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Enea è sbarcata a Portici

Numero 43 - Scuola di Giornalismo - Università degli Studi di Salerno

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ITALIA / MONDO Domenica 20 marzo 2011<br />

23<br />

Le truppe fedeli al Rais Gheddafi e le milizie ribelli si contendono la Libia<br />

Il caos a 300 km dall’Italia<br />

Mentre il Paese <strong>è</strong> spaccato in due la comunità internazionale <strong>è</strong> alla ricerca<br />

di una unitaria linea politica per porre un freno alle violenze<br />

Crisi egiziana<br />

Scontri<br />

religiosi<br />

al Cairo<br />

Tripoli bel suol d’amore cantavano<br />

i soldati italiani nel 1911 quando<br />

partirono alla conquista della<br />

Libia. Di vero in quelle parole c’<strong>è</strong><br />

sempre stato poco, molto poco. La<br />

Libia <strong>è</strong> una terra dura, arida, abitata<br />

da genti fiere, divise in più di<br />

cento tribù. Ognuna di esse ha un<br />

proprio capo e le proprie tradizioni<br />

<strong>è</strong> gelosissima della sua autonomia<br />

e, da quando sono stati scoperti<br />

importanti giacimenti di<br />

petrolio e gas naturale, anche dei<br />

proventi derivanti dalla vendita di<br />

queste preziose risorse.<br />

Chi ha provato a prenderne il controllo<br />

si <strong>è</strong> subito reso conto che<br />

non sarebbe stata un’impresa facile.<br />

Noi italiani impiegammo più di<br />

vent’anni per pacificarla pagando,<br />

e facendo pagare, un prezzo pesantissimo<br />

in termini di vite umane,<br />

che ancora oggi ci viene rinfacciato.<br />

Ora <strong>è</strong> la volta del Rais Muammar<br />

Gheddafi che, dopo quarant’anni<br />

di potere pressoché assoluto,<br />

sta disperatamente lottando<br />

per mantenerne il controllo.<br />

L’effetto domino provocato dalle<br />

rivolte che hanno insanguinato le<br />

piazze delle vicine Tunisia, Algeria<br />

ed Egitto <strong>è</strong> giunto in Libia il 15 febbraio.<br />

Epicentro la città di Bengasi.<br />

Le manifestazioni di piazza, represse<br />

duramente dalle forze del<br />

regime, sono degenerate in un’aperta<br />

ribellione estesasi in quasi<br />

tutto il Paese.<br />

Alcune tribù si sono schierate dalla<br />

parte dei rivoltosi, altre rimangono<br />

fedeli al Rais, altre ancora aspettano<br />

di capire come si evolveranno<br />

gli eventi per scegliere da che parte<br />

stare. Stessa sorte <strong>è</strong> toccata all’esercito,<br />

dove alcuni reparti hanno<br />

disertato mentre altri sono scesi in<br />

strada per difendere Gheddafi. Il<br />

dittatore libico non ha esitato ad<br />

arruolare contingenti di mercenari<br />

stranieri che obbediscono solo ed<br />

esclusivamente ai suoi ordini, la<br />

cui ferocia <strong>è</strong> diventata presto nota.<br />

Una guerra civile <strong>è</strong> dunque in atto<br />

nel Mediterraneo davanti agli<br />

occhi attoniti dell’Italia e dell’Unione<br />

Europea. Le coste della Libia<br />

distano appena 300 km dall’isola di<br />

Lampedusa, da sempre meta privilegiata<br />

dei flussi clandestini che<br />

abbandonano il Nord Africa diretti<br />

nel vecchio continente. L’azione<br />

di contrasto svolta da Gheddafi,<br />

dopo gli accordi firmati con Berlusconi,<br />

si <strong>è</strong> già allentata e costituisce,<br />

assieme alla questione energetica,<br />

una delle minacce con cui il<br />

Colonnello lancia segnali all’Occidente.<br />

Il messaggio <strong>è</strong> chiaro: «Se<br />

perdo il potere la Libia diventerà<br />

facile presa del fondamentalismo<br />

islamico e sarete invasi da milioni<br />

di disperati; se aiuterete i ribelli ma<br />

riuscissi a riprendere il controllo<br />

del Paese, potete scordarvi petrolio<br />

e gas naturale a buon prezzo».<br />

