SUONO n° 524
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JOËL-FRANÇOIS DURAND<br />
IL DURAND PENSIERO<br />
- Spesso sono arrivato a conclusioni che contraddicevano le teorie.<br />
Alla fine se qualcosa suona molto bene il mio compito è quello di<br />
cercare di capire che cosa ho fatto di buono ed è la cosa più difficile<br />
da fare. A volte gli errori sono più facili da capire che le buone<br />
soluzioni! Se una soluzione funziona bene ma non correla con una<br />
teoria, allora è necessario confutare la teoria.<br />
- Quando sappiamo che qualcosa suona bene? Fondamentalmente,<br />
se avete abbastanza esperienza nell’ ascolto della musica dal vivo,<br />
sapete come suona uno strumento. Questo è il suono “buono”, il<br />
riferimento. Non si tratta di capire se ti piace che qualcosa suoni in<br />
un modo o in un altro.<br />
- È impossibile ottenere la “verità” non solo perché i componenti<br />
non possono essere “perfetti” e altrettanto accurati quanto la vera<br />
musica ma anche perché, ed è la cosa ancora più importante, non<br />
abbiamo alcun controllo sul materiale originale, quello che ci viene<br />
dato come materiale sorgente: si tratta di registrazioni fatte da<br />
persone che hanno la loro predilezione per ciò che, per così dire, il<br />
suono originale era o avrebbe dovuto essere. Non possiamo sperare<br />
di “migliorarlo”, indipendentemente dai nostri pregiudizi. Allora<br />
perché non accettare questo fatto e provare “semplicemente” a fare<br />
apparecchiature che mettono in evidenza ciò che c’è, e nient’altro?<br />
sound engineer. Infine nel 1991 viene assunto dalla University of<br />
Washington School of Music di Seattle per insegnare composizione,<br />
attività a cui affianca quella di compositore, che lo ha portato<br />
a lavorare con molti musicisti e a frequentare sale da concerto sia<br />
americane che europee...<br />
Più musicista che audiofilo in apparenza se non nell’accezione migliore<br />
del termine: “Per capire e ricevere il messaggio completo di<br />
un brano musicale ho bisogno di sentirlo il più possibile, in tutti i<br />
suoi dettagli. Per esempio, in musica con texture complesse, trovo<br />
importante sentire quello che fanno tutti gli strumenti, non solo le<br />
prime o le linee secondarie...”. Certamente lontano - all’epoca non<br />
pensava che sarebbe mai tornato ad alcun tipo di sforzo scientifico<br />
- dalle dinamiche Hi-Fi; senonché nel 2008 un evento casuale fa<br />
da detonatore: “Avevo appena comprato un vecchio giradischi<br />
Rek-O-Kut su eBay (si tratta di un giradischi realizzato a partire<br />
dal 1956 dalla ditta newyorkese come alterativa economica ai<br />
Garrard e Thorens dell’epoca). Dal momento che il braccio in<br />
dotazione era rotto, avevo bisogno di qualcosa a buon mercato<br />
con cui giocare. Piuttosto che comprarne uno costruii una mia<br />
versione rudimentale. E la cosa divertente era che, almeno in<br />
parte, non suonava neanche male!”.<br />
Fin qui niente di nuovo sotto il sole (se si va a rovistare nelle biografie<br />
di molti personaggi famosi in Hi-Fi la genesi è più o meno<br />
sempre questa) se non fosse che Joel Francois Durand è sia musicista<br />
che audiofilo (entrambe le cose in modo serio e profondo), e<br />
qui sta la differenza! Così sorpreso dai risultati superiori alle attese<br />
del suo fai-da-te, attingendo al bagaglio tecnico del passato Durand<br />
comincia a pensare come realizzare qualcosa di più completo e il<br />
gioco gli prende la mano: “Passavo giorno e notte, immaginando<br />
soluzioni per tutti i piccoli problemi che ho trovato lungo il percorso,<br />
sperimentando ogni tipo di forma e materiale. Non avevo<br />
alcuna ambizione di fare qualcosa di Hi-end o anche di entrare in<br />
affari; piuttosto, una sorta di sindrome del “what if…”<br />
Non si può dire però che la classica sindrome dell’autocostruttore<br />
si fosse impossessata di Durand che fino ad allora aveva costruito,<br />
da adolescente, al massimo un set di altoparlanti e qualche altro<br />
piccolo apparecchio elettronico, il tutto senza molta convinzione.<br />
Invece dopo un paio di mesi passati nel suo garage, conscio delle<br />
limitazioni degli strumenti e della conoscenza a disposizione, decide<br />
di appoggiarsi al dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università<br />
di Washington, un luogo aperto a studenti e personale,<br />
seguendo un corso per imparare a utilizzare macchine e software<br />
messi a disposizione, compreso un programma CAD. Il braccio<br />
di lettura di sua invenzione prende sempre più forma (2008) ma<br />
fondamentale è l’incontro con Thom Mackris della Galibier Design,<br />
costruttore americano con cui Durand discute e si confronta: oltre<br />
15 prototipi per la base, 50 per la canna del braccio, con diversi<br />
disegni e tipi di legno, decine per le parti più piccole, differenti per<br />
misure, forme e materiali (soprattutto per i contrappesi). Poi gli<br />
ascolti con i beta tester, scelti nella cerchia di Mackris... Sarà proprio<br />
quest’ultimo a ospitare la neonata creatura di Durand nella sua<br />
saletta al RMAF 2009. Nasce il Talea... e quasi in contemporanea<br />
viene definitivamente messo a punto il meccanismo di regolazione<br />
dell’azimuth “on the fly” che, in quanto sviluppato all’interno<br />
dei laboratori dell’Università, diventa patrimonio e brevetto di<br />
quest’ultima e non di Durand; in compenso l’Università mette il<br />
nostro eroe nelle condizioni di trasformare un’idea in una iniziativa<br />
commerciale i cui confini si manterranno però strettamente nello<br />
specifico dei bracci di lettura, con una produzione limitata, pensata<br />
più alla ricerca dell’eccellenza che alla valorizzazione commerciale:<br />
dopo il Talea, a tutt’oggi, sono seguiti solo due altri modelli…<br />
<strong>SUONO</strong> marzo 2018 51