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fascicolo didattico (documento pdf (3,92 Mb) - Teatro Regio di Torino

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Ma la più antica versione scritta fi no ad oggi conosciuta viene dall’Oriente e risale al<br />

IX secolo d.C. A riportarla fu un dotto funzionario cinese, Tuang Ch’eng-Shih, che<br />

l’aveva ascoltata da uno dei suoi servi. In questa antichissima storia, dove non è <strong>di</strong>ffi cile<br />

intravedere un legame tra la piccolezza del piede su cui si impernia l’intreccio della fi aba<br />

e l’antica consuetu<strong>di</strong>ne delle classi elevate cinese <strong>di</strong> fasciare strettamente dall’infanzia<br />

i pie<strong>di</strong> femminili per impe<strong>di</strong>rne la crescita, compaiono i più noti ingre<strong>di</strong>enti della fi aba:<br />

matrigna e sorellastra, protettore sovrannaturale, vesti ottenute per magia, festa<br />

lasciata in anticipo e scarpetta perduta. Racconta infatti come la povera Sheh-Hsien, che<br />

non si chiama ancora Cenerentola ma è già orfana e perseguitata, dalle lische <strong>di</strong> un pesce<br />

miracoloso uccisole a tra<strong>di</strong>mento dalla matrigna ottenga un paio <strong>di</strong> scarpe d’oro e un abito<br />

per recarsi alla festa della grotta ma, affrettandosi sulla via del ritorno, perda una delle<br />

calzature. La scarpetta viene in possesso del re <strong>di</strong> un’isola vicina che, affascinato dalla<br />

sua <strong>di</strong>mensione («era più corta <strong>di</strong> un pollice») ne fa ricercare ovunque la proprietaria, la<br />

trova e la proclama sua consorte.<br />

In Occidente, la prima Cenerentola a stampa sembra essere la novella <strong>di</strong> Pernette,<br />

contenuta in una raccolta francese del XVI secolo (Bonaventure Des Perriers, Contes<br />

ou Nouvelles Récréations et Joyeux Devis, CXXIX), dove si narra l’avventura a lieto<br />

fi ne <strong>di</strong> una fanciulla maltrattata dalla madre e dalle sorelle che, non volendo consentire<br />

alle sue nozze, la sottopongono a una serie <strong>di</strong> prove umilianti tra cui indossare una<br />

pelle d’asino e raccogliere con la lingua uno staio <strong>di</strong> grani d’orzo <strong>di</strong>sseminati per terra.<br />

Certamente più nota è però la novella napoletana <strong>di</strong> Giovan Battista Basile La gatta<br />

Cenerentola (Pentamerone, 1636, I, 6) dove fi nalmente la protagonista, <strong>di</strong> nome Zezolla,<br />

riceve il soprannome <strong>di</strong> Cenerentola, perché costretta a vivere in cucina tra le ceneri<br />

del focolare. Qui si racconta come la fi glia <strong>di</strong> un principe rimasto vedovo sia o<strong>di</strong>ata dalla<br />

malvagia matrigna e se ne lamenti con l’istitutrice, affermando che avrebbe preferito lei<br />

come sposa del padre. La storia è un po’ anomala per la duplicazione dei persecutori, sei<br />

sorellastre e due matrigne, e soprattutto per il comportamento della protagonista, che su<br />

istigazione della seconda matrigna ammazza la prima spezzandole il collo con il coperchio<br />

<strong>di</strong> una cassapanca. E tuttavia ricalca la traccia ben nota: degradazione e persecuzione<br />

dell’orfanella, aiuto sovrannaturale, dono degli abiti e delle pianelle, partecipazione alla<br />

festa, fuga, riconoscimento e nozze.<br />

Cendrillon o Aschenputtel?<br />

Ma la Cenerentola destinata ad eclissare tutte le altre e a <strong>di</strong>ventare, complice Walt<br />

Disney, la versione privilegiata per l’infanzia è senza dubbio la Cendrillon <strong>di</strong> Charles<br />

Perrault (1697). Perrault depura la fi aba dai particolari truculenti e crudeli presenti sia<br />

in Basile (uccisione della prima matrigna) sia nella tra<strong>di</strong>zione orale (amputazione dei pie<strong>di</strong><br />

per la prova della scarpetta o accecamento delle sorellastre per punizione ) e inventa<br />

nuovi particolari, che ci sono <strong>di</strong>ventati così familiari da sembrare inscin<strong>di</strong>bili dalla fi aba:<br />

la madrina fatata, la zucca trasformata in cocchio, il ritorno a casa allo scoccare della<br />

mezzanotte, la scarpina <strong>di</strong> vetro, il perdono fi nale. E invece alcuni <strong>di</strong> essi, come la raffi nata<br />

e brillante calzatura <strong>di</strong> vetro, sono sconosciuti al <strong>di</strong> fuori della versione <strong>di</strong> Perrault e <strong>di</strong><br />

quelle da essa derivate, tanto che per giustifi carla si è ad<strong>di</strong>rittura pensato ad un errore<br />

accidentale degli stampatori, che per ragioni <strong>di</strong> omofonia avrebbero confuso la parole<br />

verre (vetro) con vair (pelliccia), piuttosto che all’intenzione del letterato <strong>di</strong> assecondare<br />

il gusto della corte dove andavano <strong>di</strong> moda i vetri soffi ati veneziani. Deliberata invenzione<br />

o confusione linguistica, la scarpetta <strong>di</strong> vetro, nonostante la sua fragilità, è sopravvissuta<br />

con successo alle rielaborazioni successive; destino contrario è toccato invece alle due<br />

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