la_toscana_marzo_2017 (1)

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Ritratti d’artista Loriano Aiazzi Il silenzio dell’anima di Barbara Santoro Quanto è curiosa la vita!!! Accompagnando un amico a Pistoia a vedere una mostra, ho scoperto un luogo suggestivo: la chiesa detta oggi di San Biagino nel pieno centro di Pistoia, costruita intorno al 1100 a pianta rettangolare, con una sola navata e un abside semicircolare, dedicata a San Biagio. Già nel XVI secolo una visita apostolica attestava il pessimo stato di conservazione dell’edificio, nel 1784 il vescovo Ricci ne decise la chiusura e il 22 giugno del 1802 fu stabilita la soppressione. Diventata prima magazzino e poi un deposito, dopo decenni di abbandono, grazie alla sensibilità delle associazioni culturali come la Massenzio Arte Artigiana e la Athena Arte, questo luogo ha potuto essere riaperto al pubblico con l’idea di ospitare eventi culturali e mostre. Visitando l’esposizione dello scultore Loriano Aiazzi, che è il secondo artista scelto per Percorsi di Fede, ho potuto vedere una piccola porzione di una Pistoia sconosciuta che meriterebbe davvero di essere restaurata a dovere ed ho chiesto all’amico Niccolò Lucarelli curatore della mostra di scrivere un articolo su questo simpatico artista per la nostra rivista. Foto di Teo Cavallini 1 1 1 Portale e abside della Chiesa di San Biagino a Pistoia 2 Crocefisso, legno di ginepro, bronzo, cristallo, ferro, cm 184,5 x 54,5 x 34,5, 2016 3 Trasparenza, bronzo, acciaio, cristallo, cm173,5 x 54, 5 x 54,5, 2016 4 Torsione, bronzo cm 82 x 65 x 25, 2005 2 3 4 22 LORIANO AIAZZI
di Niccolò Lucarelli La scultura di Loriano Aiazzi si sublima nel silenzio, condizione antica e necessaria al pensiero e all’osservazione; è da qui che inizia l’arte di questo scultore schivo delle luci della ribalta, alle quali preferisce lunghe passeggiate sulle spiagge meno frequentate, o nei boschi attorno alla sua abitazione nel Pratese. Luoghi solitari e selvaggi ma dall’indubbio fascino e con i quali ha una stretta affinità: la Corsica e il Monte Ferrato, nel Pratese, sono mete d’elezione per lunghe passeggiate contemplative, dove ispirarsi e raccogliere i materiali da scolpire. La Natura è la prima creatrice, e Aiazzi ne asseconda le forme originarie che questa porge alla sua osservazione, asseconda l’andamento sinuoso del legno e della pietra, cui aggiunge espressività e concettualità attraverso un sapiente intervento di mola e scalpello, con quella maestria che è propria di chi conosce il processo creativo in ogni sua forma, compresa quella della realizzazione tecnica: una sapienza di creazione artistica che affonda le sue radici nella tradizione rinascimentale italiana e toscana in particolare. E ancora, il silenzio permea le sue sculture ancorate a un immaginario atavico e onirico, che racchiude in sé l’essenza primordiale dell’umanità, espressa con una sobrietà formale vicina al Modernismo tribale delle Avanguardie e che rasenta la scarnità; parafrasando il giudizio del Momigliano su Leopardi, si può celebrare la “sublime povertà” del tratto di Aiazzi. Sobrietà formale e concettuale, scevra di suggestioni barocche, rivolta direttamente alla “nudità” dell’individuo, agli aspetti primordiali della sua anima e della sua psicologia, a quel suo ammirato guardarsi sospeso fra Cielo e Terra, in un continuo bisogno di conoscersi. Aiazzi è scultore d’istinto, al primo sguardo con la materia già ne intuisce la forma che ne trarrà, assecondandone l’andamento. Una sintonia che è propria dello scultore di razza, con la capacità di penetrare la sostanza nascosta del legno e della pietra, e trasferirla nella tridimensionalità e nella concretezza. Alla stregua della penna d’oca d’antica memoria, lo scalpello di Aiazzi trae dalla materia accordi poetici che si sublimano Loriano Aiazzi e Barbara Santoro in forme compiute, sintesi dell’anima dell’uomo, da sempre divisa fra la Terra e il Cielo; un’indagine, la sua, filosofica ed estetica insieme, un dialogo fra artista e materia, un porre domande attraverso accostamenti e contrasti, assecondando linee e prospettive fino a che l’opera non fiorisce, rinnovato mirum montaliano. Un dialogo apparentabile all’ars maieutica di Socrate, per quel suo “provocare” una risposta da parte della scultura attraverso un procedimento che “stimola” strumenti e materiali a reagire, a mettersi in discussione davanti all’osservatore. La scultura diventa filosofia. E se l’ars maieutica è metro di paragone circa la metodologia di Aiazzi, a livello concettuale la sua scultura esprime la sobrietà dei Cinici, che tendevano al raggiungimento della felicità e della lucidità mentale attraverso regole di vita rigorose, liberandosi dell’ignoranza e della follia. La nobile semplicità del tratto di Aiazzi raggiunge l’essenza della forma, eliminando inutili barocchismi. E nell’intero processo creativo che l’artista porta avanti nella sua scultura, che nel caso del bronzo comprende la realizzazione della forma e della formaccia, così come delle necessarie rifiniture, lo caratterizza per la sua eudaimonia, ovvero quell’autosufficienza (anche dello spirito) che qualificava la dottrina dei Cinici. Stante la sottile indagine umana condotta dall’artista, il San Giorgio che trafigge il drago è metafora del primato dell’ingegno umano sulle tenebre dell’ignoranza, sull’insana ebbrezza della follia. Così come Madri e Danzatrici si librano con la leggerezza di chi non ha condizionamenti morali. Climax della mostra, il Cristo crocefisso, vicino al cuore di chi osserva per la sofferente, legnosa carnalità che esprime, per quel suo essere uomo fra gli uomini, fratello degli ultimi. Il solido ginepro dell’aspra Corsica diventa la pagina scolpita di un Vangelo laico che racconta l’essere umano con tutto il peso della sua storia millenaria; la sfera blu, simbolo di saggezza, riposa su quell’omero che sembra squarciato, così come la lunga spina argentata trafigge il corpo per buona parte della sua lunghezza. Terra e Cielo si fondono in quest’opera che unisce la spiritualità alla crudeltà, l’alfa e l’omega dell’essenza dell’individuo. www.lorianoaiazziscultura.com LORIANO AIAZZI 23
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