52Sabato 7 Settembre 2013 Corriere della SeraNELLA BIBLIOTECA DI BUENOS AIRES«Il traditore e l’eroe»Ritrovato un finaleinedito di J. L. BorgesIn un numero del febbraio 1944 della rivista «Sur»,nell’emeroteca della Biblioteca nazionale di BuenosAires, è stato trovato un manoscritto autografo di JorgeLuis Borges (foto), come ha confermato ieri il direttoredella Cultura della Biblioteca Ezequiel Grimson,avvalorando la scoperta dei ricercatori Laura Rosato eGerman Alvarez, che hanno trovato il foglio. Ma, a benguardare, la notizia ha un retroscena anche più curioso,di stile «borgesiano». Infatti, il ritrovamento della pagina— sulla quale Borges ha vergato un finale alternativodel racconto «Tema del traidor y del hèroè» («Tema deltraditore e dell’eroe», della raccolta Finzioni) — ricorda ilracconto medesimo: dove si parla proprio di unmanoscritto ritrovato in un archivio. La breve storianarra di un eroe irlandese immaginario, Kilpatrick,assassinato in un agguato, e dell’investigatore Ryan, chescopre come l’omicidio sia in realtà una messinscenacopiata dalla letteratura. E lo scopre proprio grazie a unmanoscritto trovato in archivio. Se si aggiunge che lanovella è ambientata nella finzione il 3 gennaio ’44 (larivista «Sur», quella reale, è del febbraio ’44), e che vi siaccenna a «una segreta forma del tempo», l’enigma allaBorges è servito. (ida bozzi)© RIPRODUZIONE RISERVATACulturail ClassicoIspirò il film di Luis Buñuel con Catherine Deneuve: da fineottobre per «Gli Intramontabili» delle edizioni E/O, ilromanzo «Bella di giorno» di Joseph Kessel (foto, traduzionedi Elisabetta Sibilio, pp. 176, € 14). Narra la doppia vita diuna borghese, Séverine, che per noia segue le orme di unaconoscente, ugualmente agiata, divenuta però prostituta.Anteprima Antonio Pascale torna alla narrativa con il romanzo «Le attenuanti sentimentali» (Einaudi). Anatomia di un maschio adultoQuella strana chimicaL’illustrazione èdi Bruce MarionImages.com/Corbistra uomini e donneIl protagonista si affida alla scienza, invanoL’unica salvezza? È l’ironia nel fallimentodi ERRICO BUONANNOFino a non molto tempo fa, eravamoin tantissimi a essere amicidi Antonio Pascale su Facebook:scrittori, editori, giornalisti,lettori. Lui pubblicava post con parsimonia,giusto ogni tanto, eppure,quando lo faceva, lanciava segnali unpo’ curiosi. Tanto per dire: aveva comefoto del profilo un uccellino in mezzoal bosco; forse un’immagine troppoidilliaca-naturale, per lui. E poi intervenivasu temi inconsueti: parlava sempredi politica, politica, politica, e delPartito democratico. Che per AntonioPascale era abbastanza inaspettato,ma tant’è. Questo finché un’amicascrittrice non venne colta da un piccolodubbio, che subito doposi fece cocente. Sollevòil caso, lo accusò pubblicamente:«Questoprofilo è solo un falso!Confessa: non sei AntonioPascale!»Seguirono vari postinfuriati da parte di tuttiquanti noi: vergogna!Dopo un giorno, in effetti,si fece vivo il proprietariodel profilo: era Antonio Pascale.Antonio Pascale di Napoli, classe 1960,omonimo. Sembrava un poco intimidito:«Non ho mai detto di essere l’AntonioPascale scrittore». E tutti a insistere:ma ce l’avevi fatto credere! «E come?Sono Antonio Pascale! Non quello,ma... sono Antonio Pascale ancheio! No?»Oggi quest’uomo è ancora su Facebook.Ha meno amici e meno amichedi prima. È stato tacciato d’impostura,perciò ha rinunciato al proprio nome.Ora si chiama Antonio Cuculo, e hapreso atto che, alle volte, anche soltantolimitandosi a essere chi veramentesi è, si può finire per essere falsi.Autofiction] Il protagonistadi «Le attenuantisentimentali»(Einaudi, pp. 240e 19,50) si chiamaAntonio Pascale,come l’autore(nato a Napoli nel1966, a sinistranella foto):si tratta dunquedi autofictionIl personaggiodel romanzo èuna summa didestini mancati: dagiocatore di basket,da musicistae da romanziere] Il libro, inlibreria dal 10settembre,viene presentatoil 22 settembreal festivalPordenonelegge.Con l’autore,Chiara ValerioMentre avveniva tutto questo, l’altroAntonio Pascale, di Caserta, classe1966, scrittore a digiuno di socialnetwork, probabilmente era impegnatoa ultimare il suo nuovo romanzo,Leattenuanti sentimentali, di prossimauscita per Einaudi. Scriveva, e scrivendocreava un personaggio di nome AntonioPascale; un personaggio veridicoche, come sempre, non bisognaconfondere con il vero Antonio Pascale.Per dirla meglio, insomma: sceglievail fortunato genere dell’autofictionper raccontare dei propri tic e delleproprie ossessioni, all’apparenza conassoluta onestà. E le apparenze de Leattenuantisentimentali sono in effettidavvero innocue e sorridenti: una scritturafelice e brillante; una sequenza diriflessioni taglienti, comiche, ciniche,per raccontarci di Antonio, scrittorebloccato dal punto di vista narrativo,padre sul punto di invecchiare, maschio(ci tiene a