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36Sabato 7 Settembre 2013 Corriere della SeraAbitare Le idee✒Case&famiglieUN’ASSENZACHE SA DIPARADOSSOdi ENZO D’ERRICOOgni famigliacontiene unparadosso: dueestranei che scelgono dimescolare le loroesistenze. E quelparadosso abitainvariabilmente unacasa. Da questo semegermoglia negli anni,soprattutto dopo gliirrimediabili inverni delnostro scontento, lanecessità di ricavareangoli che cirestituiscano un po’dell’autonomia perduta.Questa suddivisionedelle aree sentimentali,ancor più che logistiche,era assicurata un tempodal corridoio, terra dinessuno dove la vitadomestica scivolavaleggera prima dioltrepassare il confine diuna stanza e conformarsiallo spirito del luogo: lasala da pranzo, il tinello,la camera da letto, ilsalotto e via di seguito.Oggi quella sottile zonafranca della convivenza èquasi scomparsa dagliappartamenti. E anchequesto suona come unparadosso. Nell’era in cuiil concetto stesso difamiglia cambiaperdendo la (falsa?)compattezza del passato,sarebbe logico assistere auna maggioredelimitazione degli spaziindividuali. Inveceaccade il contrario:sparisce il corridoio efioriscono lecase-matrioska. Oaddirittura i loft. Strano?Mica tanto, perché iparadossi ospitanosempre una realtà e ilsuo contrario. Potremmodire, infatti, che proprioil mutamento dellatessitura culturale hagenerato questa nuovaarchitettura: lasquadratura delleabitazioni post-bellicheera calcata su un modellogeometrico di famiglia,mentre l’attualeinformità degli interni èlo specchio delladimensione «liquida»assunta dall’interasocietà e dal suo primonucleo. L’unica certezza èche il corridoio hatrovato un’altra dimora.Le parole, del resto,hanno un istinto disopravvivenza che lecose non possiedono. Ecosì oggi usiamoespressioni tipo«corridoio umanitario»,«corridoio virtuale», chenon sanno di tetti epareti, ma di guerre etecnologie. Sono ilriflesso del presente.Che, però, non cancellala memoria dei passiperduti su un filo dipavimento tra una stanzae l’altra, quando la vitaera l’attesa di uningresso. Senzal’inciampo del dolore.© RIPRODUZIONE RISERVATARitorno all’antico Gli spazi aperti di oggi somigliano più alle regge. Ma i «vecchi» appartamenti custodivano un tesoroLuoghinon comuniAchille Campanile, nel suo«Manuale di conversazione»aveva ironizzato sullavita in una reggiasei-settecentesca, con tuttaquella infilata di stanze, saloni, ambientiuno dentro l’altro: per passareda una ala all’altra del palazzo servi,dignitari e cortigiani dovevano necessariamenteattraversare anche locali«privati» con i conseguenti inchini,genuflessioni, scappellamenti emagari imbarazzi, a seconda del rango(e dell’attività) delle persone incontrate.Il film «La famiglia» di EttoreScola, recentemente riproposto intv, racconta 80 anni di storia di unafamiglia romana attraverso una grandecasa e un lungo corridoio, vistocome elemento spaziale di raccordotra gli ambienti ma anche tra le «fasi»del film. Un territorio «neutrale»in cui si muovono i protagonisti maanche in grado di dare una idea diprofondità spaziale, di continuità.Da diversi anni a questa parte, unasuperficie in via di estinzione: «Nonci sono più i corridoi perché sono venutimeno gli spazi di transizione —spiega l’architetto Mario Botta —. Lacasa di una volta era più povera maAlla ricerca degli artigiani❜❜È una struttura poveradell’800: ma queglispazi di transizioneerano ricchezza umanaMario BottaAddio corridoio(e zona di tregua)molto più ricca: l’habitat aveva unaserie di «prolungamenti» (atri, cortili,pianerottoli) che arricchivanol’abitare. Oggi questi spazi sonoscomparsi. Una volta la casa di ringhieraaveva il bagno comune in fondoal ballatoio. Oggi uno ha l’ariacondizionata e l’ascensore che lo portadirettamente in casa ma non sachi ci sia nell’appartamento accanto».Una tendenza, quella raccontatada Botta, confermata dall’architettomilanese Patrizia Sbalchiero, attivasoprattutto negli interventi di ristrutturazionee riqualificazione, in Italiae all’estero: «Tendenzialmente cercodi eliminare i corridoi: uno spreco dispazio, soprattutto oggi che gli appartamentisono più piccoli che inpassato. Anche se mi sono capitaticommittenti che li hanno richiestiespressamente, per ricreare la strutturaoriginaria della casa».Una caratteristica, questa, che negliantichi palazzi non esisteva, comesottolineava Campanile: gli ambientierano uno dentro nell’altroe per passare da un estremoall’altro dell’edificio, era necessarioattraversarli tutti oquasi. Una mancanza di privacypressoché assoluta. Un problema,questo, risolto con «l’invenzione»del corridoio, ambientedi servizio nato con lo scopo dismistare le funzioni domestiche,isolando i singoli locali. «Unospazio che sta scomparendo — riprendel’architetto Sbalchiero —un po’ per una questione di modama soprattutto perché è cambiatolo stile di vita, il modo di