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EDITORIALE Domenica 11 aprile 2010 In una società soggetta a un costante invecchiamento i giovani sono una risorsa preziosa Il talento in una scarpa Una domanda ricorrente: qual è la più seria prospettiva per le nuove generazioni? 5 (continua dalla prima pagina) VANNI RONSISVALLE “I nvestono tutto sui giovani” dichiarò lo scrittore alla presentazione del suo libro. “Scommettono tutto sulle nuove generazioni” fu la testimonianza del pittore. Ne scaturisce ancora una riflessione. L’Europa, noi italiani in Europa e noi in Italia soprattutto al Sud, in tutto questo non siamo neppure pietra di paragone; semmai siamo un grumo complesso di problemi senza prospettive. Mentre la signora Gelmini, che per darsi una laurea è dovuta scendere dal nord a Reggio Calabria, annichilisce la scuola, l’università – ossia quello che è il primo investimento sui giovani – con tagli devastanti. *** “Lo sapete che ai bambini a scuola già dai primi anni insegnano a comporre poesie?” raccontava l’autore de Il gigante Cina, Carlo Bernari, un napoletano che avrebbe costruito la sua fama di scrittore proprio scavando nella realtà drammatica del nostro Sud. Sembrava una incoerenza, un popolo di ingegneri, che sposta il letto di grandi fiumi sommergendo interi villaggi come nulla fosse, di informatici che oggi con un gigantesco motore di ricerca nazionale, il Baidù, consentono ai governanti, che ritengono i Diritti dell’Uomo un pettegolezzo borghese, di mettere alle corde Google come niente fosse: no, i cinesi investivano già allora, quando Hu Jintao era un bambino, anche nei futuri poeti. E quando ci si è chiesto proprio di questi giorni come sia stato possibile il sorpasso, cioè quella che fino all’altro ieri era l’immagine universalmente vincente degli Stati Uniti declassata al secondo posto, gli analisti hanno detto la stessa cosa di cinquanta anni addietro. Forse per quel mixer spregiudicato di comunismo e capitalismo? L’aver shakerato insieme Marx e Adam Smith, quel fiuto per le debolezze dell’occidente? Anche, ma coralmente il giudizio scaturito da quella analisi è stato: hanno investito tutto sui giovani. A giugno dell’estate scorsa, mentre più nere e cupe si addensavano le nubi della grande crisi (che non ci darà nemmeno la consolazione di quella del ’29: la grande letteratura, i grandi romanzi americani, da Steinbeck a Caldwell che la raccontarono, non vedo in circolazione scrittori di quella grandezza) a più di mezzo secolo da quel libro carico di presagi Il gigante Cina, l’Europa si sveglia e lassù a Bruxelles si ripromettono di adottare una strategia rivoluzionaria (sic!), investire nei giovani e conferire loro maggiori responsabilità. Responsabilità? *** In una società soggetta ad un costante invecchiamento, i giovani costituiscono una risorsa preziosa. Che è persino un modo curioso di porre il problema. Il paradigma giovani/vecchi non funziona; e se l’esempio cinese potrebbe accentuare il senso di colpa degli europei va ricordato che ai vecchi in Cina – Marx non c’entra, Confucio certamente – vengono attribuiti ruoli altrettanto indispensabili bilanciando entusiasmo e vigore dei giovani con saggezza ed esperienza, un capitale di risorse non indifferente; laddove il tempo che passa, una volta tanto, non è una realtà negativa, in fatto di generazioni e generazioni che si succedono come ondate. La longevità intellettuale è frutto del progresso non solo sanitario ma culturale che non è un ludico diversivo; la centenaria Rita Levi Montalcini – una paladina della ricerca affidata ad un vivaio di giovani ricercatori – è assurta a simbolo di come stanno le cose: il gap non è tra i vecchi ed i giovani, ma tra chi sa e chi non sa perché chi ne aveva il dovere non si è preoccupato di equipaggiare, armare i giovani verso le nuove realtà sociali, economiche, industriali, imprenditoriali incombenti; laddove le lauree servono soltanto per scrivere Dott. o Prof. sul biglietto da visita di giovanotti senza futuro. In una città del Sud come Messina, i laureati in forza nella Nettezza Urbana e tra i becchini del cimitero sono una falange di depressi e sfiduciati non tanto nella Provvidenza del cielo ma nella capacità, L’Italia è all’ultimo