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"l'impegno" (1/2010) in formato pdf - Istituto per la storia della ...

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quadrato nello scontro tra un’a<strong>la</strong> pragmatica<br />

e un’altra “romantica”. Lo scontro diede<br />

ragione a Li Gobbi, ed effettivamente i garibald<strong>in</strong>i<br />

ripiegarono sganciandosi dalle posizioni<br />

che <strong>in</strong>izialmente dovevano tenere<br />

attaccando il nemico dove poterono, disturbandone<br />

l’avanzata: grazie a questa strategia,<br />

più consona a delle bande guerrigliere,<br />

i nazisti fallirono completamente il compito<br />

che si erano posti, cioè distruggere il movimento<br />

partigiano <strong>in</strong> Valsesia. La sicura applicazione<br />

dell’“arte dello sganciamento” -<br />

cioè sfuggire a rastrel<strong>la</strong>menti ed accerchiamenti<br />

facendo trovare il vuoto al nemico,<br />

spostandosi cont<strong>in</strong>uamente e riorganizzandosi<br />

altrove, colpendo l’avversario distur-<br />

Stefano Sa<strong>la</strong><br />

bandone l’avanzata con puntate veloci, anche<br />

attraverso <strong>la</strong> dis<strong>per</strong>sione organizzata di<br />

squadre piccole ed agili - fu una delle più<br />

importanti acquisizioni tattico-militari <strong>per</strong> il<br />

movimento partigiano 42 .<br />

Malgrado <strong>la</strong> vittoria delle ragioni militari -<br />

oltre al ripiegamento fu necessario evacuare<br />

da Castagneia, <strong>in</strong>vestita dal rastrel<strong>la</strong>mento,<br />

il comando garibald<strong>in</strong>o, che sarebbe stato<br />

riorganizzato a Rimel<strong>la</strong> - Moscatelli, pur<br />

amareggiato 43 , suggellò <strong>la</strong> riuscita “tenuta”<br />

delle proprie formazioni di fronte al primo dispiegamento<br />

di tutta <strong>la</strong> potenza tedesca impiegata<br />

nel compito di “sradicare il banditismo”<br />

con un “comunicato straord<strong>in</strong>ario” -<br />

il “numero due” - del Comando patrioti “Val-<br />

42 Si sottol<strong>in</strong>ea spesso che i militari italiani che avevano avuto es<strong>per</strong>ienza diretta del<strong>la</strong><br />

guerriglia jugos<strong>la</strong>va e russa diedero, una volta diventati partigiani, un contributo militarmente<br />

importante al<strong>la</strong> Resistenza proprio <strong>in</strong> quanto avevano appreso “sul campo” una<br />

tecnica altrimenti estranea a soldati di un esercito rego<strong>la</strong>re, e <strong>in</strong> generale al<strong>la</strong> tradizione<br />

militare italiana. Per il contesto valsesiano, Alb<strong>in</strong>o Calletti “Bruno” - partigiano prima con<br />

Beltrami e poi con Moscatelli - conferma che «io, che ero un vecchio antifascista reduce dal<br />

carcere, durante <strong>la</strong> guerra ero stato mandato, col “Savoia Cavalleria”, sul fronte russo ed<br />

avevo avuto <strong>la</strong> fortuna di avere contatti coi partigiani sovietici <strong>in</strong> Ucra<strong>in</strong>a e poi nel<strong>la</strong> Bielorussia,<br />

dai quali avevo imparato tre cose importantissime; primo: che l’arma più importante<br />

dei partigiani erano le gambe, cioè il problema del<strong>la</strong> mobilità, l’allenamento a camm<strong>in</strong>are;<br />

secondo: colpire e sparire; terzo: non accettare mai il combattimento frontale <strong>in</strong> campo<br />

a<strong>per</strong>to, se non sei sicuro di esser su<strong>per</strong>iore, e qu<strong>in</strong>di di potere aver successo. Ed io, nel<br />

<strong>per</strong>iodo del<strong>la</strong> lotta partigiana, ho sempre cercato di seguire questi concetti fondamentali e<br />

di <strong>in</strong>segnarli ai miei uom<strong>in</strong>i» (Episodi del<strong>la</strong> Resistenza valsesiana. Intervista ad Alb<strong>in</strong>o<br />

Calletti “Bruno”, <strong>in</strong> “l’impegno”, a. XII, n. 1, aprile 1992).<br />

43 “Ciro” a proposito raccontò: «Il più depresso era Moscatelli il quale sembrava dispiaciuto<br />

<strong>per</strong>ché i mitraglieri non avevano tenuto le posizioni, che essendo dom<strong>in</strong>anti rispetto<br />

al nemico, li ponevano <strong>in</strong> posizione di vantaggio. Il buon C<strong>in</strong>o, che non solo non aveva fatto<br />

<strong>la</strong> guerra, ma non aveva neppure prestato il servizio militare, sembrava avesse fatto proprie<br />

tutte le disquisizioni sulle posizioni offensive che il capitano Li Gobbi, io e Antonio Di Dio<br />

gli avevamo ammannito nei giorni precedenti l’attacco. Proprio ora che io, e probabilmente<br />

tutti gli altri ufficiali che avevano vissuto con me quei giorni, capivamo l’<strong>in</strong>utilità di apprestamenti<br />

difensivi, il nostro commissario politico recrim<strong>in</strong>ava il mancato impiego delle nostre<br />

postazioni. Credo di averlo conv<strong>in</strong>to dicendo che se si fossero tenute le postazioni ad oltranza<br />

queste sarebbero state aggirate e sopraffatte, avremmo avuto <strong>per</strong>dite dolorose che<br />

non abbiamo avute e avremmo dovuto riprendere <strong>la</strong> lotta con meno armi e meno uom<strong>in</strong>i di<br />

quanti contavamo» (Par<strong>la</strong>re e scrivere di Ciro, a cura del<strong>la</strong> Coo<strong>per</strong>ativa Gianfranco Bigh<strong>in</strong>zoli,<br />

Novara, Tipografia San Gaudenzio, 1987, p. 28).<br />

36 l’impegno

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