febbraio 2011 - Libertà Civili
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Documentazione e Statistiche<br />
libertàcivili<br />
Statistica, demografia e immigrazione<br />
La svolta<br />
necessaria:<br />
il passaggio<br />
dagli studi<br />
demografici<br />
agli studi di<br />
popolazione<br />
per<br />
comprendere<br />
tutte le<br />
interrelazioni<br />
della<br />
popolazione<br />
con l’ambiente<br />
che la<br />
circonda<br />
150 <strong>2011</strong> gennaio-<strong>febbraio</strong><br />
che, guardando soltanto i dati delle tendenze della popolazione<br />
totale e di quella in età lavorativa del Giappone, aveva trovato la<br />
spiegazione della crisi economica di quel Paese. Ma avremmo<br />
potuto e dovuto farlo anche noi. E così anche per le ripartizioni<br />
italiane, mettendo in relazione questo tipo di dati con quelli<br />
della dinamica del Pil si ricavano indicazione di estremo interesse,<br />
sia in termini di sviluppo che di federalismo fiscale.<br />
Qualcuno ritiene che questo tipo di analisi non sia affare dei<br />
demografi. Ma io, nato e cresciuto alla scuola di Nora Federici,<br />
ho invece della Demografia una visione a tutto tondo, nella<br />
quale credo profondamente. Non solo per scoprire e chiarire<br />
il macchinario che sta dietro e dentro il mutare dei fatti<br />
demografici, ma anche per come questi si mettono in relazione<br />
a tutto il contesto dei fattori esterni, storici e del momento.<br />
Certo, l’analisi del contesto entra sempre più frequentemente<br />
nelle analisi demografiche, ma non mi pare che altrettanto<br />
frequentemente vengano studiati gli effetti, sul contesto, di fatti<br />
e tendenze demografiche. Mi pare che negli ultimi due-tre<br />
decenni si siano privilegiati gli studi e le analisi micro e si siano<br />
trascurate quelle macro.<br />
Il punto è che forse dovremmo passare, anche concettualmente,<br />
dagli studi demografici agli studi di popolazione con i<br />
quali potremmo meglio approfondire le interrelazioni di causaeffetto<br />
che la popolazione in quanto tale ha con l’ambiente, con<br />
la biologia, con l’economia, con il welfare, con la tecnologia<br />
e la normativa, in particolare quella relativa alla riproduzione e<br />
alla morte, con la psicologia, con la società, con la politica,<br />
con la religione, con l’attitudine alla pace o alla guerra, con le<br />
lingue parlate. E non di meno con la politica.<br />
Un esempio. Mentre nei Paesi ad alta fecondità è ormai<br />
scontata e generalizzata l’accettazione del principio di favorirne<br />
la discesa e la messa in atto di politiche in tal senso, nei Paesi<br />
a prolungata bassissima fecondità, soprattutto in quelli economicamente<br />
sviluppati, le politiche tendenti a un recupero,<br />
anche modesto, della fecondità sono molto più complesse, difficili<br />
e incerte, anche perché, fra l’altro, di frequente osteggiate<br />
dagli ecologisti e da formazioni politiche radicali.<br />
Esse comunque andrebbero pensate e decise alla luce:<br />
a) del problema della sostenibilità del perdurare di una fecondità<br />
bassissima, pari o inferiore a 1,3 figli per donna, che provoca,<br />
a parità di altre condizioni, un intenso declino della popolazione<br />
e un suo fortissimo invecchiamento<br />
b) dell’alterazione del rapporto fra nascite e morti, che potrebbe