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IL PERSONAGGIO Domenica 11 aprile 2010 15 Roberto De Simone, esprit libre dell’opera classica e popolare col passato da jazzista Una vita fuori dall’Olimpo Maestro De Simone che cos’è la musica per lei? Oddio... non lo so, è come se le chiedessi cosa sono le sue orecchie! E’ un organo vitale sul quale ho sempre contato, se mi mancasse, allora sì, me ne accorgerei... Le è mai mancata? No, perché io ho scelto la musica ma per tutte le scelte, bisogna fare delle rinunce. Io le ho fatte. A cosa ha rinunciato? All’essere un compositore rinvenibile nella cerchia dei compositori. Ho scelto invece la mia strada che non rientrava nei canoni dell’ufficialità. Ho preferito la via del nuovo, del musicista oscuro, difficile da capire, malgrado praticassi una musica che era comprensibile a tutti i livelli. Ho accettato di stare nell’equivoco per quelli che hanno difficoltà a catalogarmi come musicista, perché non mi accettano come tale, considerandomi un regista e i registi a cui non piaccio come regista, che mi ritengono solo un musicista! Scelte che si pagano sulla propria pelle. Lei come le ha pagate? Uscendo dall’ambiente ufficiale che mi garantiva, ad esempio, un sicuro posto di insegnante al Conservatorio. Poi mi resi conto che per campare dovevo fare concerti e dovevo entrare in un giro di persone che non mi piacevano affatto. Quali? La borghesia supponente, le persone che non sanno e che presumono di sapere e di giudicare e con questa gente, io non ho mai voluto dividere nulla, nemmeno il lavoro. Napoli è una città dove c’è una delle più brutte borghesie che suppongono di essere colte, di capirne di arte, invece in molti casi è solamente gente ignorante, collusa col potere, sempre, di tutti i colori. Prima era collusa con Lauro, in questi ultimi tempi è collusa con il regime di sinistra. Ritengo che siano loro i responsabili del declino politico di Napoli. Maestro lei è passato dalla composizione, alla scrittura, alla regia e rivisitazione di opere liriche e teatrali, la musica è trasversale? Io credo di sì. La classificazione che si è voluta dare alla musica dipende dal fatto che essa è continuo apprendimento. Tutt’ora io imparo E lo faccio ascoltando, ne parlavamo spesso di questo con Nino Rota, un uomo di successo, oltre che un grande musicista. E lei si ritiene un uomo di successo? Per carità, no! Io sono fuori dal sistema. Se non fosse così, non starei in una casa in affitto, non vivrei di una pensione di 940 euro con l’aggiunta di una specie di sussidio mensile della Siae (500 euro) che viene riconosciuto ad alcuni autori come me, non miliardari ! Ringraziando la Madonna dell’Arco, sono attivo, lavoro e guadagno. Come ho sempre fatto, sin da giovane. Quando era clavicembalista dell’Orchestra Scarlatti? Si ma prima di quello, in certi momenti particolarmente neri, ho fatto anche il night club ! Il maestro contro le lobby sindacali nei teatri e il divismo mordi e fuggi. Allevi? Bocciato Napoli ricca di giovani geni che finiscono a fare gli sguatteri perché incompresi A lato una scena de"Il Convitato di Pietra" regia di Roberto De Simone Foto Luciano Romano©Teatro di San Carlo Quando e dove? A Napoli facevo parte di un complesso che suonava in un night per marittimi, il “Seamen’s club” si trovava a Palazzo Reale. Cosa suonavate? Musica americana, Col Porter, ad esempio. “Beguin to beguine”! Sì, non solo, anche Gershwin, eravamo molto apprezzati, sa? Chi c’era con lei ? Il maestro Reina, che era un virtuoso della chitarra elettrica e del mandolino, il maestro Avitabile, un batterista, un bassista e, naturalmente, una cantante molto brava…poi si sposò se ne andò in A lato il maestro Roberto De Simone nato a Napoli il 25 agosto 1933 (nipote dell’omonimo zio, attore teatrale e cinematografico), cominciò a studiare pianoforte all’età di sei anni Foto Luciano Romano©Teatro di San Carlo America.. Fu un’esperienza che mi arricchì tantissimo come giovane musicista perché mi avvicinò ad un genere che non conoscevo, altrimenti sarei rimasto chiuso nell’ambito della musica classica. Cosa ne pensa dei giovani musicisti? Ce ne sono di bravi e desiderosi di apprendere, ma devono anche trovare la persona disposta a mettere in discussione se stessa. Io lo faccio tutti i giorni. Per me fare uno spettacolo o scrivere un’opera musicale è sempre un foglio bianco che devo riempire. Quando ero al conservatorio davo molto spazio agli allievi gli davo modo di scrivere, comporre. Ma ci vuole LA BIOGRAFIA Compositore, regista, musicologo