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44 “ I soldati vestono divise di panno autarchico in misto lana e indossano scarponcelli chiodati, gli stessi usati in Africa, e questi, con le basse temperature, tendono a formare, sotto la calzatura, una sottile lastra di ghiaccio che facilita il congelamento dei piedi. Per le ore di guardia, a quelle temperature proibitive, i nostri militari hanno cappotti foderati di pelliccia, ingombranti e pesanti, poco adatti ai rapidi movimenti del corpo. I Russi hanno invece delle tute trapuntate – fra due strati di tela viene inserita della lana – ottime per muoversi e combattere anche a temperature bassissime… Le divisioni italiane dispongono di pochi mezzi meccanizzati e di trasporto e dipendono per i rifornimenti di carburante, dai tedeschi. I mezzi”corazzati” sono pochi e composti da carri che pesano dalle tre alle sei tonnellate
45 (l’equivalente del peso di un camioncino ) e cui le corazze possono essere facilmente forate anche dai fuciloni controcarro largamente distribuiti alla fanteria sovietica… Dicembre 1942 – gennaio 1943: è l’inizio della fine: scatta la controffensiva russa, a tenaglia, sui fronti di Sud-Ovest e Stalingrado…. E’ difficile dare cifre esatte sugli italiani caduti in mano russa nella sacca del Don… Secondo le fonti ufficiali mancano complessivamente all’appello 84.820 uomini. E’ stato più volte ragionevolmente detto dagli storici che la metà di essi è morta nella ritirata, combattendo, di freddo, di fame, abbandonandosi sulla neve, l’altra metà, all’incirca, in prigionia. I feriti e i congelati sono 26.690. A Stalingrado il 2 febbraio 1943: resa definitiva della 6 armata del generale von Paulus : i tedeschi catturati , insieme al loro comandante, sono circa 200.000.” 1 Lasciamo la parola ad un Vescovo ( Mons. Aldo Del Monte ) che è stato giovane Cappellano in Russia e ha vissuto la tragedia apocalittica della ritirata lungo il fronte del DON…: “ Molti soldati gridavano il nome del cappellano, sperando che fosse difeso e benedetto…. In Russia il prete suscitava un respiro di speranza per chi era oppresso dalla morte. Io pregavo per tutti coloro che in quella situazione si stringevano intorno al consacrato di Dio: “Signore, fa che sia vero!”.Ma le armi non conoscevano benedizioni: travolgevano il consacrato così come purtroppo, travolgevano loro. E per questo anch’io ho avuto paura. E’ vero, anche steso per terra, in un bagno di sangue, potevo ancora apparire come un simbolo di pace, perché portavo una croce, perché in una teca, ormai anch’essa sporca di sangue, portavo il SS. Sacramento. Ma la guerra, col suo volto di odio e di morte, è essenzialmente “tempo senza 1 Michele Calandri –Biblioteca–“Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea” – Provincia di Cuneo. Notizie riportate dal settimanale “La Guida”in data 14/1/2011
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