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«Die gerade Linie ist unterbrochen» - il portale di "rodoni.ch"

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Busoni — «si riferisce alla re-introduzione delle maschere italiane<br />

nell'azione.» 128 La prima rappresentazione delle due opere ebbe luogo<br />

allo Stadttheater <strong>di</strong> Zurigo l’11 maggio 1917: Busoni era sul po<strong>di</strong>o; tra i<br />

molti amici del compositore c’era anche Ermanno Wolf Ferrari, che fu<br />

profondamente colpito da Arlecchino. 129<br />

«L’errore che commettono tutti, amici e avversari», — scrisse a M. Corti<br />

4 anni dopo, in occasione delle rappresentazioni berlinesi — «sta nel<br />

considerare le due operine come st<strong>il</strong>e e risultato finale e definitivo delle<br />

mie creazioni; mentre in verità esse non sono che un "intermezzo", quasi<br />

uno scherzo, un mio <strong>di</strong>vago, un riposo, per economizzare le forze, che si<br />

accingono a un compito superiore.» 130 Alla fine <strong>di</strong> questo frammento<br />

compare un altro leitmotiv ep<strong>ist</strong>olare del periodo dell’es<strong>il</strong>io: quello della<br />

laboriosa composizione del Doktor Faust. Quasi sempre <strong>il</strong> titolo o <strong>il</strong> tema<br />

dell’opera, soprattutto nel lungo periodo dell’elaborazione concettuale e<br />

letteraria del monumentale progetto, dal 1910 al ’17, non fu mai, forse<br />

per scaramanzia, menzionato. 131 Anche durante la composizione<br />

Arlecchino, e <strong>di</strong> altri lavori coevi, i suoi pensieri e le sue preoccupazioni<br />

erano spesso rivolti al Doktor Faust. 132 Nonostante avesse concluso <strong>il</strong><br />

libretto alla fine del ’14, a Zurigo continuò instancab<strong>il</strong>mente le ricerche sul<br />

mito in ambito sia letterario sia musicale: un foglio scritto a Pallanza <strong>il</strong> 4<br />

giugno del ’16 documenta la sua pressoché perfetta conoscenza delle<br />

128<br />

Ibidem.<br />

129<br />

Subito dopo la prima rappresentazione, <strong>il</strong> compositore veneto scrisse infatti al<br />

«caro e atroce maestro» una lett. entusiastica: «[...]non credo si possa trovare altro<br />

<strong>di</strong> più "unerbittlich": non conosco un <strong>di</strong>avolo che rida più <strong>di</strong>abolicamente del riso <strong>di</strong><br />

questo poemetto. Non so immaginare un comico più atroce. E qui sta la perfezione:<br />

vedere e tirare nel centro - magari spaccando <strong>il</strong> cuore a se stesso. Mef<strong>ist</strong>ofele è<br />

"gent<strong>il</strong>e" in confronto del Suo Arlecchino.[...] Ella ha la gioia tragica <strong>di</strong> sentirsi solo,<br />

oramai e la gusta eroicamente. Non si scrive quell’Arlecchino senza aver sofferto<br />

molto [...]». (Mus. ep. E. Wolf Ferrari 1, Busoni-Nachl. BII.) La critica zurighese<br />

espresse giu<strong>di</strong>zi prudentemente positivi sulle due opere (cfr. W<strong>il</strong>limann, p. 59, no.<br />

1 alla lett. n. 22). Su Arlecchino e Turandot, cfr. Clau<strong>di</strong>a Feldhege, Busoni als<br />

Librett<strong>ist</strong>, Anif/Salzburg 1966.<br />

130<br />

Lett. a M. Corti del 21.5.1921, in Marchesi, p. 63. Cfr. anche la lett. a Petri del<br />

9.11.1916, n. 251, p. 350: «È un lavoro <strong>di</strong> transizione alla mia prossima (e<br />

principale) opera, <strong>il</strong> cui testo è già terminato.»<br />

131<br />

Cfr. a esempio: «Non ho osato affrontare l’"Opera" (che non sarà un’"opera")<br />

nel timore che un avvio sbagliato possa d<strong>ist</strong>ruggere <strong>il</strong> mio ultimo sostegno<br />

morale.» (Lett. a E. Andreae, 23.6.1915 n. 196, p. 286.) Inoltre: «Per fortuna vedo<br />

sorgere una prima tenue alba <strong>di</strong> una nuova giornata <strong>di</strong> lavoro, la quale, se<br />

manterrà quel che promette, dovrebbe <strong>di</strong>ventare una bella giornata e durare dai<br />

due ai tre anni. Detto più prosaicamente: sto pensando alla realizzazione della mia<br />

"opera principale". (Lett. a Petri, 9.11.1916, n. 250, p. 350.) Cfr. infine n. 255, p.<br />

356, 4.3.1917, a Petri: «La mia "grande opera" aspetta e dovrà aspettare, e<br />

intanto si spalanca l’abisso.»<br />

132<br />

Cfr. le lettere a Serato scritte a Pallanza <strong>il</strong> 10 e <strong>il</strong> 20.6.1916 nn. 232-233, pp.<br />

333 e 335. Cfr. infine la lett. al Leichtentritt del 24.6.1916 (n. 234, p. 333): «Ho<br />

tanta più premura <strong>di</strong> finirla [la partitura <strong>di</strong> Arlecchino] in quanto subito dopo voglio<br />

por mano alla mia "opera capitale e <strong>di</strong> Stato", un lavoro teatrale con musica in 5<br />

quadri o atti, in cui finalmente deve venir dato corpo a ciò per cui mi sono<br />

preparato tutto questo tempo sperimentando e riflettendo. Ho dunque gran<strong>di</strong><br />

progetti, perciò oggi devo essere breve.»<br />

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