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DA DIECI ANNI

DA DIECI ANNI - Ciessevi

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19Giovanni IamartinoAVO MONZAPosso dire di essere diventato volontario peramore. Non l’amore per gli ammalati dell’ospedalee per gli anziani delle case di riposo, quelloè venuto dopo. Era l’amore per una bella ragazza,che di lì a pochi mesi sarebbe diventatala compagna della mia vita.Dopo aver partecipato al primo corso di formazioneper volontari ospedalieri a Monza, Rosariaaveva iniziato a fare servizio, e io andavo aprenderla a fine turno. Non vedevo l’ora di starecon lei e, naturalmente, arrivavo in anticipo all’appuntamento.Altrettanto naturalmente, leiera sempre in ritardo e – forse per scusarsi, forseper coinvolgermi nella sua esperienza – mi parlavadi sguardi che aveva incontrato, di paroleche aveva ascoltato, di emozioni che avevaprovato.Avvertendo più o meno confusamente il desideriodi fare qualcosa per gli altri, da anni erodonatore di sangue dell’Avis. Le parole di Rosariaperò mi parlavano di incontri – reali, concreti,diretti – con persone che vivevano l’esperienzadella sofferenza e della solitudine, e che potevanoaver bisogno… anche di me! Frequentatoil successivo corso di formazione, sono dunquediventato anch’io volontario Avo.Anche per me è iniziato l’incontro settimanalecon l’altro: il giovane pieno di vita con unagamba rotta, la madre di famiglia più preoccupataper i cari a casa che per la propria salute,l’anziano tutto rivolto al passato che non torna,il morente con il suo sguardo ora disperatamentevuoto ora lucidamente penetrante.Con il servizio è iniziato anche l’incontro con ilmondo dell’ospedale: i rumori dell’andirivienidel personale o dei lamenti dei pazienti, i coloritenui delle pareti o quelli vivaci di tanti pigiamae vestaglie, l’odore non sempre piacevole delcibo distribuito ai pasti e, soprattutto, l’odore(per me insopportabile) della camomilla distribuitala sera da noi volontari.Ma, soprattutto, quanti sguardi, quanti volti,quante parole, quanti gesti in tanti anni di servizio…Tra le mille persone incontrate in repartomai potrò scordare Franco: era un signore di 40-45 anni già operato di tumore che trascorrevain ospedale quelle che sarebbero state le sueultime settimane di vita. Avevo imparato ad avvicinarmia lui con delicatezza, cercando ognivolta di capire se preferiva stare solo o passarequalche momento con me. Le sue parole, le sueconfidenze, sono un dono prezioso che non homai condiviso con nessuno: si sciuperebbe selo facessi. Mi hanno fatto capire tanto, mi hannofatto crescere dentro, hanno dato forza al mioservizio, hanno dato senso – per Franco, per me– al vivere e al morire. Finito il giro dagli altri ammalati,tornavo sempre a salutarlo per ultimo.Una sera, mentre stavo per congedarmi da lui,mi gelò con una domanda: “Torni domani,vero?”. Non avrei certo potuto rispondergli: “No,ci vediamo tra una settimana. Tu resta lì adaspettarmi con il tuo dolore e la tua angoscia”.Non so se è stato l’intervento di San Gerardo,patrono dell’Ospedale di Monza, ma di sicuroqualcuno “in alto” mi spinse a rispondere spontaneamente:“No, domattina io non ci sarò, maci sarà un altro volontario che, come me, potràstarti accanto se lo vorrai”. Il sorriso sul suo voltomi permise di lasciarlo e di tornare a casaquella sera. Un sorriso che avrei rivisto ancoraper due settimane. Alla terza, il lunedì sera delmio turno settimanale il letto era vuoto. Francose n’era andato per sempre, lasciandomi undono che ancora oggi, dopo parecchi anni, midà forza in tutti quei momenti in cui le difficoltàdel servizio, le incomprensioni tra volontari e lafatica del vivere quotidiano mi spingerebberoad abbandonare un’esperienza che vivo daventicinque anni. Franco mi ha fatto comprendere,con la testa ma soprattutto con il cuore,che il volontariato è servizio, è incontro con l’altroe l’incontro individuale tra il volontario e ilmalato ha senso solo se si rinnova continuamente,nella presenza costante. Le mie assenze,le mie carenze, le parole che non so dire, glisguardi che non riesco a sostenere possonougualmente essere qualcosa di positivo solo setrovano nell’impegno del volontario che misegue la possibilità di diventare efficaci: lui conme, io con quelli che mi precedono nel servizio,solo così la nostra storia di volontari – fatta digesti semplici, piccoli aiuti, sorrisi, poche parolee tanta disponibilità all’ascolto – acquista un significatoche vale per me volontario, per i malatiche incontro, per la comunità in cui vivo.Così almeno mi sembra, fin da quando aspettavoun giovane amore fuori dai cancelli dell’ospedale.

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