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Aprile - Giugno Bollettino - Diocesi di Rimini

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20<br />

<strong>Bollettino</strong> Diocesano 2011 - n.2<br />

Ma lo stesso autore ispirato, nel brano riportato nella seconda lettura, ci<br />

ha ricordato che Gesù ha imparato “l’obbe<strong>di</strong>enza da ciò che patì”. Quando noi<br />

pensiamo alla passione <strong>di</strong> Gesù, dobbiamo pensare sia alla passione del corpo,<br />

sia soprattutto a quella dell’anima.<br />

Della prima, ricor<strong>di</strong>amo l’atroce supplizio della flagellazione. In Israele, la<br />

legge limitava i colpi al numero <strong>di</strong> quaranta (Dt 2,1-3). Al tempo <strong>di</strong> Gesù ci si<br />

fermava al trentanovesimo colpo, per essere sicuri <strong>di</strong> non sbagliarsi (cfr 2Cor<br />

11,24). Ma per la legge romana, il supplizio era a <strong>di</strong>screzione del giu<strong>di</strong>ce, e veniva<br />

eseguito con il flagrum a corde grosse e con alle estremità pezzetti d’osso<br />

e <strong>di</strong> metallo, che scarnificavano il condannato, riducendolo spesso in fin <strong>di</strong> vita.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo poi l’infame supplizio della croce. Il condannato, dopo aver portato<br />

la traversa orizzontale dal tribunale al luogo dell’esecuzione, veniva inchiodato<br />

ai polsi e ai pie<strong>di</strong>. La morte avveniva per asfissia e per sfinimento nervoso.<br />

Ma per Gesù è stata soprattutto la passione dell’anima quella che più ha<br />

dovuto patire. Pensiamo all’amarezza della solitu<strong>di</strong>ne, dopo che i suoi <strong>di</strong>scepoli<br />

lo hanno abbandonato e sono fuggiti. La solitu<strong>di</strong>ne più impressionante è quella<br />

che Gesù sperimenta sulla croce, quando si sente abbandonato dal Padre. Non<br />

fu certo un abbandono effettivo, ma affettivo, quando la massa del peccato<br />

dell’intera storia umana - passata, presente e futura - come una smisurata piramide<br />

rovesciata sulla sua testa, gli ha causato la pena in<strong>di</strong>cibile e straziante <strong>di</strong><br />

sentirsi schiacciato, percosso da Dio e rifiutato.<br />

In quegli istanti terribili e lentissimi, Gesù ha dovuto sollevare la ciclopica<br />

piramide della <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza umana con un atto ‘sovrumano’ <strong>di</strong> fiducioso abbandono<br />

al Padre, e così con la sua obbe<strong>di</strong>enza ci ha costituiti giusti. Questo è<br />

ciò che gli chiede - e gli dona! - il Padre: reagire all’o<strong>di</strong>o con l’amore, all’oltraggio<br />

con il perdono, annientandosi, non annientando i suoi carnefici. Non umiliandoli,<br />

ma umiliandosi. Mai obbe<strong>di</strong>enza fu più costosa e feconda! Costosa, perché<br />

tutto gli fu tolto alla fine. Persino l’amore che lo aveva condotto in croce: non<br />

lo assapora più. La sua bocca è incrostata <strong>di</strong> sangue; il suo cuore è riarso come<br />

il deserto; la sua anima triste fino alla morte. Ma quella fu l’obbe<strong>di</strong>enza più feconda,<br />

perché così Gesù “<strong>di</strong>venne causa <strong>di</strong> salvezza eterna per tutti coloro che<br />

gli obbe<strong>di</strong>scono”.<br />

Atti del Vescovo<br />

+ Francesco Lambiasi

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