L’importanza della posta in palio,<br />

sicurezza ed energia, <strong>è</strong> quindi altissima<br />

e contribuisce non poco a<br />

creare disagi e divisioni in seno alla<br />

comunità internazionale. Ci si<br />

trova ad affrontare una situazione<br />

poco chiara e con tempi di stabilizzazione<br />

sconosciuti, il tutto senza<br />

aver nemmeno analizzato le implicazioni<br />

di carattere etico-morale<br />

derivanti dall’aver sostenuto per<br />

anni un dittatore che non ha esitato<br />

ad autorizzare indiscriminatamente<br />

l’uso della forza sul suo stesso<br />

popolo.<br />

Al centro di tutto questo c’<strong>è</strong> l’Italia,<br />

costretta più di tutti a dover gestire<br />

con la giusta oculatezza la situazione<br />

a causa delle ripercussioni che<br />

potrebbe subire. Non solo in materia<br />

di ordine pubblico ma anche a<br />

livello economico. L’interscambio<br />

tra i due Paesi, per il solo 2010, ha<br />

mosso un giro d’affari di quasi 20<br />

miliardi di euro e sarebbe aumentato<br />

ancora dopo il trattato siglato<br />

(ironia della sorte) proprio a<br />

Bengasi 3 anni fa. L’Italia <strong>è</strong> uno tra<br />

i principali partner della Libia e si<br />

colloca al primo posto per esportazioni<br />

di armi. Quelle stesse armi<br />

(aerei, elicotteri e missili) che vengono<br />

ora utilizzate da entrambe le<br />

fazioni (soprattutto le forze lealiste)<br />

e per le quali potremmo pagare<br />

un prezzo salatissimo. Occorre<br />

inoltre considerare la presenza di<br />

fondi libici in alcune delle principali<br />

aziende italiane quali Unicredit,<br />

Eni, Finmeccanica e tante altre<br />

per le quali l’Ue ha imposto il blocco<br />

e che potrebbero, presto o tardi,<br />

risentirne gli effetti. La paura <strong>è</strong><br />

quella di scoperchiare il vaso di<br />

Pandora e non essere in grado di<br />

richiuderlo<br />

Violenti scontri sono scoppiati<br />

alla periferia del Cairo tra cristiani<br />

e musulmani. Gli incidenti,<br />

durante i quali sono morte 13<br />

persone ed oltre 140 sono rimaste<br />

ferite, sono l’ultimo atto di<br />

una serie di violenze che hanno<br />

coinvolto la minoranza cristiana.<br />

Pochi giorni prima una chiesa<br />

copta era stata data alle fiamme.<br />

Per protesta migliaia di persone<br />

avevano inscenato una<br />

manifestazione davanti alla sede<br />

della tv di stato ed a Piazza<br />

Tahrir, teatro della rivolta che<br />

pochi mesi fa ha portato alla<br />

caduta del regime di Mubarak.<br />

L’assenza di polizia ha permesso<br />

ad un manipolo di estremisti<br />

islamici di assalire i manifestanti<br />

con pietre e coltelli; solo l’intervento<br />

dell’esercito ha permesso<br />

di riportare la situazione alla<br />

normalità. I Fratelli Musulmani<br />

hanno accusato il Partito Nazionale<br />

Democratico dell'ex presidente<br />

Mubarak, e la Sicurezza<br />

di Stato, il servizio investigativo<br />

del ministero dell’Interno, di<br />

essere all'origine degli scontri tra<br />

le fazioni.<br />

Alfano garantisce: «Con questo sistema pm e cittadino allo stesso livello»<br />

Giustizia approvata la riforma<br />

Insorgono l’opposizione e l’Anm: «Provvedimento iniquo e ad personam »<br />

Nessun argomento ha provocato tante discussioni<br />

e polemiche in Italia quanto il tema della<br />

giustizia e del rapporto esistente tra mondo<br />

politico e magistratura. Uno scontro istituzionale<br />

che, soprattutto in riferimento alle ultime<br />

vicende che coinvolgono il presidente del<br />

Consiglio Silvio Berlusconi, ha profondamente<br />

scosso l’opinione pubblica. Da più parti e da<br />

molto tempo ormai si chiede una riforma del<br />

sistema giudiziario che possa riequilibrare i<br />

