STORIA DELLA «RELIGIONE DELL'ARTE». - Il Covile
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! 67 $<br />
nisiaco, vergognandosi delle delicatezza apollinee,<br />
che si gareggia nei radicalismi, che la violenza<br />
si trasfigura in arte o meglio l’arte si riduce a<br />
gesto violento, sulla tela e più tardi sulla scena<br />
della performance. <strong>Il</strong> dubbioso artista pomerano<br />
sa ricordare, non si è piegato a tal punto davanti<br />
agli imperativi dei contemporanei da dimenticare<br />
le opere di un tempo, il loro fulgore. Eppure è<br />
così folgorato dalla nuova voga spiritualista, dai<br />
comandamenti etici interiori, da risolversi alla<br />
fine nel preferire l’idea dell’opera al suo aspetto<br />
materiale. Egli lamenta infatti che spesso viene<br />
criticato chi «sa stimolare lo spirito e suscitare<br />
nell’osservatore riflessioni e sentimenti», mentre<br />
«troppo spesso giudicano il valore di un quadro<br />
solo in base al grado di perizia e di abilità nell’uso<br />
del pennello, nel trattamento e nell’applicazione<br />
del colore». Ebbene, bisognerebbe tener<br />
presenti i due corni della ricerca artistica ma,<br />
ammette, «se dovessi scegliere, preferirei annoverarmi<br />
tra i primi». 37<br />
In un’altra pagina tornerà sull’argomento: c’è<br />
chi crede che<br />
il pittore deve limitarsi a dipingere, non deve<br />
volere! […] Io dichiaro apertamente e libera-<br />
37 Ivi, pp. 59–60.