abitare.Anche negli edifici di nuova costruzioneva riducendosi». «Il corridoioè una tipologia povera di tipoottocentesco. In realtà, però— prosegue Botta — è l’intera cittàad essersi "impoverita". Unavolta esistevano viali alberati,piazze, spazi di aggregazione collettiva.Oggi, si arriva con la macchinanel parcheggio sotterraneoe si sale direttamente in casao nel centro commerciale. Lecase di una volta erano moltopiù "flessibili". E umane».Uno tra i primi a rendersiconto che quello nei corridoi èfondamentalmente spazio inutilizzatoè stato Mies van der Rohe:nella villa Tugendhat a Brno (fine anni20) un unico locale di soggiornodi quasi 300 mq ingloba in un insiemefluido salotto, sala da pranzo e saladella musica. Gli ambienti diservizio, quelli per la servitù e lazona notte sono collegati al restodella casa mediante disimpegni.E nei Lake Shore DriveApartments di Chicago, abitazionidi 60 mq ideate nel 1949,sono scomparsi pure questi:l’ingresso si trasforma in cucina,che diventa soggiorno che,a sua volta, si tramuta in camerada letto. Da cui si accede albagno.«A volte problemi strutturaliimpongono di mantenere i corridoi— continua l’architettoSbalchiero — come un muro dispina nelle costruzioni in mattoni».Altre volte, invece, sono i regolamentia prevedere disimpegnitra i locali dell’abitazione. «Inogni caso — aggiunge Sbalchiero— anche nel vano più angusto èimportante ricreare la sensazionedi massimo spazio. Io, ad esempio,ricorro spesso a pareti scorrevoli,in grado di aprirsi sugli ambienti,e aumentare la sensazione diariosità».Marco Vinelli© RIPRODUZIONE RISERVATATra Parma e Piacenza, un ceramista, un falegname e altri maestri reinterpretano i mestieri della tradizioneGres «a legna» e fil di ferro nell’antico DucatoGenerazioni «La famiglia» diEttore Scola (1987): il corridoiointroduce ogni fase del filmLa serieDopo Umbria, Veneto, Toscana,Salento e Alto Adige, l’Appenninotra Parma e Piacenza chiude laserie sulla tradizione artigianaleAnni 30XVIII SecoloDall’alto, pareti come «quinte» nellacasa di Claudio Silvestrin a Parigi; VillaTugendhat a Brno di Mies van der Rohe;la Sala del Trono nella Reggia di CasertaRobert Cross, maestro ceramista,è cresciuto in Inghilterrae dopo la laurea in scienzebiologiche, da trent’anni ha sceltodi vivere sulle colline di Noceto, nelparmense. «Lavoro la ceramica altornio e produco oggetti di uso quotidiano».La sua produzione prediligeil gres cotto al forno a legna adalta temperatura, a 1300˚, utilizzandolegno di recupero e smalti nontossici, che produce da solo. Glismalti sono minerali (e le ceneri didiversi tipi di legno), adatti all’usoalimentare. «Lascio che siano gli elementinaturali, in particolare le terred’argilla, la cenere del legno e ilfuoco a creare il magico processo ditrasformazione. La scelta di vivere elavorare qui è coerente con il miostile artistico e la passione per l’essenzialitàe l’ordine casuale della natura».«Non sono un artista concettuale,neanche un moderno mastro Geppetto,forse un mix». AlessandroMora, parmigiano lavora il legno, recupera,ricicla oggetti e materiali.«Mi piace dimenticare la vecchiafunzione e far rinascere con unanuova forma e utilizzo gli oggettiche creo». Non più recycling, ma«upcycling». Seguendo il dettamedel non spreco. Da questa riflessione,che è uno stile di vita, le assi delponteggio di un cantiere diventanoil ripiano di un tavolo. L’anta di unvecchio armadio è diventato lo specchiodel bagno. Un groviglio di ramicrea un insolito attaccapanni. Cassettispaiati hanno preso vita diventandouna libreria. Una lavagna in disusoserve oggi come cappa dei fornelli.Con le cassette del vino si è inventatoun mobile per il bagno. Il lettoa baldacchino è realizzato con legnisecchi trovati nel bosco, unastruttura «selvatica», come la definiscel’artista.Nel Ducato di Parma e Piacenza,passato dai Farnese ai Borbone sopravvivonoantichi mestieri, legatiall’anima contadina della terra. Monicae Giacomo nel loro atelier Fil diFilosofiaSmalti minerali, ceneri didiverse essenze, fuoco a1.300 gradi: «Amo l’ordinecasuale della natura»Anni 2000Ferro, ripropongono un’antica artecontadina: creano con il filo di ferro.«I cestini di fil di ferro, raccontamia madre, erano le borse di unavolta! Sua nonna, racconta, ne avevatre, uno per le uova, uno, mal ridotto,per le patate e uno «buono»per andare in piazza il giorno di mercato!Erano gli uomini più capaci,durante l’inverno, quando si andavadi sera nella stalla per passare il tempo,a lavorare il fil di ferro per realizzarei cestini». Le loro creazioni infilo di ferro piegato e ritorto sonoproposte d’arredo poetiche, dalle loromani nascono voliere, candelieri,allestimenti scenografici e lampadari.Questa antica tecnica risale al’700, occupando la scena nell’800con la sua massima espressione artistica.

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