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1222 BvS n.7 Novembre.qxd - Fondazione Biblioteca di via Senato

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12 la <strong>Biblioteca</strong> <strong>di</strong> <strong>via</strong> <strong>Senato</strong> Milano – novembre 2009<br />

ducibili alle intenzioni dei precedenti testi teatrali <strong>di</strong> Rinuccini.<br />

Poiché appunto a trionfare non è più il «guerriero<br />

o duce», in scoperta simbologia Enrico IV o Fer<strong>di</strong>nando<br />

I che scuotono il giogo spagnolo, ma è il poeta, che riven<strong>di</strong>ca<br />

a sé «palma e trofeo» del trionfo sulla morte.<br />

Alla vigilia della stipulazione dell’alleanza francese,<br />

quando papato e Spagna minacciano la restaurazione <strong>di</strong><br />

una ubbi<strong>di</strong>ente repubblica a Firenze, è in rappresentanza<br />

<strong>di</strong> Firenze che Corsi esprime solidarietà a Fer<strong>di</strong>nando e<br />

tale contesto della rappresentazione suggerisce che appunto<br />

in nome della città e della sua scelta lealista L’Euri<strong>di</strong>ce<br />

celebri la vittoria, e in ragione <strong>di</strong> ciò viene ammessa<br />

nel programma ufficiale dei festeggiamenti <strong>di</strong>nastici.<br />

L’Orfeo cinquecentesco ripete questo motivo riscattando<br />

dalla morte «le sembianze antiche», «gli usati<br />

accenti» (vv. 704 s.) in virtù del restaurato potere della<br />

mono<strong>di</strong>a, con<strong>di</strong>videndo del modello il rapporto con l’antichità<br />

come imitazione creativa, come una gara con gli<br />

antichi, secondo «l’idea albertiana del certame», ben presente<br />

nel prologo dell’Euri<strong>di</strong>ce, nell’orgogliosa riven<strong>di</strong>cazione<br />

<strong>di</strong> un «alloro, / Qual forse anco non colse Atene o<br />

Roma» (vv. 17 s.). Nella Firenze <strong>di</strong> fine Cinquecento, però,<br />

questa ispirazione umanistica non è ideologicamente<br />

neutrale, ma una <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> voto rispetto al lungo<br />

processo della restaurazione confessionale antiumanistica,<br />

<strong>di</strong> matrice ficiniana prima e controriformista poi. Al <strong>di</strong><br />

là dei compiaciuti riferimenti letterari, eru<strong>di</strong>ti sino alla citazione<br />

del «forte carme», la formula apotropaica esorcizzante<br />

l’«empio serpente» (v. 286), è <strong>di</strong>fficile infatti interpretare<br />

come classicismo meramente esornativo i motivi<br />

<strong>di</strong> laicismo umanistico che si inseguono nel libretto <strong>di</strong><br />

Rinuccini, la precarietà del destino umano rispecchiata<br />

nei cicli della natura, libera da ogni illazione <strong>di</strong> risarcimenti<br />

sempiterni («Al rotar del ciel superno / Non pur<br />

l’aer e ’l foco intorno, / Ma si volve il tutto in giro: / Non è<br />

il ben né ’l pianto eterno», vv. 384-387).<br />

<br />

[...] Sapesse o no che nella più antica versione del<br />

mito la restituzione della ninfa era affettivamente la conclusione<br />

della catabasi, nella de<strong>di</strong>ca a Maria de’ Me<strong>di</strong>ci<br />

Rinuccini giustificava l’esito felice da lui attribuito all’impresa<br />

come «convenevole in tempo <strong>di</strong> tanta allegrezza» e<br />

gli interpreti hanno volentieri accettato questo rinvio all’occasione<br />

nuziale. Una spiegazione alle epocali ambizioni<br />

<strong>di</strong> un «nuovo cammin» (v. 16), <strong>di</strong> una nuova <strong>di</strong>mensione<br />

teatrale enunciate nel prologo, in esplicita polemica<br />

contro la trage<strong>di</strong>a senecana; ma inferiore anche alle attese<br />