e drammaturgo Roberto De Simone, napoletano per nascita e vocazione artistica è uno dei massimi esperti di musica popolare della tradizione campana. Studente del Conservatorio di San Pietro a Majella, quindicenne, nel ’47, esegue il Concerto per pianoforte e orchestra K. 466 di Mozart per il quale scrive anche le cadenze. Nel ‘67 dall’incontro con Eugenio Bennato e Giovanni Mauriello, nasce la Nuova Compagnia di Canto Popolare, di cui diventa l’animatore: nel ’76 La gatta Cenerentola, opera scritta e musicata dallo stesso De Simone, consacrerà il maggior successo della Compagnia, determinandone però anche il suo scioglimento. Ma la ricerca di De Simone negli anni ‘80 non conosce battute d’arresto: L’Opera buffa del Giovedì Santo, La Festa di Piedigrotta, e Mistero Napolitano sono tra i massimi esempi. Non si contano le regie di liriche: il Don Giovanni di Mozart, La Serva Padrona di Pergolesi, tra i suoi maestri preferiti. Senza però trascurare opere di Rossini e Verdi. Dal 1981 al 1987 è direttore artistico del Teatro San Carlo di Napoli. Nel ‘95 è alla guida del Conservatorio di San Pietro a Majella, tre anni dopo Accademico di Santa Cecilia e Chevalier des Arts e des Lettres della Repubblica Francese. La sua “Olimpiade in Pergolesi” inaugurerà la stagione lirica 2010-2011 del Massimo napoletano. anche competenza per capire dov’è, la fiammella dell’ arte. E di Giovanni Allevi? Mi faccia un’altra domanda. Com’è il pubblico della lirica? In molti casi è ignorante, suppone di sapere, ma frequenta il teatro solo per rappresentanza sociale. Insomma un’ipocrisia di fondo che nella tradizione popolare non c’è perché la musica viene praticata come rituale religioso, in quanto necessaria alla rappresentazione della società stessa. Lei è uno studioso della tradizione popolare musicale… Mi definirei un etnomusicologo. Ho fatto ricerche nel Cilento sulle tradizioni popolari musicali della Pasqua e le ho raccolte in sette cd di prossima uscita. Ora sto girando in costiera amalfitana dove ho trovato una testimonianza straordinaria: congreghe che hanno tradizione di musica polivocale tramandata oralmente, tipica di quel mondo dove c’è ancora l’estemporaneità della esecuzione. In fondo anche oggi si improvvisa... Ma quella di oggi non è improvvisazione che era tipica della musica d’arte, anche Mozart improvvisava. Piuttosto è superficialità perché regna il divismo del tutto e subito. Non si capisce invece l’importanza di dover costruire la propria personalità. In che modo? Innanzitutto smontando i parametri di certa cultura di destra ma anche di sinistra che ha creato il cosiddetto giovanilismo valso soprattutto a illudere che la cultura sia cosa facile e che i giovani siano comunque e tutti preparati. Una sorta di supporto per giustificare molto spesso manifestazioni che non hanno nulla a che fare, né con la cultura, né con i giovani. Binomio difficile a Napoli? La nostra è una città meravigliosa, ricca di geni giovani che vengono condannati a fare gli sguatteri perché non se ne capisce il valore. Qui come altrove si è dato spazio molto spesso ad autorità che non hanno alcun diritto di essere autorità culturali e che hanno emarginato coloro che sanno, forse perché danno fastidio, escludendoli da qualsiasi attività istituzionale. La sua ricetta? Cambiare le regole, quelle cattive del sindacalismo che ha rovinato teatri e conservatori. Delle scuole dove non si studia più il latino e il greco provocando il degrado della cultura in generale...Dei giornalisti che diventano scrittori producendo libri di cronaca, pseudo-sociale. L’ultimo libro sul comodino? C’è sempre la partitura del “Don Giovanni” di Mozart e lo “Stabat Mater” di Pergolesi, i miei maestri per eccellenza. Nelle sue opere c’è un rapporto forte con la tradizione religiosa. Lei è credente? Non potrei non esserlo, mi sento cristiano perché sono nato, nella tradizione cristiana. Da anni ormai, pensando agli insegnamenti di mia madre, per tutto il tempo della quaresima pratico il digiuno della carne, anche se poi non sono molto osservante, vado molto poco a Messa perchè non mi sento in comunione con gli altri fedeli. Credo che Dio nella sua immensità incomprensibile è dentro di noi. Anche nei geni della musica c’è qualcosa di divino. Ha paura delle morte? Finché si vive, è impossibile pensare alla morte. E’ come immaginare la Cina senza esserci mai andato. So solo che non mi farò certamente seppellire a Napoli, in vita ci sono stato molto male. E dove? Ho già pensato a un luogo lontano, in campagna. L’Irpinia magari.