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Raccontare l’Islam, la cultura, affrontarne i problemi e analizzarne le difficolta non è semplice. Shirin Neshat lo sa. Nata a Qazvin nel 1957, Shirin è oggi un’importante fotografa, filmmaker e videoartista. Ha lasciato l'Iran nel 1974 per trasferirsi negli Stati Uniti, dove studia arte e inizia ad affermarsi come fotografa, filmmaker e videoartista. Resta lontana dai suoi luoghi d’origine fino al 1990, causa – nel 1979 – lo scoppio in Iran della rivoluzione islamica degli Ayatollah, che le impedisce di tornare in patria. Ma è anche quell’allontanamento – che la porta in mondi differenti dal suo – e quel ritorno – in cui scopre una terra diversa, buia – che inducono in lei l’impulso di narrare attraverso la sua arte quel che l’Iran è e quel che l’Occidente pensa. Figlia di terre difficili, ha usato il suo talento per capire e far capire, ha diffuso le sue immagini per denunciare le piaghe della sua cultura d’appartenenza, ha racchiuso in video e foto un grido contro regole in alcuni casi poco condivise e che limitano identità, quelle femminili in primis. Al corpo delle donne islamiche Shirin Neshat ha infatti dedicato la sua attività di ricerca, cercando di raccontare quel che sono. Donne che Shirin, nonostante l’oppressione, non reputa vittime perché forti, perché combattono senza scendere a compromessi. Il senso di appartenenza a quella realtà e la voglia di esprimere la propria identità e quella di tutte le altre donne islamiche la conducono all’esposizione “Women of Allah”, una raccolta fotografica in cui l’artista ritrae donne avvolte nello chador, il tipico velo che – nella mostra – lascia però scoperti volto, mani e piedi, parti del corpo coperte invece da scritte in calligrafia persiana e che raccontano donne, sessualità, 18 MARZO 2011 il personaggio ifestile il personaggio il personaggio il personaggio il personaggio il personaggio il personaggioil personaggio il personaggio SHIRIN NESHAT. STORIE DI DONNE, SENZA UOMINI sottomissione. Sulle loro mani storie tatuate e vissute; mani a volte anche tinte di rosso come se insanguinate, o che reggono armi, simboli dell’idea del martirio e dell’immagine convenzionale che gli occidentali hanno dell’Iran. Dall’apparente staticità delle foto, Shirin passa in poco tempo alla dinamicità dei video, realizzando: “Anchorage” (1996), “Shadow under the Web” (1997), “Turbulent” (1998), “Rapture” (1999) e “Soliloquy” (1999). Le immagini in movimento non si discostano dalle tematiche a lei più care, ma anzi ribadiscono le posizioni della Neshat, che prosegue così nel suo percorso di rivendicazione dei diritti femminili. Convinta delle sue idee, Shirin Neshat condensa tutta la sua arte nel primo lungometraggio “Women without men”: ambientato nella Teheran del 1953, all’epoca del colpo di stato che riporterà alla guida dello stato lo Scià, protetto dagli Usa, racconta quattro donne, diverse per estrazione sociale ma uguali per il loro essere soggette al sopruso o al disprezzo. Donne che, come dicevamo, non accettano la loro condizione, ma svestono i panni delle vittime e trovano la forza per abbandonare la vita che è loro imposta, avviandosi simbolicamente lungo una strada, apparentemente senza fine e desolata, che le conduce in un giardino di orchidee decadente. Un viaggio metaforico al termine del quale le donne hanno la possibilità di ritrovarsi e recuperare la dignità e la forza, perdute nella precedente quotidianità. Un film d’esordio, ma estremamente maturo e raffinato, tanto da vincere il Leone d’Argento al Festival di Venezia nel 2009. Una pellicola che Shirin ha voluto di ELISA RODI disarticolare in diverse installazioni facendola diventare anche una splendida mostra multimediale, che ripercorre le storie di Mahdokht, Zarin, Munis, Faezeh e Farokh Legha. È la storia di donne che ce la fanno, donne senza uomini, appunto. Donne come Shirin Nashat, quelle donne che, come nel film, affermano: “Tutto ciò a cui aspiravamo era questo, una forma nuova, un sentiero, una nuova strada verso la libertà...”
onomatomanie onomatomanie onomatomanie onomatomanie onomatomanie onomatomanie onomatomanie onomatomanie onomatomanie DALLE PRECATTOLICHE ALLE POSTFEMMINISTE TUTTE IN PIAZZA IL MESE SCORSO. L’OBIETTIVO ERA SILVIO, REO DI OFFENDERLA, QUESTA DIGNITÀ. UNICO AL MONDO A FARLO, NON CREDETE? VI È MAI SFIORATA L’IDEA CHE SIETE VOI, PER PRIME, AD OFFENDERE LA VOSTRA DIGNITÀ? AH, GIA’ È VERO. IL PAZZO, MICA SA DI ESSERLO LA SACRALIZZAZIONE DEL CORPO FEMMINILE, È UN ARGOMENTO DIFFICILE DA SOSTENERE, SE ACCANTO A TE C’E’ IVA ZANICCHI onomatomanie MA GUARDATEVI: PRETENDETE ANCORA IL MASCHILISTA OMAGGIO FLOREALE, L’8 DI QUESTO MESE. E QUALCUNO CHE SALGA SU AL TERZO PIANO CON LE BUSTE DELLA SPESA, TUTTI IL RESTO DEI GIORNI QUALCUNA PROPONE DI SPOSTARE LA FESTA DELLE DONZELLE AL 6 APRILE, PRESSO UN TRIBUNALE DI MILANO. NON SI SA MICA PERCHÈ di PIETRO ROMEO LA PAROLA DEL MESE TORMENTONI LESSICALI A SCADENZA MENSILE GRIDAVANO: “DIGNITÀ È LAVORARE IN FABBRICA PER 12 ORE AL GIORNO”. MICA ANDARE A LETTO CON IL PRIMO BERLUSCONI CHE CAPITA DIGNITÀ DELLA DONNA 20 MARZO 2011 “LE VELINE SONO UN’OFFESA ALLA NOSTRA DIGNITÀ DI DONNE CHE NON VANNO A LETTO CON NESSUNO PERCHÈ LA MAMMA E LA NONNA CI HANNO DETTO CHE NON È GIUSTO” A PROPOSITO NON PERDETEVI CALIFANO AL RISTORANTE LA SERA DELL’8. UNA BANDIERA PER I DIRITTI DELLA DONNA. SI, AMMAINATA PERÒ FOSSE MARCHIONNE MAGARI, LA SI POTREBBE PURE AZZARDARE UNA LAP DANCE. TENTAR NON NUOCE: CHI LO SA, MAGARI VI RIDUCE L’ORARIO DI LAVORO A UNDICI ORE E MEZZA AL DI’. TRANQUILLI, BERLUSCONI STAVOLTA IN AULA PERDERÀ: SARÀ CONDANNATO A TRE ANNI DI VELINE FORZATE E DUE DI ESCORT DOMICILIARI. LA GIUSTIZIA, SI SA, È UGUALE PER TUTTI
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