numero 1/2011 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani
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A sinistra: il Palazzo di Vetro, sede dell’Onu<br />
a New York.<br />
non avente effi cacia giuridica vincolante,<br />
ma di indiscusso rilievo nella valutazione<br />
della opinio juris. La risoluzione citata<br />
mette in guardia circa il fatto che il diritto<br />
internazionale non incoraggia in alcun<br />
modo atti che mirino a minacciare l’integrità<br />
territoriale o l’unità politica di Stati<br />
sovrani, ma ha riguardo per il principio di<br />
autodeterminazione dei popoli, cristallizzato<br />
tra i fi ni della Nazioni Unite, all’art.<br />
1 par. II della Carta dell’Onu (“Sviluppare<br />
tra le nazioni relazioni amichevoli fondate<br />
sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza<br />
dei diritti e dell’auto-decisione dei<br />
popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare<br />
la pace universale”). Il principio<br />
dell’integrità territoriale, come eccezione<br />
a quello dell’autodeterminazione dei popoli,<br />
è stato invocato dalla Federazione<br />
Russa, già all’indomani della disgregazione<br />
dell’Unione Sovietica (di cui essa<br />
continua la personalità internazionale): la<br />
Corte suprema moscovita, in una discussa<br />
sentenza del 1992 (la n. 671) sul Tatarstan,<br />
ha affermato che il principio dell’integrità<br />
territoriale e il rispetto dei diritti<br />
dell’uomo da parte della Federazione limitano<br />
il diritto all’autodeterminazione.<br />
Si tratta di una lettura, spesso propugnata<br />
dai difensori dell’unità statale, che relega<br />
il principio di autodeterminazione in una<br />
dimensione interna. Ma non si può tacere<br />
la formula che ricorre nella Dichiarazione<br />
sulle relazioni amichevoli, che cala nella<br />
realtà (pur se con il linguaggio ovattato<br />
delle feluche) il contemperamento tra due<br />
principi ontologicamente in confl itto, un<br />
bilanciamento che consente di ponderare<br />
entrambi. L’integrità territoriale, infatti,<br />
non può prescindere dalla dotazione di un<br />
potere pubblico statale che sia rappresentativo<br />
di tutta la popolazione che appartiene<br />
a quel dato territorio, senza distinzione<br />
di razza, credo o colore della pelle. Il profi<br />
lo, spesso nitido, degli ultimi confl itti<br />
sfociati in secessione, è presto delineato.<br />
Se un diritto alla secessione (right to<br />
secession) non può esser compiutamente<br />
invocato (per quanto talora ricompreso in<br />
diverse Carte costituzionali), vi sono però<br />
chiari elementi fattuali che indicano la via<br />
maestra per una lettura delle rivendicazioni<br />
che tenda il più possibile a non essere<br />
faziosa. Movendoci sul solco della qualifi<br />
cazione della secessione quale estremo<br />
sfogo per una self-determination negata e<br />
soffocata, ha fatto scuola la sentenza della<br />
Suprema Corte del Canada sul caso della<br />
provincia francofona del Québec. La Corte<br />
di Ottawa, nel pronunciarsi negativamente<br />
sulla pretesa del Québec di secedere<br />
dalla madrepatria, nel 1998, ha messo<br />
in luce, in magistrale concordanza con<br />
quanto statuito nella Dichiarazione sulle<br />
relazioni amichevoli del 1970, come l’autodeterminazione<br />
spetti alle ex-colonie (si<br />
è già detto, infatti, che proprio nella cornice<br />
della decolonizzazione del Novecento<br />
è nato questo diritto oggi parte indiscussa<br />
dei diritti umani 3 ), ai popoli assoggettati<br />
a una dominazione militare straniera e “a<br />
un gruppo sociale ben defi nito che si vede<br />
rifi utare un accesso effettivo alle autorità<br />
pubbliche, rivolto a ottenere il suo sviluppo<br />
politico, economico, sociale e culturale”<br />
4 . Ecco che la dicotomia tra protezione<br />
dell’integrità territoriale e tutela dell’autodeterminazione<br />
si risolve nella misura<br />
in cui il governo al potere sia rappresentativo<br />
dell’intero popolo; fermo restando<br />
che in una entità statale “in cui coesistono<br />
più popoli, l’autodeterminazione esterna<br />
potrà essere esercitata da quel popolo che<br />
sia discriminato e non si senta rappresentato<br />
