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DA DIECI ANNI

DA DIECI ANNI - Ciessevi

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23Aurora PismataroASSOCIAZIONE SENECA ONLUSASSISTENZA DOMICILIARE ANZIANIMi ricordo il giorno in cui salii le scale di casasua per la prima volta, rampa dopo rampa, egià al terzo piano mi mancava il fiato. Chissàcome ci arrivava lei, al quinto piano, a più di ottant’anni….Lo capii poco a poco, conoscendoladurante i nostri incontri pomeridiani.Sentii dei passi frettolosi e la signora Agnesevenne ad aprirmi: vidi una donna piccola emagra, molto trascurata, che mi guardò negliocchi con stanchezza e diffidenza. La salutaicon un sorriso porgendole un pacchettino didolci. E fu così che riuscii a entrare.Davanti alle paste alla crema e ai budini alcioccolato cominciava sempre a sorridereanche lei e a raccontarmi che da bambina eragolosa di dolci, anche se in verità lei e i suoi cinquefratelli avevano avuto tanta fame, la famevera che le famiglie contadine avevano soffertosul delta del Po negli anni ’20. Fame e povertàavevano accompagnato la signora Agneseanche durante la guerra a Milano, dov’era venuta,ragazza, per imparare il mestiere di sarta.Mi raccontava dei bombardamenti, delle corsenei rifugi in cantina, di come cucisse bene legonne a pieghe e le camicette di seta e poi diquel bel ragazzo con cui aveva parlato duevolte ma che non era più tornato dal fronte.Ogni volta mi chiedeva che paste le avessi portatoperché non ci vedeva più granché, ma“farsi gli occhiali” – come diceva lei – “costatroppo”. E costava troppo pure il dentista: “ladentiera mi balla e la metto solo quando escoe poi mangio caffelatte e stracchino”. Peccatoche nel vassoio del pasto che il Comune lemandava ogni giorno ci fossero troppo spessobocconi di carne e pastasciutta che non riuscivaa masticare. Poi cominciava sempre a ripetermiche da trent’anni, ormai, viveva da solain quella casa. Da sola perché la sorella con cuiera venuta a Milano era morta giovane e leinon aveva mai stretto amicizia con nessun vicinoperché “sono tutti ficcanaso e non ci sipuò fidare di nessuno”. La sua paura l’avevaresa totalmente sola.Stavamo sedute a parlare davanti a un tavolo rotondo,in una stanza dai muri scrostati, con alcunifili elettrici volanti. Da una parte c’era unvecchio mobile con una vetrina da cui si vedevanotazzine spaiate piene di polvere, scatoloniper terra da cui spuntavano maglie infeltrite, eoggetti sparsi qua e là. Un bicchiere d’acqua, unvecchio carillon con una ballerina sul coperchio,una Madonnina di legno e un acquerellosbiadito con una barca sul mare. Tutto sapeva distantio. In un angolo c’era pure un piccolo mobiletto-frigopieno di cibi e scatolame scaduti. Ilfrigo non funzionava nemmeno più e la signoraAgnese non se n’era accorta perché non vedevapiù bene e la sua vita era immobile da decenni.Immobile come quel piccolo appartamentoin cui viveva, in un palazzone popolare, alquinto piano senza ascensore, con una cucinanell’incavo di una parete, un fornello con labombola del gas e un lavandino di ceramica ingrigitae piena di crepe, con un bagno che contenevasolo il water e un minuscolo lavandinosenza acqua calda. Lì dentro il tempo si era fermatoda anni, come si era fermato nel cuoredella signora Agnese. Non sognava neppurepiù una vita diversa, perché si era dimenticatache potesse esistere. Si era rinchiusa in una solitudineda cui uscivano soltanto ricordi di privazioni,delusioni e, soprattutto, rancori che l’avevanoripiegata su se stessa. Eppure l’avevo vistasorridere bevendo il tè e mangiando le pastealla crema, mentre mi raccontava i sogni cheaveva da ragazza e che ora non aveva più.Col tempo si riuscì a farle accettare un piccolofrigorifero e un televisore procurati in associazionecol passaparola, ma non si riuscì mai afarle accettare la proposta di andare a vivere inuna residenza per anziani. La signora Agnesecontinuò a fare i cinque piani di scale a piedifino al giorno in cui rientrò nella sua casa perl’ultima volta, prima di andarsene nel sonnocome mi aveva sempre detto di desiderare. E fuifelice che almeno per una volta si fosse realizzatoun suo sogno.

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