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Aprile - Giugno Bollettino - Diocesi di Rimini

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<strong>Bollettino</strong> Diocesano 2011 - n.2<br />

Sì, nel piccolo <strong>di</strong> Maria Dio Padre ci ha abbracciati, e ormai non ci libereremo<br />

più da quella stretta.<br />

2. Siamo <strong>di</strong>ventati figli dell’unico Padre<br />

Ancora: il Verbo della vita ci ha dato il potere <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare figli <strong>di</strong> Dio: seconda<br />

buona notizia. Lo stesso evangelista nella prima delle sue lettere la formula<br />

così: “Guardate quale amore ci ha dato il Padre: ci chiama figli <strong>di</strong> Dio e lo siamo<br />

davvero” (1Gv 3,1). C’è una nota <strong>di</strong> lieto stupore, quasi <strong>di</strong> incredula sorpresa,<br />

nelle parole dell’apostolo. Quanto sta <strong>di</strong>cendo è così importante che sente il<br />

bisogno <strong>di</strong> attirare la nostra attenzione: Guardate. L’amore <strong>di</strong> Dio è tanto grande<br />

da sorprenderci: nessuno avrebbe potuto immaginarlo così tri<strong>di</strong>mensionale,<br />

con tanta larghezza, altezza e spessore, se non ci fosse stato rivelato. Essere figli<br />

<strong>di</strong> Dio non è un semplice modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re, non è una tenera metafora, ma una<br />

con<strong>di</strong>zione reale e concreta da prendersi alla lettera: e lo siamo davvero. Basta<br />

questa breve affermazione <strong>di</strong> Giovanni per farci comprendere che - <strong>di</strong> fronte alla<br />

rivelazione del Padre che Gesù ci ha consegnato - la prima reazione non può<br />

che essere lo stupore. Dio prima è Padre, e poi creatore: non aveva bisogno <strong>di</strong><br />

noi per esprimere la sua paternità, e tuttavia ci ha fatti suoi figli. Sorpresi dalla<br />

gioia: lo stupore <strong>di</strong> scorgere che all’origine <strong>di</strong> ciascuno <strong>di</strong> noi non c’è il caso o la<br />

necessità, ma l’amore più libero, benevolo, gratuito, e che, alla fine della nostra<br />

vita, non ci si spalanca davanti la voragine del nulla, ma ci si imbatte in un incontro:<br />

lo vedremo come egli è (1Gv 3,2). Alla fine ci sarà la non-fine, un bene<br />

grande, ci sarà un caldo abbraccio: “Venite, benedetti del Padre mio”.<br />

E’ questo il mistero del’Incarnazione: io, tu, lui, lei, noi tutti, in<strong>di</strong>vidui comici<br />

e tragici, argilla impastata <strong>di</strong> miseria e assetata <strong>di</strong> infinito, ciascuno <strong>di</strong> noi è un<br />

essere unico - amato in modo unico, incre<strong>di</strong>bile, inau<strong>di</strong>to - da Cristo, l’amore <strong>di</strong><br />

Dio fatto carne e sangue per la vita del mondo.<br />

3. E’ morto per noi<br />

Gesù è morto per noi: per causa nostra e a nostro vantaggio. E’ la terza buona<br />

notizia. E’ morto anche al nostro posto? Certamente è stato consapevole del<br />

fatto che la sua morte non era solo il punto <strong>di</strong> arrivo dell’infedeltà d’Israele, ma<br />

più in generale del peccato <strong>di</strong> tutta la famiglia umana, dell’incredulità dei figli <strong>di</strong><br />

Adamo e della loro <strong>di</strong>menticanza del creatore. Come il servo <strong>di</strong> JHWH, <strong>di</strong> cui parla<br />

il profeta Isaia, Gesù non affronta la morte come uno spiacevole incidente, ma<br />

l’assume come segno del peccato, <strong>di</strong> tutto il peccato del mondo: “Egli ha preso<br />

su <strong>di</strong> sé i nostri peccati e li ha portati con sé sulla croce, per farci morire al peccato<br />

e farci vivere una vita giusta” (1Pt 2,24). In questo senso Gesù si sostituisce<br />

a noi: egli, l’innocente, si è liberamente assunto i nostri peccati facendo ricadere<br />

interamente su <strong>di</strong> sé il dolore e la morte che derivano dal peccato. E poiché il<br />

peccato provoca la lontananza da Dio, Gesù, il Figlio eternamente unito al Padre<br />

e legato da intima solidarietà d’amore con l’umanità peccatrice, sperimenta nella<br />

sua natura umana l’infinita lontananza che separa l’amore e il peccato, e grida:<br />

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Quell’abbandono non è l’allontanamento<br />

effettivo da Dio, quale viene sperimentato dal peccatore, ma un<br />

Atti del Vescovo

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