dall’autorità pubblica che lo governa”<br />
5 . L’enfasi fi nora annessa al principio<br />
di self-determination deve parimenti essere<br />
tributata a quei soggetti in capo ai quali<br />
l’ordinamento internazionale riconosce<br />
tale diritto. Si è sempre parlato, infatti,<br />
di popolo, mai di individui. Uno snodo<br />
cruciale, questo, che consente di operare<br />
una distinzione rispetto alle minoranze,<br />
in relazione alle quali non può parlarsi di<br />
diritti di una collettività ma di diritti che<br />
vengono in considerazione in capo ai singoli<br />
individui. Non poca confusione, in<br />
termini defi nitori, fu apportata nel 1999,<br />
alla vigilia dell’intervento Nato, dalla risoluzione<br />
1244 del Consiglio di sicurezza<br />
dell’Onu sul Kosovo (allora provincia<br />
jugoslava), che, con formula ricognitiva<br />
di un orientamento ormai consolidato,<br />
da un lato ribadiva l’integrità territoriale<br />
della Repubblica Federale, dall’altro<br />
parlava dei kosovari in termini di “popolo”<br />
e non di minoranza, pur, di contro,<br />
riconoscendo loro solo ampi margini di<br />
autogoverno, non l’autodeterminazione.<br />
Mentre la logica gattopardesca celebrava<br />
i propri fasti nei fraseggi dei documenti<br />
del Palazzo di Vetro, fuori, per strada, si<br />
faceva la Storia. E dal 2008 il Kosovo, se-<br />
La Guerra di Secessione<br />
ceduto unilateralmente, è uno Stato riconosciuto<br />
da <strong>numero</strong>si altri paesi (ma non<br />
dalla Serbia), anche di rilievo; il che non<br />
fa che enfatizzarne il profi lo di soggetto<br />
di diritto internazionale. Ma le immagini<br />
di Pristina, che in questi mesi ha defi nito<br />
la propria struttura pubblica, non sono le<br />
più fresche, ai nostri occhi. Tante regioni<br />
invocano indipendenza, in un moto che<br />
spesso scorre via nel sangue e nel silenzio.<br />
Il tira-e-molla sulle regioni georgiane<br />
dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, per<br />
esempio, è all’origine del confl itto estivo<br />
tra Russia e Georgia nell’agosto 2008.<br />
Nei prossimi mesi, però, il dibattito sulla<br />
secessione sarà monopolizzato dalla<br />
trionfante vittoria dei sudanesi del Sud. Il<br />
responso delle urne ha parlato chiaro ed è<br />
stato un urlo democratico: da luglio, piena<br />
indipendenza da Khartoum.<br />
Si ringrazia il prof. Natalino Ronzitti, Ordinario<br />
di Diritto Internazionale alla Luiss<br />
“Guido Carli” di Roma e consigliere scientifi<br />
co dell’Istituto Affari Internazionali.<br />
Note<br />
1 Elemento che, insieme alla diuturnitas, caratterizza<br />
la consuetudine quale fonte di diritto<br />
primaria. A seconda dell’atteggiarsi dell’elemento<br />
soggettivo rappresentato dalla opinio<br />
juris, la consuetudine può produrre norme<br />
derogabili mediante accordo oppure norme<br />
inderogabili e quindi di diritto cogente (jus<br />
cogens), che si collocano al vertice indiscusso<br />
della gerarchia delle fonti, quali sostrato giuridico<br />
condiviso dall’intera comunità internazionale.<br />
2 Ronzitti, Introduzione al diritto internazionale,<br />
pp. 78 ss.<br />
3 Ma già l’art. 1 comune ai due covenants<br />
delle Nazioni Unite del 1966 sui diritti civili e<br />
politici e sui diritti economici, sociali e culturali<br />
estende il diritto all’autodeterminazione “a<br />
tutti i popoli”, e non solo a quelli sotto dominazione<br />
coloniale. Ulteriori riferimenti in fonti<br />
pattizie si trovano nella Carta africana dei diritti<br />
dell’uomo e dei popoli (Art. 20, parr. I e<br />
II: “Ogni popolo ha diritto all’esistenza. Ogni<br />
popolo ha un diritto imprescrittibile e inalienabile<br />
all’autodeterminazione. Esso determina<br />
liberamente il proprio statuto politico e assicura<br />
il proprio sviluppo economico e sociale secondo<br />
la via che esso ha liberamente scelto. I<br />
popoli colonizzati o oppressi hanno il diritto di<br />
liberarsi dalla loro condizione di dominazione<br />
ricorrendo a tutti i mezzi riconosciuti dalla comunità<br />
internazionale”).<br />
4 Focarelli, Digesto del Diritto internazionale,<br />
pp. 175 ss.<br />
5 Ronzitti, op.cit., p. 325.<br />
panorama per i giovani • 29