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1222 BvS n.7 Novembre.qxd - Fondazione Biblioteca di via Senato

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novembre 2009 – la <strong>Biblioteca</strong> <strong>di</strong> <strong>via</strong> <strong>Senato</strong> Milano 37<br />

l’ultima incursione <strong>di</strong> Hayez nel mondo manzoniano,<br />

confrontandosi questa volta con uno dei personaggi più<br />

popolari del romanzo e <strong>di</strong> conseguenza più frequentati<br />

dalla pittura storica, come confermano i casi <strong>di</strong> Andrea<br />

Gastal<strong>di</strong> o <strong>di</strong> Alessandro Guardassoni che, in un clima ormai<br />

da realismo storico, rievocava il celebre episo<strong>di</strong>o della<br />

conversione tra le braccia del Car<strong>di</strong>nale Federico.<br />

Quello <strong>di</strong> Molteni è un caso speculare, <strong>di</strong> un artista<br />

<strong>di</strong> sconfinate ambizioni e <strong>di</strong> altrettanto successo, che, per<br />

restare al centro dell’attenzione era riuscito, con la complicità<br />

<strong>di</strong> Massimo d’Azeglio, genero dello scrittore, a<br />

vincere la naturale ritrosia <strong>di</strong> Manzoni a farsi ritrarre. In<br />

quel magnifico <strong>di</strong>pinto a due mani, in cui il paesaggista<br />

d’Azeglio ebbe il compito <strong>di</strong> ambientare efficacemente la<br />

figura eseguita magistralmente da Molteni sullo sfondo<br />

<strong>di</strong> «quel ramo del lago <strong>di</strong> Como», gli toccò, forse suo malgrado,<br />

<strong>di</strong> essere rappresentato, come stigmatizzerà in seguito<br />

il figliastro Stefano Stampa, «con un libro in mano»<br />

e «con l’aria ispirata, come se non si fosse saputo ch’ei sapeva<br />

leggere e scrivere e ch’era un poeta ispirato». Di qui<br />

la scelta da parte <strong>di</strong> Hayez <strong>di</strong> effigiarlo, cinque anni dopo,<br />

con in mano la «famosa tabacchiera», proprio per sottolineare,<br />

come precisava sempre lo Stampa, «una <strong>di</strong> quelle<br />

familiari abitu<strong>di</strong>ni, che poi appunto in grazia della loro famigliarità<br />

sfuggono, o sono <strong>di</strong>menticate dalla Storia».<br />

Resi noto anni fa una lettera importante – vero capolavoro<br />

<strong>di</strong> fermezza, <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguo e <strong>di</strong> efferata <strong>di</strong>plomazia<br />

– in cui Manzoni troncava sul nascere le ambizioni dei<br />

due complici, impedendo loro <strong>di</strong> esporre il quadro a Brera<br />

per farsi pubblicità a sue spese, <strong>di</strong>vulgando un’immagine<br />

in cui molto probabilmente non si riconosceva, nata<br />

dal “capriccio” da parte <strong>di</strong> d’Azeglio «<strong>di</strong> volere su una tela<br />

un povero soggetto e un lavoro squisito».<br />

Se l’effigiato non si ritrovò nella brillante vena<br />

estroversa <strong>di</strong> questo in realtà magnifico <strong>di</strong>pinto, l’opera,<br />

vista da molti nello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Molteni, trovò tutti d’accordo<br />

nel celebrarne la somiglianza e l’abilità con cui il pittore<br />

aveva saputo rendere l’idea del romanziere ispirato, carattere<br />

in cui Manzoni non si identificava.<br />

Ma questo incidente non scoraggerà affatto l’intraprendente<br />

Molteni dal misurarsi ancora con l’iconografia<br />

manzoniana, impadronendosi questa volta del personaggio<br />

del romanzo, La Signora <strong>di</strong> Monza (1847, conservato<br />

ai Musei Civici <strong>di</strong> Pa<strong>via</strong>), che appariva più congeniaandata<br />

presto sparsa e <strong>di</strong>spersa, rimanendo<br />

quasi del tutto ine<strong>di</strong>ta e nascosta<br />

al pubblico per oltre un secolo. Perché è<br />

la qualità del segno e del gesto <strong>di</strong> Mantegazza<br />

a fare compiutamente la <strong>di</strong>fferenza,<br />

la sua attenzione a tutti gli episo<strong>di</strong><br />

chiave del romanzo, la suggestione<br />

delle immagini e delle “inquadrature”,<br />

le sapienti citazioni del territorio milanese<br />

e dei suoi costumi dell’epoca, l’eleganza<br />

della composizione.<br />

Una vera opera nell’opera quella<br />

del Mantegazza, tutta giocata sulla<br />

perfetta adesione al susseguirsi degli<br />

eventi, ma anche su un duplice approccio<br />

alla loro interpretazione, che continuamente<br />

alterna acquerelli e <strong>di</strong>segni al<br />

tratto, quasi una sublimazione dell’animo<br />

espresso dal narratore. Il pittore, infatti,<br />

– scrive Sergio Rebora nella sua<br />

Postfazione a questa e<strong>di</strong>zione – «interpretò<br />

il romanzo come un’inesauribile<br />

fonte <strong>di</strong> clamorose scene <strong>di</strong> genere <strong>di</strong> cui,<br />

in molteplici casi, scelse <strong>di</strong> esasperare la<br />

narratività nella sua componente comunicativa<br />

più <strong>di</strong>retta, come in una trasposizione<br />

scenica del testo o, ancor meglio,<br />

nella regia <strong>di</strong> un melodramma»,<br />

mentre «un segno calligrafico e sofisticato<br />

connota invece i capolettera e alcune<br />

immagini simboliche, quasi astratte<br />

nella loro ar<strong>di</strong>ta sintesi decorativa: una<br />

rosa (pag. 109), un mazzo <strong>di</strong> car<strong>di</strong><br />

(pag. 59), un animale (pag. 125)», e<br />

infine che, nell’elaborazione <strong>di</strong> alcuni<br />

capilettera istoriati, «Mantegazza pare<br />

concedersi un personale <strong>di</strong>vertissement<br />

rappresentandovi altri personaggi ancora<br />

- Carneade (pag. 811), don Abbon<strong>di</strong>o<br />

(pagg. 296, 332), don Rodrigo (pag.<br />

59), ad<strong>di</strong>rittura il car<strong>di</strong>nal Federigo<br />

(pag. 256), ma anche l’allegoria dell’Abbondanza<br />

con tanto <strong>di</strong> cornucopia<br />

(pag. 318) - in un ruolo extra narrativo<br />

che finisce per risultar bizzarro.<br />

Matteo Tosi

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