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Disaffezione per la politica, malcontento generale,<br />

sacrifici su tutta la linea, austerità e crescita limitata.<br />

Sono argomenti che colpiscono quotidianamente il<br />

nostro Paese, argomenti che stanno diventando una<br />

norma, un’abitudine. Un po’ come durante gli anni<br />

del terrorismo, quando non si badava più (o quasi)<br />

a quello che succedeva ogni giorno, aspettando il<br />

domani quasi con rassegnazione.<br />

Tutti stanno facendo i conti con il momento difficile:<br />

l’Europa che non riesce a liberarsi dalle sabbie mobili<br />

di una crisi recessiva grave e preoccupante, gli Stati<br />

Uniti con una crescita che stenta, la stessa Cina, che<br />

ha rivisto il suo target di crescita del PiL al 7,5%,<br />

ben lontano ormai dai mitici valori superiori all’8%<br />

degli ultimi anni.<br />

Lo scenario dell’economia globale contribuisce a<br />

limitare gli entusiasmi anche dei più ottimisti. E se<br />

guardiamo la situazione dalla piccola prospettiva<br />

del campo di cui siamo la voce, quello dell’elettronica<br />

industriale, dei circuiti stampati, delle macchine<br />

d’assemblaggio, la situazione appare anche più<br />

complessa, perché più difficilmente interpretabile.<br />

Fra le aziende che non riescono a decollare per<br />

la stretta creditizia, a quelle che si trovano a<br />

navigare a vista fra stipendi da pagare, contratti<br />

che evaporano e pressione fiscale senza paragoni,<br />

alle (poche) aziende più fortunate che - basando le<br />

proprie strategie sull’export - conoscono invece un<br />

momento di tenuta, è complicato, se non impossibile,<br />

delineare per l’Italia dell’elettronica un quadro<br />

chiaro della situazione.<br />

Una cosa è comunque certa: anche nel settore<br />

dell’elettronica è difficile fare impresa in Italia.<br />

Come per tutti gli altri comparti, anche nel<br />

▶ EDITORIALE<br />

Prospettive di rilancio<br />

nostro campo la necessità di investire nella<br />

modernizzazione e nella globalizzazione delle<br />

aziende è l’unico modo per affrontare un momento<br />

che sembra senza uscita. E non lo dico io, ma lo stesso<br />

Giorgio Squinzi, neo presidente di Confindustria che<br />

- parlando in generale delle aziende italiane - pone<br />

la modernizzazione e la globalizzazione al primo<br />

posto fra gli imperativi da seguire, unitamente a<br />

un più concreto intervento da parte del governo per<br />

agevolare e semplificare i rapporti fra aziende e Pa.<br />

L’occasione nasce dal primo passo concreto del<br />

governo verso la crescita, quei 30 miliardi previsti<br />

come prima tranche per ovviare ai crediti delle<br />

imprese verso la pubblica amministrazione;<br />

una cifra criticata dal numero uno di viale<br />

dell’Astronomia per la sua effettiva esiguità. Non si<br />

può dire che Squinzi non abbia ragione, ma intanto<br />

il primo passo è stato fatto e questo è importante.<br />

Ora però ne aspettiamo un altro: la soluzione di<br />

quell’annoso e spinosissimo problema dei ritardi dei<br />

pagamenti da parte della Pa che ci vede fanalino<br />

di coda in Europa. Le cifre parlano chiaro: contro i<br />

180 giorni che di media sono necessari a un’azienda<br />

italiana per farsi pagare dallo Stato e in Germania<br />

ce ne vogliono solo 35.<br />

È un semplice dato numerico, certo, ma che la dice<br />

lunga sulle differenze che ci sono fra Paesi che<br />

veramente funzionano e altri che faticano a trovare<br />

la strada giusta per un rilancio che senz’altro si<br />

merita.<br />

PCB giugno 2012<br />

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