poteri dello Stato e garantire quella democrazia<br />

che si richiede ad un Paese come l’Italia. Ci<br />

aveva provato in passato Massimo D’Alema<br />

con la famosa bicamerale ma alla fine il progetto<br />

fallì miseramente (Berlusconi venne accusato<br />

di essere il principale responsabile del fallimento).<br />

Ne ha parlato anche Napolitano a fine<br />

2009 in un incontro con le alte magistrature<br />

della Repubblica. Certo, trattandosi di una<br />

riforma costituzionale la questione <strong>è</strong> delicata e<br />

ogni possibile cambiamento deve essere analizzato<br />

sotto tutti i punti di vista. Il Guardasigilli<br />

Angelino Alfano si <strong>è</strong> messo all’opera per la stesura<br />

di un piano di riforma. Progetto che ha<br />

avuto il via libera dal consiglio dei ministri il 10<br />

marzo ma che per entrare subito in vigore<br />

dovrà essere approvato due volte da Camera e<br />

Senato e con il consenso dei 2/3 dei parlamentari;<br />

in caso contrario dovrà esserci un referendum<br />

(senza quorum) tra i cittadini. La riforma<br />

costituzionale della giustizia sarà attuata da<br />

una decina di leggi ordinarie e accompagnata<br />

da un action plan del Governo italiano per<br />

abbattere i tempi del processo civile e la rilevante<br />

mole dei giudizi arretrati. Ciò costituisce<br />

il cuore della riforma, quello che il premier ha<br />

definito «il giusto processo» ossia il poter<br />

garantire una reale parità tra accusa e difesa e<br />

una risoluzione del caso in tempi ragionevoli.<br />

Saranno apportate delle modifiche sostanziose<br />

in diversi settori: separazione delle carriere tra<br />

magistratura giudicante e requirente, creazione<br />

di un secondo Csm, ritorno all’inappellabilità<br />

delle sentenze di assoluzione in primo grado,<br />

maggiori poteri al ministro della Giustizia,<br />

nuovi rapporti tra Pm e polizia giudiziaria e<br />

Pagina a cura di<br />

FRANCESCO SERRONE<br />

nuove norme in materia di intercettazioni. Tra<br />

i punti più discussi l’attribuzione della responsabilità<br />

civile alle toghe chiamate a rispondere<br />

di tasca propria in caso di macroscopici errori<br />

giudiziari o di evidenti disservizi a loro imputabili.<br />

Per Berlusconi si tratta di «una svolta epocale<br />

- che ha proseguito - se fosse stata fatta 20<br />

anni fa, non ci sarebbe stata l'invasione della<br />

magistratura nella politica e il cambiamento di<br />

una intera classe dirigente nel '92-’93». Di parere<br />

opposto l’Anm che per bocca del suo presidente<br />

Luca Palamara ha parlato di «una riforma<br />

punitiva il cui disegno complessivo mina<br />

l'autonomia e l'indipendenza della magistratura<br />

e altera sensibilmente il corretto equilibrio tra i<br />

poteri dello Stato». Dello stesso parere le opposizioni<br />

con i leader del Pd e dell’Idv che hanno<br />

annunciato una serie di iniziative di protesta<br />

contro il decreto. Franceschini ha già fatto<br />

sapere che il Pd farà un’opposizione «dura e<br />

intransigente» mentre per l’ex magistrato Di<br />

Pietro la riforma «non <strong>è</strong> degna nemmeno del<br />

peggior vecchio stato sudafricano» e non farà<br />

altro che portare «zero tolerance per la povera<br />

gente e tutto tolerance per i boiardi di Stato e<br />

per le cricche del potere». Polemiche, dunque,<br />

che sono destinate a proseguire ancora a lungo<br />

ed i cui effetti non sono preventivabili. Si può<br />

affermare: indipendentemente dal fatto se vi<br />

saranno modifiche o meno e se la riforma<br />

entrerà in vigore o no, ciò che più conta <strong>è</strong> che,<br />

in tutti i casi, vengano garantite le libertà e i<br />

diritti fondamentali dei cittadini.

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