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leggi - Fuocolento

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• la CUriositÀ •<br />

e testimonianze più significative di quel tempo si riferiscono ad alcune preparazioni.<br />

L<br />

Lo stàk: Ovvero lo stàch. Si prepara mettendo a cuocere in una pentola fagioli e in un’altra patate sbucciate. Quando le patate sono<br />

cotte, colano l’acqua, si aggiungono i fagioli, pure cotti e sale. Con l’apposito matterello si pesta tutto nella caldaia tolta dal fuoco e a<br />

lungo finchè il pastone si è amalgamato. A parte si frigge burro o lardo, poi si versa il condimento sul pastone, si mescola ancora, poi lo<br />

si mangia.<br />

Lo stoco: Quello di Villanova delle Grotte era preparato con patate, tegoline larghe, pezzo di cotenna di lardo stagionato, formaggio<br />

latteria vecchio, sale.<br />

L’òlaz: In un tegame si mette burro, latte annacquato e si fa bollire; si aggiunge un po’ di farina di granoturco oppure di frumento e si fa<br />

cuocere 15-20 minuti; si serve con una polentina tenera di granoturco.<br />

Il mosenich: In una pentola si cuociono i fagioli, poi si versano con l’acqua nella caldaia della polenta; si aggiunge acqua a sufficienza,<br />

si mette a fuoco, mandando a bollore e poi versando, adagio, farina di granoturco, tanta quanto basta, per fare una polentina tenera da<br />

mangiarsi con il cucchiaio. Si cuoce a fuoco moderato per circa tre quarti d’ora, indi si versa nelle ciotole, ognuno nella sua lasciando<br />

raffreddare, poi mangiando con il latticello.<br />

La gamperesa: Da una polenta ben soda e raffreddata si ritagliano delle fette di piccolo spessore. Si fanno abbrustolire al momento di<br />

servire. Si fa dorare la cipolla affettata con olio, sale e pepe, con cui si ricoprono le fette di polenta. Si servono calde.<br />

La pozganik: Si trova salendo oltre il paese di Losevera, nel cuore delle Alpi Giulie. Si fanno dorare le salsicce nel burro togliendole poi<br />

dal tegame. Nel sugo di cottura si versa la farina di grano, lasciandovele rosolare, aggiungendo poi del latte e un po’ di sale. Si fanno<br />

cuocere lentamente e quando cominciano a bollire, si rimettono in tegame, lasciandole sul fondo ancora per qualche minuto, finchè<br />

l’intingolo è diventato denso. Si servono con polenta.<br />

Il podorièvac: In un tegame si scioglie un poco di grasso aggiungendo del latticello e mescolando con poca farina e sale. Si cuoce finché<br />

si rapprende a mo’ di pappetta e poi si versa sulle fette di polenta sistemate sul piatto.<br />

Il toc’ scùtin: Si usa ancora negli stavoli. Si mette in un tegame un po’ di burro e si frigge bene; poi vi si versa un mestolo di ricotta<br />

fresca, si sala e si frigge cinque minuti mescolando sempre; vi si aggiunge acqua fresca in quantità sufficiente perché il pastone diventi<br />

quasi liquido, ma non troppo. Quando l’acqua aggiunta bolle, si mescola in modo da stemperare eventuali grumi per ottenere un<br />

intingolo.<br />

Il minestròn: È fatto con tutte le verdure tradizionalmente disponibili: patate, fagioli, cavoli, rape, radicchio e talvolta qualche erba<br />

di campo; niente sapori, niente pasta e tanto meno riso. Le verdure cuociono a lungo, anche quattro o cinque ore. A metà cottura<br />

vengono aggiunti il sale ed un osso di maiale; quest’ultimo viene pulito dalla carne, seccato o affumicato e conservato in apposite casse<br />

ermeticamente chiuse. Quando il preparato si scodella, l’osso viene tolto e messo da parte per la minestra del giorno dopo. Ogni osso<br />

condisce per tradizione soltanto due minestre.<br />

Ocikana: Una volta all’anno, alla sagra del paese oppure alla festa di nozze, il pranzo di gala si basava su un sol piatto specialissimo<br />

costituito dalla ocikana. Si mescolano farina di granoturco e farina di frumento in parti uguali e si prepara una polenta molto tenera<br />

che si prende a cucchiaiate e si dispone a strati in una grande scodella. Sopra ogni strato si cosparge abbondante formaggio vecchio<br />

grattugiato e poi si condisce con molto burro cotto fino all’arrossamento. La polenta deve quasi nuotare nel grasso. La mangiavano con la<br />

forchetta un boccone alla volta, tutti dalla stessa scodella.<br />

I gjàmbars: Vera specialità storica di tutta la vallata del torrente Torre. Gamberi di acqua dolce, spesso anche molto grossi, catturati una<br />

volta in grande copia (per tanto tempo hanno scontato l’effetto di un diffuso, pesante inquinamento delle acque correnti) anche nei tanti<br />

torrentelli e nel vicino Cornappo; i sistemi seguiti erano molto curiosi, utilizzando per esempio fascine di legna ove l’esca era costituita<br />

talora dal semplice sterco di mucca, talaltra da vermi su cui il gambero chiudeva le sue chele senza lasciare mai la presa. A volte si<br />

potevano prendere semplicemente con le mani. Questi crostacei, che colati in un paiolo bollente - sempre con la testa in giù affinchè<br />

morissero immediatamente, arrossando in pochi minuti - sono da mangiare rigorosamente nei mesi senza la erre e, secondo un’usanza<br />

che crede le acque dove vivono dotate di magiche virtù, con un filtro secondo cui: “…due che ne bevano dallo stesso boccale saranno<br />

presi da vero amore…”. Così: “… nei recipienti in cui vengono portati in tavola i gjàmbars, si gettano i gusci succhiati, si versa del vino<br />

nell’olio rimasto in fondo, finchè (...) i gusci nuotano quali rottami in un naufragio; indi si beve la ghiotta mistura a turno, dallo stesso<br />

recipiente”-. Questo rito è ancora ben vivo nella memoria dei più anziani di Vedronza, Taipana, ove si è convinti che con la progressiva<br />

riduzione accertata dei carichi inquinanti delle acque del Torre e del Cornappo soprattutto, i gamberi nostrani potranno in breve<br />

ritrovare un habitat più confacente.<br />

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GiUGNo 2012

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