posto tra i Paesi del G8 che investono sul “domani” La politica compromette le fortune morali e sociali dei nostri figli nell’onestà di chi doveva organizzargli la vita sin da piccoli qui sulla terra. I politici? Ma i politici siamo noi che abbiamo facoltà di voto. In giugno dell’anno scorso la commissione europea auspicava strategie transettoriali per i giovani. Altro che i piccoli poeti cinesi in fieri, la capacità di sfiorare i vertici della oscurità espressiva da parte dei burocrati della politica batte i lirici del più arduo ermetismo, da Mallarmé ai Paroliberi Futuristi. Strategie transettoriali, mah! Si individuano con chiarezza, questo sì, i settori in cui favorire i giovani europei. L’istruzione, l’occupazione, la creatività e l’imprenditorialità, l’inclusione sociale (sic!), la salute e lo sport, la partecipazione civica e il volontariato. E chi può dissociarsi da questi propositi? La buona salute? Obama, presidente di una nazione che ha perso il primato rispetto alla Cina, con la riforma sanitaria investe sulla salute degli americani; ossia sul futuro del loro corpo, indispensa- bile al conseguimento della felicità che è all’articolo uno della loro Costituzione. Qui al Sud, tra la gente normale che li preferisce bamboccioni piuttosto che vagabondi morti di fame in cerca di un tetto (se i nostri figli a diciotto anni li avessimo scaraventati in un mondo come questo) il loro futuro è un’ossessione. Solo che se la politica ha un senso, cioè se la politica siamo noi nel delegare ad altri, che vi si dedicano, compresa la signora Gelmini, le fortune spirituali, morali, sociali, economiche dei nostri figli il loro futuro l’abbiamo ucciso noi. La ricerca? Siamo scesi al di sotto del 1% del Pil. Rischiamo di uscire dal club dei paesi sviluppati (che comunque quanto al pittoresco, per la nostra presenza, somiglia sempre di più al dickensiano Circolo Pickwick): un taglio di un miliardo e quattrocento milioni di euro non è tirare la cinghia ma stringere il cappio a cui impiccare i nostri giovani. *** Mentre Gran Bretagna, Francia, Germania moltiplicano le risorse noi siamo all’ultimo scalino tra i paesi del G8. Ci salverà il made in Italy? Per concludere come nel varietà degli Anni Quaranta, quando per congedarsi dalla platea magari un poco delusa dalla bellezza delle ballerine si calava il sipario su una gag: un provvedimento all’insegna del largo ai giovani è il seguente; e c’entra ancora la Cina. Poiché la Cina ci batte anche in quello che era una volta il nostro primato (sulla Fifty Avenue la moda italiana spopolava, oggi non più) accanto ai provvedimenti antidumping del Consiglio dei Ministri europeo relativamente alle calzature in pelle e cuoio con cui ci invadono i figli dell’ex Celeste Impero, ecco una di quelle trovate, non sciocca per carità, anzi accattivante e fantasiosa. Ma è come quella lodevole iniziativa dei pagliacci che circolano negli ospedali pediatrici per far sorridere i bambini malatissimi. Lo slogan è esaltante, come una chiamata alle armi che rifocilla lo spirito concusso e raggrinzito nella sfiducia di chi, invece della croce del Nazareno in tempi pasquali, si porta addosso un’interrogativo altrettanto drammatico sul proprio avvenire: Un talento per la scarpa. Suona come lo shakespeariano Il mio regno per un cavallo ma con l’intento lodevole di agevolare giovani che nutrono la sincera vocazione di disegnare sandali per le signore; che è certo una risorsa, uno scommettere sul futuro di una di quelle voci che hanno reso famosa l’Italia del falso boom Anni Sessanta; ma sino a ieri. Alla faccia della Gioconda dietro cui si cela l’inventore di macchine alate Leonardo, di Galileo, di Malpighi, di Marconi, di Fermi e della sopravvissuta della grande pattuglia di geni italiani, la ultracentenaria Rita Levi Montalcini. Investire sui giovani perché tra loro si annoverino domani non soltanto grandi talenti agè, ma gente che ha attinto a quel genere di felicità citata all’articolo Uno della Costituzione americana, passando per l’articolo Uno della nostra Costituzione: il Lavoro su cui è fondata. Parola di un grande, onesto meridionale che vi appose la prima firma. Si chiamava Enrico De Nicola, napoletano. vannironsisvalle@virgilio.it