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S&F_n. 5_2011un “impulso interiore”, un “residuo irrazionale”, che trascende ilim<strong>it</strong>i dell’esperienza possibile, rifiuta di chinare la testadavanti al “muro”, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dall’insieme delle leggi dellaragione e delle “evidenze”. La radice di questo rifiuto sta nellaconsapevolezza del fatto che il chinare la testa davanti al “muro”fa emergere un tipo di saggezza che consiste nel consigliareacquiescenza e rassegnazione, che è tutta tesa ad accettarel’ordine inev<strong>it</strong>abile del mondo e che si cost<strong>it</strong>uisce, diconseguenza, come educazione al rispetto della continu<strong>it</strong>à e dellaforza dell’“esterno” in contrasto con la fragil<strong>it</strong>à dell’“io”, conconseguente rinuncia a ogni pretesa di quest’ultimo di essere, edi essere autonomo, di essere “in sé e per sé”.Come fa notare un filosofo russo, acuto interprete del pensiero edell’opera di Dostoevskij, Lev Šestov, nelle Memorie dalsottosuolo lo scr<strong>it</strong>tore ha levato, nel modo più alto e incisivopossibile, il suo radicale rifiuto di giocare questo tipo digioco, impregnato di spir<strong>it</strong>o di rassegnazione:Ciò che avviene nell’anima dell’uomo del sottosuolo non assomigliaminimamente al “pensiero”, e meno che mai a una “ricerca”. Egli non“pensa”, si ag<strong>it</strong>a, si ag<strong>it</strong>a disperato, batte da tutte le parti, cozzacontro tutti i muri. Si infiamma senza tregua, raggiunge le cime piùalte per precip<strong>it</strong>are poi sa Dio in quali abissi. Non sa piùgovernarsi, una forza infin<strong>it</strong>amente più potente di lui lo tiene inpugno [...]. Egli “ha visto” che né le “opere della ragione” nénessun’altra “azione umana” potranno salvarlo. Ha indagato, e conquale attenzione, con quale soprannaturale tensione, tutto ciò chel’uomo può costruire con l’aiuto della ragione, tutti quei palazzi dicristallo, e si è persuaso che non erano palazzi, bensì pollai,formicai, poiché sono stati tutti costru<strong>it</strong>i in base a un principio dimorte: “due più due fa quattro”. E via via che ne prende atto,l’“irrazionale”, l’inconcepibile, il caos primordiale, che spaventa lacoscienza ordinaria più d’ogni altra cosa, prorompono dal fondo dellasua anima. Per questo, nella sua “teoria della conoscenza” eglirinuncia alla certezza, e accetta come suo fine supremo l’ignoranza.Per questo osa opporre alle evidenze argomentazioni di burla e discorno, facendo le boccacce con la mano in tasca. Per questo, egliesalta il capriccio incondizionato, imprevisto, eternamenteirrazionale, e se la ride di tutte le “virtù” umane 11 .Emerge così un’altra immagine dell’“io”. Non più docile, non piùremissivo, non più saggio, ma espressione di una forza11 L. Šestov, Sulla bilancia di Giobbe. Peregrinazioni attraverso le anime, tr.<strong>it</strong>. Adelphi, Milano, 1991, pp. 81‐82.81

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