<strong>di</strong> ripristino della tra<strong>di</strong>zione citta<strong>di</strong>na, culturale e civile,<br />

che l’estraneità umanistica allo Zeitgeist e l’impegno<br />

politico <strong>di</strong> Rinuccini e Corsi suggeriscono <strong>di</strong> leggere nella<br />

resurrezione <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce.<br />

Il voto della città a favore del principato me<strong>di</strong>ceo<br />

nel momento del suo mortale pericolo plausibilmente<br />

poteva aspirare a una tale contropartita, liberatoria dell’identità<br />

fiorentina dall’omologazione assolutista e confessionale;<br />

e il libretto <strong>di</strong> Rinnuccini sembra reggere bene<br />

al compito <strong>di</strong> esprimere allegoricamente queste eccezionali<br />

circostanze politiche. Se il canto dell’Orfeo cinquecentesco<br />

può ben farsi carico <strong>di</strong> rappresentare la tra<strong>di</strong>zione<br />

culturale e civile su cui Firenze fonda le sue non spente<br />

pretese <strong>di</strong> primato, se verosimilmente la commozione <strong>di</strong><br />

Plutone auspica l’atteso consenso del principe a restituire<br />

alla vita quella tra<strong>di</strong>zione soffocata e morente, allora Firenze<br />

è il soggetto vero del dramma e trova spiegazione<br />

adeguata l’enigmatica scelta <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce eponima.<br />

Di questa possibile lettura dell’Euri<strong>di</strong>ce, l’Arianna<br />

otto anni dopo – «trage<strong>di</strong>a» anch’essa, e sin dal sottotitolo,<br />

a scoraggiare le obiezioni dei pedanti, e ahimè anch’essa<br />

pervicacemente a lieto fine – appare allo stesso<br />

tempo conferma ed epilogo. Qui l’usato schema drammatico<br />

<strong>di</strong> Rinuccini non si ripropone, poiché tutto è già<br />

avvenuto: l’«inclito duce», grazie a chi per amore «reselo<br />

vincitor nell’alta impresa», è già uscito «da l’orror del cieco<br />

labirinto», lasciando «il mostro rio sull’erba estinto».<br />

Proprio l’esempio dell’Arianna può metterci in sintonia<br />

con Rinuccini quando attribuisce qualità <strong>di</strong> trage<strong>di</strong>a<br />

ai suoi drammi per musica. A proposito dell’Euri<strong>di</strong>cela<br />

questione è stata generalmente trattata con sufficienza<br />

dagli storici, persuasi che si tratti <strong>di</strong> mera millanteria classicistica:<br />

nel migliore dei casi «una iperbole cortigiana –<br />

come scrive Nino Pirrotta –, un enfatico complimento alla<br />

nuova regina <strong>di</strong> Francia. Si affermava allora, infatti, che<br />

soltanto il nobile linguaggio della trage<strong>di</strong>a si ad<strong>di</strong>cesse alla<br />

presenza <strong>di</strong> un personaggio reale».<br />

Non si sollevano obiezioni invece sulla reiterazione<br />

dell’iperbole nella rappresentazione mantovana del<br />

1608, per la quale già la relazione ufficiale parlava <strong>di</strong> «l’Arianna<br />

trage<strong>di</strong>a», senza traccia del malcontento espresso<br />

invece a suo tempo da Giovanni Bar<strong>di</strong> per le «parole tragiche»<br />

dell’Euri<strong>di</strong>ce e senza le perplessità allo stesso proposito<br />

dei posteri musicologi. Il fatto è che più <strong>di</strong>fficilmente<br />

si può dubitare delle oneste intenzioni tragiche <strong>di</strong><br />

Rinuccini per quanto riguarda L’Arianna, la quale, non-

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