Tinarelli - 2008 - Le antiche pilerie italiane e lindustria risiera
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Oltre la grolla e il brillone erano utilizzati anche altri strumenti a nome: Cloèt<br />
e Glaceur che non ebbero storia, si diffusero assai poco.<br />
Il Lustrino 0 Spazzola<br />
Fu nello stesso periodo che si propose un altro utile stmmento: la spazzolatrice<br />
meccanica del riso lavorato, detta “Lustrino” о “Spazzola”. Si era resa necessaria<br />
per eliminare le untuose polveri delle farine di lavorazione che, come norma,<br />
restavano aderenti alla superficie dei grani di riso. Lo strumento era composto<br />
da un tronco di cono rovesciato di legno, sulle cui pareti era ancorata mediante<br />
chiodi una corda di canapa о altro materiale simile, a volte era un sacco tronco<br />
conico in tela a rivestirlo; poteva essere anche una pelle di montone, preferita<br />
perché lasciava il riso non solo pulito ma anche più lucido.<br />
Un secondo tronco di cono con parete a rete metallica, esterno e coassiale al<br />
primo, era disposto a involucro a filtrare le farine: il primo cono era fatto ruotare<br />
entro il secondo. Il riso raffinato, introdotto dall’alto, costretto dal moto rotatorio<br />
a scorrere verso la periferia, scendeva strisciando lungo la rete metallica. Il<br />
tessuto di canapa con il moto si allargava e il riso, nella discesa, rilasciava le farine<br />
estromesse dai fori della rete e recuperate; il riso veniva raccolto nella parte<br />
inferiore dello strumento. Chi è che non ravvisi una somiglianza del cono caratteristico<br />
della futura Amburgo!<br />
La pileria agricola dei primi tempi, è stato ricordato, era costruita nelle Cascine:<br />
piemontesi e lombarde, nelle Corti veronesi e mantovane о nei Poderi emiliani<br />
- assai nota quella del castello di Bentivoglio - dove si provvedeva a compiere<br />
la pilatura del risone prodotto nelle vicine risaie dell’azienda agricola.<br />
La pileria operava di norma soltanto al cessare della fase irrigua nei campi, in<br />
autunno fino a primavera inoltrata; la pilatura era sospesa quando l’acqua si rendeva<br />
di nuovo necessaria alle risaie e alle altre colture irrigue. Era consuetudine che<br />
la pileria si prestasse anche a lavorare il risone prodotto dai risicoltori vicini che<br />
non disponevano di una propria Pila. La pratica era definita “Motura” - da molitura<br />
о molenda - così come era antica consuetudine per la molitura dei cereali.<br />
L’interesse dei primi risicoltori pilatori nell’esercitare la lavorazione del riso<br />
non si concludeva nella economia <strong>risiera</strong> ma si perfezionava all’interno di quella<br />
agricola aziendale. I sottoprodotti della pilatura erano destinati alla “Bergamina”<br />
cioè era a beneficio alimentare del bestiame in allevamento e a quello di bassa<br />
corte. La Buia о Pula, con il “Pistino”, “Puntina” о “Risino”, come si voglia<br />
indicare questa minuta rottura del riso, era per le vacche lattifere, mescolata alle<br />
crusche di altri cereali о a foraggi poveri, anche per i cavalli. Il “Pulone”, a dire<br />
la lolla, quando non macinata e alimento al bestiame, era utilizzato come sedime<br />
per la stabulazione degli animali e nella porcilaia, oppure offerta al pollame che<br />
vi trovava residui di cui nutrirsi. Tutto utile anche a produrre letami per la fertilizzazione<br />
dei campi.<br />
Presto s’iniziò anche a macinare la lolla con la macina: la “Molazza”; nel milanese,<br />
la ruota, era ricavata dalla “breccia di Bersani”, una cava sita nei pressi di<br />
Monza. La lolla era così trasformata in farine più о meno fini, per cernita dallo<br />
“sciassetto” e poste in commercio miscelate alle crusche di altri cereali destinate<br />
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