STORIA DELLA «RELIGIONE DELL'ARTE». - Il Covile
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! 44 $<br />
dell’aria e delle rocce, dov’è la novità? Perché<br />
non provare umilmente a dipingere questi elementi<br />
(come farà un giorno con somma maestria<br />
Stifter nelle sue prose) invece di trasfigurarli in<br />
una battaglia cosmica e apocalittica tra le forze<br />
divine e quelle diaboliche? Perché la scelta del<br />
paesaggio, che Runge come Friedrich e Carus<br />
con molta teoria pongono al centro dell’‹arte<br />
nuova›, non è soltanto un genere pittorico?<br />
Perché, sembra risponderci Runge, se Dio è<br />
irrappresentabile, di quella natura che gli è specchio,<br />
possiamo dare però rappresentazione spirituale,<br />
rivelare Dio nei quadri attraverso i riflessi<br />
divini dei paesaggi. Ben altra, estrosa, soluzione<br />
proponeva un credente d’altri tempi come Teodoro<br />
Studita quando sosteneva che poiché Cristo<br />
è nato da una madre raffigurabile, possiede una<br />
immagine rispondente a quella della madre, e se<br />
non si potesse rappresentare nell’arte vorrebbe<br />
dire che sarebbe nato dal solo Padre e non da<br />
Maria. 22 Invece Runge concepisce l’individualismo<br />
più sfrenato, al limite della incomunicabilità:<br />
«il prodotto più alto dell’arte è l’immagine di<br />
Dio in noi», cioè «la visione individuale che cia-<br />
22 Citato da padre Giovanni Pozzi nel suo fulgido Sull’orlo del visibile<br />
parlare, Milano, 1993, p. 63.