numero 1/2011 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani
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pensi alla costruzione del Campidoglio<br />
a Washington dove intervenne, a sostituzione<br />
di un capomastro libero, uno<br />
schiavo di colore. Da non trascurare è infi<br />
ne l’evidente limite fi sico: i non liberi<br />
avevano un’alimentazione e uno stile di<br />
vita assolutamente diversi da quelli dei<br />
lavoratori liberi (sicuramente in città e<br />
non sempre nelle piantagioni). Alla metà<br />
dell’Ottocento l’alimentazione media<br />
di uno schiavo era molto povera di proteine.<br />
Il suo sistema immunitario era in<br />
genere fortemente debilitato e per giunta<br />
l’incidenza di alcune malattie legate alla<br />
malnutrizione era sensibilmente maggiore<br />
che nei liberi che svolgevano lo stesso<br />
mestiere e percepivano un reddito.<br />
A sinistra: un campo di cotone prima della<br />
raccolta.<br />
La minore produttività, determinata<br />
da tali cause, aveva ricadute fortemente<br />
negative sul sistema economico schiavista<br />
e agiva come elemento frenante per<br />
lo sviluppo: un sistema in cui i lavoratori<br />
erano scarsamente competenti e per nulla<br />
motivati poteva essere soggetto solo a<br />
uno sviluppo forzato generato dal vertice<br />
produttivo (in questo caso lo schiavista),<br />
senza che si generasse il meccanismo positivo<br />
di sviluppo che si produce con la<br />
messa a punto della produzione anche<br />
da parte dei lavoratori. Nelle piantagioni<br />
nordamericane che facevano uso di schiavi<br />
durante la prima metà dell’Ottocento,<br />
per esempio, si registrò esclusivamente<br />
una crescita economica su schemi tradizionali,<br />
ma non si ebbe innovazione nei<br />
sistemi produttivi, che invece costituì il<br />
fulcro dello sviluppo di alcune realtà rurali<br />
europee. Questo è sintomo di un forte<br />
rallentamento nello sviluppo dei processi<br />
produttivi agricoli adottati anche a causa<br />
della presenza della schiavitù. Come<br />
è noto, la schiavitù propriamente detta<br />
scomparve nel vecchio continente già<br />
intorno al X secolo, mentre per quanto<br />
riguarda il Nuovo Mondo bisognerà attendere<br />
i moti abolizionisti della seconda<br />
metà del XIX secolo.<br />
Considerato tutto ciò, la fi ne del sistema<br />
schiavistico rappresentò in molti casi,<br />
oltre che un dovere di civiltà, l’unica soluzione<br />
a uno sviluppo economico basato<br />
sul progresso tecnologico e a una forza<br />
lavoro in grado di rispondere agli incentivi.<br />
Il modello schiavistico non deve essere<br />
considerato di per sé economicamente<br />
svantaggioso o non profi ttevole, al di<br />
là delle evidenti<br />
problematiche di<br />
natura morale. La<br />
sua esistenza, che<br />
si è protratta per<br />
secoli, dimostra<br />
che non era un<br />
sistema completamente ineffi ciente. Sicuramente<br />
in contesti produttivi primitivi<br />
la costrizione al lavoro dei prigionieri di<br />
guerra e di coloro che erano impossibilitati<br />
a pagare i debiti contratti si delineava<br />
come particolarmente fruttuosa. Col<br />
passare del tempo si iniziò a percepire<br />
una sempre maggiore inadeguatezza di<br />
La Guerra di Secessione<br />
questa struttura produttiva. Già nel Basso<br />
Medioevo la sostituzione della schiavitù<br />
con la servitù della gleba rappresentò un<br />
enorme passo in avanti sia dal punto di<br />
vista del riconoscimento di alcuni diritti<br />
(pochi, ma sostanziali per l’epoca), sia<br />
dal punto di vista economico. Con la sua<br />
introduzione si eliminarono alcune limitazioni<br />
che caratterizzavano la schiavitù,<br />
quali la mancanza di motivazione o la<br />
scarsa competenza nello svolgere il proprio<br />
mestiere. Al servo della gleba era riconosciuto<br />
il diritto alla proprietà di beni<br />
mobili e, nonostante il suo destino rimanesse<br />
indissolubilmente legato alla terra<br />
che aveva il compito di coltivare, non<br />
era considerato una merce e quindi non<br />
poteva essere venduto. Il meccanismo di<br />
incentivazione al lavoro era attuato dando<br />
la possibilità al servo della gleba di trattenere<br />
parte del raccolto. La sua sopravvivenza<br />
era più strettamente legata alla<br />
produttività di quanto non lo fosse nello<br />
schiavo. Qualche secolo dopo ritroviamo<br />
ancora la mercifi cazione dell’essere<br />
umano a danno dei nativi americani e soprattutto<br />
dei neri d’Africa. La tratta degli<br />
schiavi e il loro sfruttamento nelle colonie<br />
americane ha comportato grossi vantaggi<br />
per i coloni. È indiscutibile l’esistenza di<br />
questi enormi profi tti, ma si sarebbero potuti<br />
ottenere gli stessi o anche maggiori risultati<br />
con manodopera salariata in luogo<br />
di quella schiavizzata? È particolarmente<br />
diffi cile rispondere a questa domanda, ma<br />
è certo che dal punto di vista strettamente<br />
economico la schiavitù è caratterizzata da<br />
molte ineffi cienze.<br />
Purtroppo, anche oggi assistiamo alla<br />
nascita e allo sviluppo di nuove forme più<br />
o meno celate di schiavitù, esempio di<br />
come spesso gli interessi economici calpestino<br />
profondamente la dignità umana.<br />
Purtroppo oggi assistiamo<br />
alla nascita di nuove forme di<br />
schiavitù, che calpestano la<br />
dignità umana.<br />
Diviene quindi necessario abbracciare<br />
una concezione economica di tipo diverso,<br />
tesa alla creazione di benessere<br />
grazie all’impegno e alla collaborazione<br />
dell’altro e non al suo sfruttamento. Ovviamente<br />
e innanzitutto perché è giusto.<br />
E poi anche perché, alla resa dei conti,<br />
conviene.<br />
panorama per i giovani • 35