STORIA DELLA «RELIGIONE DELL'ARTE». - Il Covile
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lenza e con scienze raffinate sembrano infliggere<br />
colpi decisivi alla stessa religione rivelata, non<br />
resta che l’opera d’arte «eterna», «la più bella<br />
delle imprese» che prende avvio dalla «nostra intuizione<br />
di Dio». Altissima è la presunzione di<br />
quest’arte nuova, di fonte divina, di andamento<br />
religioso, eppure in Runge come nei teorici e negli<br />
artisti novecenteschi c’è la convinzione che<br />
«difficilmente possa risorgere qualcosa che sia<br />
pari alla bellezza dell’arte storica nel suo punto<br />
più alto». Uno scacco in partenza di fronte a<br />
quell’arte storica che senza proporsi mete divine<br />
(o forse proprio per questo) resta, nei suoi limiti<br />
umani e nel suo sfondo metafisico, irraggiungibile.<br />
Ma la lettura del pio Runge è diversa: la «decadenza»<br />
che ci allontana l’opera di Raffaello,<br />
Michelangelo e Guido deriva dal fatto che «lo<br />
spirito ha abbandonato» l’arte. La sua morte —<br />
che indirettamente Runge evoca dal momento<br />
che parla spesso di «resurrezione» — coinciderebbe<br />
con l’averla ridotta a «trastullo», a gioco. Eco<br />
nervosa di quel «puro gioco delle facoltà» che<br />
Kant aveva stabilito nella sua recente Critica?<br />
Runge si rende conto che l’arte ludica dei moderni<br />
può precipitare in breve la nobile attività in