Ecco perché questo libro si fa sfogliare e leggere con avidità. Ecco perché in questo manuale si nasconde un “romanzo”. Sì, un romanzo d’amore. Non esagero. Sono convinto che si può coltivare e lavorare il riso - mestieri duri, fatti di sacrificio, pazienza, costanza - soltanto se lo si ama: infatti nel mondo del riso si arriva raramente per caso - la fortuna toccata a <strong>Tinarelli</strong> - e chi ci si trova non è quasi mai capace di uscirne. Lasciatelo dire a un risiero di quinta generazione, come me, che ha già allevato quelli della sesta. E lasciatemi ringraziare Antonio <strong>Tinarelli</strong> di averci dato sotto forma di storia tecnica il primo “manuale d’amore” per il riso. Il piccolo, brillante, saporoso, nutriente, candido chicco, che sfama due terzi dell’umanità. Mario Preve
INTRODUZIONE Il Riso giunse in Europa dall’Asia tramite il medio oriente. Nel 355 a.C. le armate di Eumene di Cardia, uno dei generali eredi di Alessandro magno, combattendo in Persia ed avendo esaurite le scorte alimentari, trovarono in coltivazione il riso nelle terre a sud dell’antica Babilonia, tra il Tigri e l’Eufrate. Con scarso entusiasmo lo sostituirono all’abituale alimento ricavato dal miglio, dal panico о dal frumento, i cereali usuali a loro noti. La coltura del riso era stata importata in Persia dal re Dario duecento anni prima, nel VI secolo a.C., a compimento delle sue esplorazioni nell’est asiatico. Il framento, per ottenerne farina, lo si deve macinare, il riso invece rimane integro nel suo grano, però lo si deve raffinare per renderlo bianco: si devono asportare la scorza e una sottile pellicola che lo rivestono. Tutta la letteratura occidentale ricorda, in versi e prosa о con pregevoli opere d’arte, il frumento e i suoi mulini, quasi ignora il riso e l’opera dell’uomo che con superiore fatica e pazienza lo coltiva e raffina. In merito anche le opere letterarie e storiche, gli scritti di memoria sono rari e scarni. Questo è perché in occidente il riso entrò in coltura tardi e divenne alimento soltanto nel secolo XVI, durante il rinascimento. I greci e i romani lo utilizzarono principalmente, о solo, ad uso medicale - così fu pure per tutto il medioevo ovunque - talora utilizzato quale prodotto di cosmesi a impreziosire la venustà muliebre, così per secoli. La voce “raffinazione”, nella sua espressione letterale, è un termine gentile come delicata deve essere l’azione di preparazione, di sbiancamento e di pulitura dei grani del riso. Nasce grezzo, il riso, per lo scudo legnoso di protezione che riveste la sua cariosside; affinché possa essere portato ad alimento si rende necessaria una prolungata carezza, seppure ruvida, che l’uomo fa compiere da opportuni strumenti. Dal primordiale mortaio, entro cui un tempo si ponevano i grani grezzi del riso a svestirli rudemente con il pestello per renderli bianchi e in parte rotti, l’evoluzione dell’arte ha gradualmente portato l’uomo all’invenzione di nuovi strumenti per decorticare, sbiancare, pulire, tanto da rendere quei grani integri, bianchi, luminosi perlacei. In Italia, per l’approccio allo studio, alla ricerca e alla divulgazione dei processi di trasformazione cui il risone viene posto dopo la raccolta, merito e gratitudine li dobbiamo a pochi, in particolare a tre persone che operarono nei primi anni dello scorso XX secolo: sono l’ingegnere Ugo dal Buono, l’industriale del riso milanese Armando Gariboldi, e il professore Giuseppe Masinari, industriale risiero, docente universitario, scrittore: “pilatore” di Mede Lomellina. Il pregevole studio di Armando Gariboldi: “L’industria del riso in Italia” trovò pubblicazione nel 1939 e una ristampa nel 1982 a cura del figlio Emilio per intervento editoriale dell’AIRI (Associazione Industrie Risiere Italiane); resta una delle principali guide all’estensione di quanto siamo qui a ricordare. Una delle opere dell’antico amico Giuseppe Marinari: “Suda i Kupp russ ad Med” di cui mi fece in copia gradito omaggio, per la passione immessavi suona quasi una poe
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