LE IDEE DELL'ASTRONOMIA
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4 j Astronomia indiana<br />
Astronomia indiana 95<br />
Se la storia dell’astronomia in Occidente può essere approssimativamente<br />
identificata con il lento processo di recupero delle conoscenze ellenistiche,<br />
altrove la storia delle idee dell’astronomia ha seguito percorsi differenti.<br />
Osserviamo come i concetti passino da una cultura all’altra, per poi prendere<br />
la strada inversa arricchiti di nuovi contributi. È il caso dell’India che<br />
ha ricevuto influssi dalle culture babilonese ed ellenistica, ma ha poi restituito<br />
conoscenze matematiche che fanno parte del bagaglio culturale di<br />
tutti noi: tra queste c’è senza dubbio lo zero. Lo studioso indiano Pingala,<br />
vissuto tra il IV e il II secolo a.C. e i suoi contemporanei, impiegarono il<br />
termine sanscrito śūnya (vuoto) per riferirsi allo zero. Il simbolo moderno<br />
0 trae proprio la sua origine come immagine del vuoto o di lacuna. Pingala<br />
inoltre descrisse per primo un sistema di numeri binari in relazione alle<br />
sillabe corte o lunghe: una sorta di codice Morse. Il concetto di zero come<br />
numero e non solamente come un simbolo di separazione, è da attribuire ai<br />
matematici indiani i quali, a partire dal IX secolo d.C., effettuarono calcoli<br />
pratici impiegando lo zero considerato da essi come ogni altro numero.<br />
Inizialmente l’astronomia in India, come in molte altre culture, era profondamente<br />
collegata alle credenze religiose. Il primo riferimento testuale<br />
a concetti astronomici proviene dai Veda, i testi sacri indiani. In essi, in particolare<br />
nel Rigveda, si trovano considerazioni circa la genesi dell’universo<br />
tratto dalla non esistenza, la sfericità della Terra e l’anno di 360 giorni diviso<br />
in 12 parti di 30 giorni ciascuna, con un mese intercalare periodico. Le<br />
direzioni cardinali si trovano nel Śulbasūtra del I millennio a.C., un trattato<br />
che contiene applicazioni matematiche impiegate per la costruzione degli<br />
altari; si utilizzavano poi la matematica ed alcuni strumenti astronomici<br />
per calcolare la durata del giorno e il sorgere e tramontare del Sole.<br />
Durante il periodo che va dal V al III secolo a.C. l’astronomia indiana<br />
introduce i metodi mesopotamici del periodo Achemenide attraverso<br />
l’Iran. Il Jyotisa Vedanga, redatto da Lagadha, risale a questo periodo e contiene<br />
un calendario lunisolare che adotta come unità di tempo 1/30 di mese<br />
sinodico (= 1 tithi). [33] Due frammenti di tavolette cuneiformi provenienti<br />
da Uruk, attualmente conservati al museo archeologico di Istanbul,<br />
mostrano lo stesso concetto di mese lunare medio di 30 giorni suddiviso in<br />
30 unità di tempo uguali. Si ritrova ancora questa suddivisione nella teoria<br />
lunare e planetaria babilonese del periodo seleucide (III a.C.–I a.C.). I primi<br />
Veda e Brahamanas contengono liste di 27 o 28 costellazioni o naksatras, associate<br />
al moto della Luna, oltre a parametri approssimati, come i 12 mesi e<br />
i 360 “giorni” dell’anno o nychthemera. Sembra che le misurazioni del temwww.nostronomics.com