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numero 1/2011 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani

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In questo <strong>2011</strong> l’Italia celebra, con passioni alterne e passo<br />

incerto, la sua unità nazionale. Anche per gli Stati Uniti sono<br />

passati centocinquanta anni dal momento probabilmente più<br />

drammatico della loro storia. Il 17 febbraio del 1861 Jefferson<br />

Davis si insediava come presidente della Confederazione<br />

degli Stati del Sud, mentre a Washington iniziava il suo primo<br />

mandato Abraham Lincoln. Poche settimane dopo, con i<br />

primi colpi di cannone sparati a Fort Sumter, inizierà la guerra<br />

di secessione, che si concluderà dopo quattro anni con diverse<br />

centinaia di migliaia morti sui campi di battaglia e nei territori<br />

attraversati dagli eserciti in lotta, saccheggi, devastazioni e una<br />

“conquista” che è diventata, non solo per gli americani, il sigillo<br />

simbolico di questo dramma: la fi ne della schiavitù. Davis non<br />

avrà successori, ma morirà nel suo letto nel 1889. Lincoln verrà<br />

ucciso a teatro da un attore fi no a quel momento sconosciuto,<br />

subito dopo la resa del nemico. Toccò ad altri il diffi cile governo<br />

della vittoria dell’Unione. Egli entrò in questo modo direttamente<br />

nel mito.<br />

È diffi cile parlare della guerra civile americana senza parlare<br />

di quello che Martin Luther King defi nì il grande “ma” di questa<br />

grande nazione. L’America – così egli scrive-<br />

va – ha offerto al mondo, con la Dichiarazione<br />

di Indipendenza, “la più eloquente e non ambigua<br />

espressione della dignità dell’uomo che sia<br />

mai stata racchiusa in un documento politicosociologico”.<br />

Ha raggiunto le più avanzate e<br />

inimmaginabili frontiere della tecnologia. E<br />

tuttavia “questo ma è un commento ai duecento<br />

e più anni di totale schiavitù e ai venti milioni<br />

di uomini e donne di razza nera privati della<br />

vita, della libertà e della ricerca della felicità”.<br />

Questa fondamentale linea di confl itto non può<br />

naturalmente essere minimizzata. Può però essere<br />

meglio compresa e la rifl essione che proponiamo in questo<br />

fascicolo cerca di farlo seguendo due piste di ricerca.<br />

Una è quella che, partendo dalle radici lontane della schiavitù<br />

e delle tante asimmetrie del riconoscimento, giunge alle nuove<br />

forme di sfruttamento degli esseri umani in un mondo che si era<br />

impegnato con la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1948<br />

alla tutela universale dei loro diritti fondamentali. Il pensiero<br />

corre alla tesi di Aristotele sulla guerra “giusta” condotta contro<br />

coloro che sono nati per essere schiavi e non si sottomettono<br />

spontaneamente. Ma anche, per restare all’America, alla disputa<br />

che vide contrapporsi Bartolomé de Las Casas e Juan Ginés de<br />

Sepùlveda, in pieno Cinquecento, sul modo in cui considerare<br />

e conseguentemente trattare gli indigeni del nuovo continente.<br />

Era stata necessaria addirittura una bolla pontifi cia, qualche anno<br />

prima del celebre confronto fra il domenicano e l’umanista alla<br />

corte di Carlo V, per stabilire il diritto di tutte le popolazioni<br />

Editoriale<br />

È diffi cile parlare<br />

della guerra civile<br />

americana<br />

senza parlare<br />

di quello che Martin<br />

Luther King defi nì il<br />

grande “ma”<br />

di questa nazione.<br />

“che potranno essere scoperte dai cristiani” a esercitare il dominio<br />

sulle cose proprie e a non essere “ridotte in schiavitù” (Paolo<br />

III, Veritas Ipsa).<br />

Il secondo tema, altrettanto importante, è quello del contesto<br />

più ampio nel quale maturarono le cause profonde della secessione<br />

e quindi di una guerra che per lo stesso Lincoln fu prima<br />

di tutto in difesa dell’Unione: solo nel settembre del 1862 il<br />

presidente promulgò il Proclama di emancipazione, decidendosi<br />

infi ne per una rottura radicale sulla quale negli anni precedenti<br />

non si era in realtà espresso in modo altrettanto chiaro e univoco.<br />

È qui che bisogna scavare, anche per capire le ragioni che portarono<br />

alla vittoria fi nale del Nord, che era avanti per popolazione,<br />

industrializzazione, infrastrutture. Si pensi che, alla vigilia della<br />

guerra, gli investimenti industriali al Nord erano quasi nove volte<br />

superiori rispetto al Sud. Questa differenza era ben chiara allo<br />

stesso presidente Davis, che nel suo discorso di insediamento<br />

sottolineò che a reclamare il diritto “a modifi care o abolire i governi<br />

quando essi diventano distruttivi per i fi ni per i quali sono<br />

stati istituiti” era appunto “un popolo agricolo”, che chiedeva<br />

adesso di vivere in pace con la comunità manifatturiera e marittima<br />

degli stati dai quali si era staccato. E<br />

Rhett Butler/Clark Gable cercherà invano di<br />

spiegare ai partecipanti alla grande festa con<br />

la quale si apre Via col vento, il monumento<br />

hollywoodiano all’epica della guerra civile,<br />

che la Confederazione perderà, perché non ha<br />

le fabbriche di cannoni e la possibilità di opporsi<br />

effi cacemente alle navi che, stringendo<br />

le sue coste, renderanno diffi cile scambiare il<br />

Re cotone con tutti gli altri beni, a partire dal<br />

cibo, che il Sud era costretto a importare.<br />

Il compito della “liberazione” degli schiavi<br />

non fi nì nel 1865. Un secolo più tardi, John<br />

Kennedy rilancerà ancora l’interrogativo su un paese “libero per<br />

tutti, fuorché per i neri”, senza divisioni di classe, ghetti o razze<br />

privile giate, “eccetto per quanto riguarda i neri”. La legge sui<br />

diritti civili venne approvata solo nel gennaio del 1964, dopo la<br />

sua morte e dopo la famosa marcia dei 250.000 voluta da Martin<br />

Luther King per avvicinare il suo “sogno” di vedere i fi gli degli<br />

antichi schiavi e quelli dei loro proprietari “sedere insieme al<br />

tavolo della fratellanza”. Non basta neppure che Barack Obama<br />

sia entrato alla Casa Bianca per dire che quel sogno si è davvero<br />

realizzato. Quel che è certo, invece, è che gli Stati Uniti sono<br />

diventati la prima potenza del mondo. I fatti sembrano proprio<br />

aver dimostrato che Lincoln guardava lontano quando diceva di<br />

voler salvare l’Unione a ogni costo. Fosse pure quello di una<br />

guerra contro la secessione, mentre in Italia ancora non erano<br />

fi nite quelle per l’Unità.<br />

Stefano Semplici<br />

panorama per i giovani • 3

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