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la Conferenza nazionale della donna lavoratrice - CGIL Regionale ...

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quell’impegno, comune è <strong>la</strong> consapevolezza delle difficoltà che le masse femminili dovevano<br />

affrontare. Alle donne che accedevano al<strong>la</strong> sfera pubblica mancava un codice linguistico<br />

adeguato a esprimere le proprie rivendicazioni; il separatismo cui il digiuno politico le aveva<br />

costrette le condannava ora all’esclusione dai centri decisionali e a una condizione di<br />

perdurante subalternità al paternalismo maschile.<br />

La storica esclusione dal<strong>la</strong> sfera decisionale e dai suoi codici implicava innanzitutto <strong>la</strong><br />

necessità di accostarsi ad un linguaggio che le donne non avevano contribuito ad e<strong>la</strong>borare: il<br />

terreno del<strong>la</strong> comunicazione pubblica non era irto di ostacoli solo per le donne poco<br />

sco<strong>la</strong>rizzate, ma anche per quelle istruite, nonché per coloro che avevano alle spalle una lunga<br />

esperienza in ambito politico e sindacale. Il codice di cui impadronirsi era di segno maschile e<br />

pertanto inadatto ad esprimere rivendicazioni di stampo esclusivamente femminile.<br />

Caratterizzato da un tono formalizzato e da un costante riferimento al quadro teorico e agli<br />

schemi astratti, da un <strong>la</strong>to impediva il pieno emergere delle esperienze soggettive, dall’altro<br />

causava nelle donne un pesante senso di frustrazione e di inferiorità causa <strong>la</strong> mancanza di tutte<br />

quelle ‹‹armi culturali, politiche, sociali›› 40 necessarie a vincere le proprie battaglie.<br />

Alle difficoltà incontrate nel proprio apprendistato, si aggiungevano le resistenze<br />

dimostrate dagli stessi compagni uomini a riconoscere <strong>la</strong> giusta rilevanza alle rivendicazioni<br />

delle <strong>la</strong>voratrici e ad affidare alle dirigenti ruoli di responsabilità che andassero oltre il <strong>la</strong>voro<br />

svolto nelle commissioni femminili. Illuminante, in proposito, risulta l’osservazione di<br />

Donatel<strong>la</strong> Turtura:<br />

Certo che come donne noi siamo state un po’ dentro una contraddizione: nel senso che il partito ci<br />

spingeva fortemente ad un impegno su temi generali, ad accrescere <strong>la</strong> nostra personalità, ad arricchirci,<br />

a prepararci, ma nello stesso tempo, siccome si riteneva che gli uomini non avrebbero accettato <strong>la</strong><br />

direzione dell’organizzazione da parte delle donne, non ci venivano affidati incarichi in prima persona.<br />

[…] Siamo state un po’ dentro questa condizione di essere e non essere. Ecco: spinte a crescere ma<br />

non responsabilizzate. 41<br />

Tale ‹‹contraddizione›› cui furono costrette in quegli anni le dirigenti implicava una serie di<br />

conseguenze di notevole rilevanza. La difficoltà di accedere a ruoli direttivi da un <strong>la</strong>to<br />

impediva alle rivendicazioni femminili di ottenere il giusto riconoscimento nell’e<strong>la</strong>borazione<br />

del<strong>la</strong> linea politica generale del sindacato. Dall’altro favoriva un <strong>la</strong>voro solidale e generoso<br />

40 Dal<strong>la</strong> testimonianza di Leda Colombini in S. Lunadei, L. Motti, M. L. Righi, è brava ma…, cit., p. 169<br />

41 Citato in Ivi, p. 177<br />

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