemente<br />

lo stesso Erostrato, “Bisognava talvolta riscendere in<br />

strada” e “quando si è sullo stesso piano degli uomini,<br />

è molto più difficile considerarli come formiche: ci toccano”.<br />

Superiorità è, anche, nell’atteggiamento di Antoine Roquentin,<br />

che, consumando un pasto veloce nella trattoria<br />

Bottanet, si burla della semplicità con la quale l’ Autodidatta<br />

confessa di amare gli uomini. “Io non sono<br />

umanitario” commenta Roquentin, ed aggiunge ironicamente<br />

poco dopo: “Lo so che tutti gli uomini sono mirabili.<br />

Che lei è mirabile. Che io sono mirabile. In quanto<br />

creature di Dio, naturalmente”.<br />

Superiorità è, inoltre, nella parole che Eva, la giovane<br />

moglie di Pietro, rivolge al padre, il quale inutilmente le<br />

consiglia di rinchiudere Pietro in una casa di cura.<br />

Ma in che consiste questa superiorità? È la superiorità<br />

di chi crede di aver compreso il non sens dell’esistenza.<br />

E poco importa se la scoperta conduce allo scacco,<br />

all’indifferenza, alla totale mancanza di entusiasmo<br />

(altro tratto caratteristico dei personaggi sartriani). “Il<br />

mio pensiero sono io: – si legge nelle pagine di un Lunedì<br />

del diario di Roquentin – ecco perché non posso<br />

fermarmi. Esisto perché penso… e non posso impedirmi<br />

di pensare. In questo momento stesso se esisto è<br />

perché ho orrore di esistere. Sono io, io, che mi traggo<br />

dal niente al quale aspiro: l’odio, il disgusto di esistere<br />

sono altrettanti modi di farmi esistere; di affondarmi<br />

nell’esistenza”. Più oltre si legge: “Tutto quello<br />

che m’è accaduto dal mese di gennaio l’ho capito ora.<br />

La Nausea – corsivo nostro – non m’ha lasciato e non<br />

credo che mi lascerà tanto presto; ma non la subisco<br />

più, non è più una malattia né un’accesso passeggero:<br />

sono io”.<br />

Altrettanto forti sono le riflessioni di Pablo Ibbieta, quasi<br />

rassegnato all’idea della sua esecuzione; quasi fosse<br />

morto prima di morire: “Nello stato in cui mi trovavo, –<br />

considera il rivoluzionario – se fossero venuti ad annunciarmi<br />

che potevo tornarmene tranquillamente a casa<br />

mia, che mi avevano graziato, la cosa mi avrebbe lascia-

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