1222 BvS n.7 Novembre.qxd - Fondazione Biblioteca di via Senato
1222 BvS n.7 Novembre.qxd - Fondazione Biblioteca di via Senato
1222 BvS n.7 Novembre.qxd - Fondazione Biblioteca di via Senato
- No tags were found...
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
novembre 2009 – la <strong>Biblioteca</strong> <strong>di</strong> <strong>via</strong> <strong>Senato</strong> Milano 35<br />
UNA CHICCA DA CATTANEO EDITORE, MANZONI DI NUOVO ILLUSTRATO<br />
<br />
La controversa immagine <strong>di</strong><br />
Manzoni e dei Promessi Sposi<br />
L’autore e il suo romanzo, letti dalle arti figurative<br />
<strong>di</strong> Fernando Mazzocca<br />
Nel 1985 la scadenza del bicentenario della nascita<br />
del Manzoni fu per me l’occasione <strong>di</strong> confrontarmi,<br />
radunando materiali allora poco considerati<br />
per due mostre e quelli per un libro, con il controverso<br />
rapporto intercorso tra Manzoni (e la sua opera)<br />
e le arti figurative. Naturalmente, si trattava <strong>di</strong> due problematiche<br />
<strong>di</strong>verse: da un lato la cultura artistica <strong>di</strong> Manzoni<br />
e la possibilità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduarla come fonte dell’elaborazione<br />
letteraria, dall’altro la verifica <strong>di</strong> come pittura e illustrazione<br />
abbiano interpretato le trage<strong>di</strong>e, ma soprattutto<br />
il romanzo, finendo col creare, a proposito dei Promessi<br />
Sposi, una sorta <strong>di</strong> sottogenere del tutto particolare,<br />
a metà tra quello storico e la cosiddetta pittura <strong>di</strong> genere.<br />
Il problema delle frequentazioni figurative e della<br />
relativa competenza da parte <strong>di</strong> Manzoni se lo era posto<br />
per la prima volta Mina Gregori, appena uscita dalla<br />
scuola <strong>di</strong> Longhi, in un saggio rimasto celebre, pubblicato<br />
nel 1950 su “Paragone” con il titolo suggestivo I ricor<strong>di</strong><br />
figurativi <strong>di</strong> Alessandro Manzoni. Ricor<strong>di</strong> che emergerebbero<br />
dalla lettura del romanzo, senza alcun riscontro <strong>di</strong><br />
carattere documentario nel pur amplissimo archivio delle<br />
carte manzoniane. Attraverso un <strong>via</strong>tico chiaramente<br />
longhiano, la potente suggestione letteraria confermava<br />
l’allora giovane e promettente stu<strong>di</strong>osa nella sua intuizione<br />
<strong>di</strong> una forte matrice toscana nella formazione del naturalismo<br />
pietistico lombardo, <strong>di</strong> cui Manzoni avrebbe tenuto<br />
conto nei Promessi Sposi, precisando come «il significato<br />
da consegnarsi alla storia della cultura è <strong>di</strong> un altro<br />
caso <strong>di</strong> incrocio d’i<strong>di</strong>omatismo lombardo aggiornato alla<br />
G. Mantegazza, Capitolo XI, Mentre fa questi bei conti,<br />
sente un calpestio (Milano, <strong>BvS</strong>)<br />
lingua viva toscana: e l’esposizione del racconto ne guadagna<br />
un’efficacia, per così <strong>di</strong>re, rinforzata e materiata <strong>di</strong><br />
grembiuli <strong>di</strong> bucato e <strong>di</strong> corsetti colorati, <strong>di</strong> ceste rustiche,<br />
<strong>di</strong> collarini can<strong>di</strong><strong>di</strong> da prete, ancora freschi come insalata<br />
<strong>di</strong> campo. Oltre i termini dell’estetica toscana,<br />
un’offerta inconsapevole <strong>di</strong> cose entro quell’umile fedeltà<br />
ai fatti: da una cappella all’altra (del Sacro Monte <strong>di</strong> Orta)<br />
è come seguire le tappe <strong>di</strong> Renzo, capitate nelle stesse<br />
congiunture e alle stesse osterie, a quei deschi apparecchiati<br />
e odorosi ancora oggi. Un documento dell’epoca<br />
parlante come il Ripamonti, in cui sta la veri<strong>di</strong>ca storia<br />
d’intiere generazioni <strong>di</strong> devoti (e il ricordo della peste vi è<br />
spesso presente): la pittura del Seicento lombardo che il<br />
Manzoni ci ha fatto desiderare».<br />
La grande mostra Manzoni. Il suo e il nostro tempo, allestita<br />
per il bicentenario a Palazzo Reale, fu l’occasione<br />
per Giovanni Testori <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re e in qualche misura<br />
estendere queste suggestioni. Ricalcando il titolo del suo<br />
saggio in catalogo su quello dell’amica Gregori, Ricor<strong>di</strong> figurativi<br />
del e dal Manzoni, egli insisteva sull’universo dei<br />
Promessi Sposi come magnifica chiave per un’ulteriore rilettura<br />
<strong>di</strong> una pittura lombarda della realtà, intercettata<br />
dal Cerano sino a Segantini e Morlotti, quando l’Ave Maria<br />
a trasbordo del primo poteva essere esposta a evocare<br />
la struggente <strong>di</strong>sperazione del brano antologico più popolare<br />
del romanzo, l’Ad<strong>di</strong>o monti. Ere<strong>di</strong>tando da Longhi<br />
la tipica prevenzione nei confronti della pittura accademica<br />
e non del nostro ’800, prendeva invece le <strong>di</strong>stanze<br />
dal fenomeno identificato nell’«immenso <strong>di</strong>ffondersi<br />
della manzoneria nel dopo», precisando come «non sempre<br />
la manzoneria risultò all’altezza del padre suo, come,<br />
invece, lo erano stati gli avoli, i bisavoli e i trisavoli».