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numero 1/2011 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani

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quelli impegnati nella produzione di fi ammiferi<br />

e fuochi d’artifi cio nello stato del<br />

Tamil Nadu.<br />

Nel caso del Pakistan sono ancora<br />

una volta i debiti di famiglia la ragione<br />

della schiavitù che affligge tanti bambini,<br />

segmento importante della forza<br />

lavoro impiegata nella produzione di<br />

mattoni. In un paese dove le famiglie<br />

senza terra sono circa 15 milioni, le<br />

opzioni per chi non ha un tetto sono<br />

poche: così molti contadini si sono<br />

venduti ai proprietari delle fornaci e<br />

si vedono costretti a utilizzare anche il<br />

lavoro dei propri figli per estinguere il<br />

debito.<br />

Alla base del lavoro minorile c’è,<br />

ancora una volta, l’estrema povertà che<br />

affligge milioni di persone in alcune<br />

zone del mondo. A monte, però, ci sono<br />

delle cause “globali” quali l’esplosione<br />

demografica registrata dopo la fine<br />

della Seconda Guerra Mondiale e la<br />

rapida modernizzazione sperimentata<br />

in quegli anni da molti paesi in via di<br />

sviluppo, che ha dato il via al rapido<br />

arricchimento delle classi agiate e a un<br />

drammatico impoverimento, almeno in<br />

termini relativi, della maggioranza della<br />

popolazione.<br />

Si potrà mai mettere davvero fi ne alla<br />

schiavitù?<br />

Che fare? Non bastano, probabilmente,<br />

nuove leggi, che, anche se fossero rispettate,<br />

si troverebbero spesso di fronte<br />

governi pronti a collaborare con gli<br />

schiavisti. Ciò che servirebbe, invece, è<br />

un cambiamento culturale e, soprattutto,<br />

il rovesciamento di un’amorale economia<br />

dello sfruttamento.<br />

Quello che si può fare fi n da ora è<br />

mettere tali abusi sotto gli occhi di tutti,<br />

organizzare campagne mediatiche, esercitare<br />

una pressione fi nanziaria sui governi<br />

corrotti, sostenere i gruppi locali facendo<br />

pressione politica e fornendo loro denaro<br />

e appoggio legale.<br />

A livello internazionale, poi, l’azione<br />

delle Ong e di molte associazioni benefi -<br />

che occidentali, le sanzioni economiche,<br />

l’attività dei tribunali di giustizia possono<br />

fare tanto.<br />

L’importante è non chiudere gli occhi<br />

o, peggio, restare a guardare.<br />

“Se non possiamo scegliere di mettere<br />

fi ne alla schiavitù, come possiamo dire di<br />

essere liberi?” (K. Bales, I nuovi schiavi,<br />

op. cit., p. 247).<br />

Lo sfruttamento nei campi<br />

e nei cantieri italiani<br />

In Italy there are still forms of modern slavery on workplaces, especially in<br />

agriculture and on building sites. Most of the Third-Millenium-slaves are<br />

from abroad. The conditions in which they live are dramatic and mass media<br />

often tend not to give enough space to the subject. In Rosarno a group of<br />

immigrants rebelled against their “caporali” and exposed the scandal of their<br />

exploitation, which should not be allowed in a modern, rich Western Country.<br />

di Livio Ghilardi e Chiara Curia<br />

C’era una volta lo schiavismo in Italia?<br />

Nell’antichità senz’altro. C’è ancora oggi,<br />

però, nonostante gli immensi passi avanti<br />

fatti in materia di diritti, garanzie e tutele<br />

a favore dei lavoratori nel corso del Novecento.<br />

L’art. 4 della Costituzione italiana<br />

recita: “La Repubblica riconosce a tutti i<br />

cittadini il diritto al lavoro e promuove<br />

le condizioni che rendano effettivo questo<br />

diritto. Ogni cittadino ha il dovere di<br />

svolgere, secondo le proprie possibilità e<br />

la propria scelta, un’attività o una funzione<br />

che concorra al progresso materiale o<br />

spirituale della società”. Il principio lavorista<br />

viene così incluso fra quelli cardine<br />

della nostra Repubblica, fondata sul lavoro,<br />

come afferma l’art. 1 in una formula<br />

bellissima, ma spesso disattesa.<br />

Nonostante anni e anni di lotte dei<br />

lavoratori e nonostante l’approvazione<br />

dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300<br />

del 20 maggio 1970), ancora oggi nella<br />

nostra penisola c’è chi muore sul lavoro<br />

La Guerra di Secessione<br />

e ci sono tantissimi esseri umani sfruttati<br />

dal mercato nero e dalle mafi e. Tutto ciò<br />

spesso avviene alla luce del sole, senza<br />

che le autorità di competenza riescano a<br />

intervenire in maniera effi cace. Sono passati<br />

quasi cento anni da quando il grande<br />

sindacalista pugliese Giuseppe Di Vittorio<br />

cominciò a denunciare la situazione<br />

drammatica dei braccianti meridionali e a<br />

correlarla alle lotte del proletariato industriale<br />

del Nord, così formando un quadro<br />

ben delineato del lavoro subalterno in<br />

Italia. Oggi molto è cambiato, fortunatamente,<br />

ma ancora imperversa lo sfruttamento<br />

malavitoso della manovalanza, saldamente<br />

in mano alle mafi e, le cui spire<br />

si diramano per ogni settore lavorativo,<br />

andando a colpire soprattutto l’edilizia e<br />

l’agricoltura. Tanti, troppi sono i lavoratori<br />

in nero sottomessi al caporalato, costretti<br />

a percepire una misera paga giornaliera<br />

e a vivere in condizioni indegne<br />

di un essere umano. Come dimostrato, fra<br />

panorama per i giovani • 37<br />

Foto: iStockphoto.com/Lya_Cattel

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