specificare: «meridionale»,per dovere antropologico) diuna tipologia forse di passaggio traquella dei padri e quella che verrà. Antonio,dunque, che tenta di dare formaal progetto di un documentario suisentimenti e sul rapporto tra uomini edonne dal punto di vista razionale escientifico (titolo provvisorio: C’è chimicafra noi) e che si concede questospunto per fare bilanci su se stesso,sulla specie umana, sull’evoluzione esulla vita.Ma delle apparenze, per l’appunto,è molto meglio non fidarsi. Perchéuna volta finito di lasciarsi trasportaredalla natura magmatica, erratica delleparole e del personaggio Pascale, unavolta finito di percorrere il viaggio ironicoe senza trama, all’improvviso nellettore, ecco, succede un’altra volta.Sorge un sospetto, un dubbio terribile,ossia che anche questo romanzo fingadi essere quello che in realtà non è.O meglio: che sia il lettore, con le sueAutodifesa antropologicaNeanche la fede nel biologicolo salva dal caos in cui sinaufraga se non si creanotrame, schemi cognitivi, poesiaL’invito ad accettarsiIl libro è la riuscita, divertentepresa di coscienza di una resache si scioglie con un sorrisomalinconicamente sinceroaspettative scanzonate, a non capirefin da subito di che cosa si tratti. Comeil Cuculo, quello di Facebook o quellodel bosco, che si finge di famiglia perpoi eliminare una a una tutte le uova ele certezze del prossimo,Le attenuantisentimentalici si presenta come romanzobrillante per rivelarsi, via via,conturbante. Conturbante perché haun tema che è insieme semplice e immane,e questo tema, viene voglia diazzardare, non è altro che il caos. Il caosche domina la nostra vita, e che proviamoad arginare o a dimenticare comemeglio possiamo. Cercando di inventareintrecci, come il protagonistascrittore non riesce più a fare da anni,e cioè organizzando in schemi logici ecoerenti quell’esistenza e quei rapportiche forse di logica non ne hannomai avuta. Cercando di credere in qualcosa,in una regola, in una religione,fosse anche una religione pop come lafede nel biologico o nel ritorno incantatoalla natura: chi conosce Pascale,conosce anche la sua idiosincrasia versouna certa retorica; chi conosce la natura,sa quanto poco incanto ci sia neisuoi meccanismi e nelle sue risposte.Si tenta di arginare il caos con la poesia,con le metafore, con le similitudini,che altro non sono che sforzi percostruire ponti tra un’idea e l’altra, trail mondo interno e il mondo esterno;macché: al personaggio Pascale, chepure si interroga sulle emozioni, la poesianon è mai riuscita. E, infine, si tentadi capirci qualcosa, di usare la testa,la scienza, l’etologia, la chimica perspiegare, magari in un documentario,il caos dell’amore e dell’attrazione, senzariuscirci, allargando le braccia, invocandoa discolpa dei comportamentipiù illogici le «attenuanti sentimentali»,così caotiche, così umane.Questo romanzo si rivela all’ultimo:è un atto di resa, e un invito alla resa.Una riuscita, divertente, malinconicapresa di coscienza che, come tutte leprese di coscienza, non può che sciogliersiin un sorriso.Si sorride davanti alla rinuncia allarazionalità, nell’arrivare a capire chel’amore, l’evoluzione, persino il nostrostare in Terra è frutto di inciampi e dicasualità. E che siamo noi, o che si èAntonio Pascale, sempre così: per purocaso, per puro incidente, e salvosmentite da parte degli altri.© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera Sabato 7 Settembre 2013Terza Pagina53ElzeviroIl saggio di Marco Vannini sulla misticaOLTRE LA SOGLIADEL CRISTIANESIMOdi ARMANDO TORNOIntervista Parla Fiona Reynolds, già direttore del National Trust per la tutela dei beni artisticiIl modello britannico del Fai«Più coinvolgimento dei visitatori significa più donazioni»di STEFANO BUCCI❜❜Il «conosci testesso» diventaessenziale perpotersi accostareal senso di DioIl lavoro di Marco Vanniniè prezioso per lacultura italiana, anchese nel Paese che haavuto come nessun altroumanisti, santi e mistici oggisi preferisce la frivolezzaalle riflessioni, la chiacchieraalla meditazione. Dopoaver riportato alla luce autoriquali Meister Eckharto Taulero, Margherita Poreteo Jean Gerson, SebastianFranck o Angelus Silesius,Vannini ha scritto diversi libridegni della massimaconsiderazione. Di quest’annosegnaliamo Lessicomistico. Le parole dellasaggezza (pubblicato da LeLettere); ora esce da BompianiOltre il cristianesimo(pp. 320, e 14), un saggioin cui non soltanto scavanella tradizione occidentalema si rivolge anche aquella dell’Oriente.Dopo un capitolo su MeisterEckhart, autore al qualeha dedicato la vita, Vanninisi concentra sul mondoche ha dato allo spiritoumano le Upanishad olaBhagavadgita; esamina ilbuddhismo, chiude con lastraordinaria figura di HenriLe Saux, sacerdote, liturgista,esperto di canto gregoriano.Di lui scrive semplicemente,con sintesiche ne tratteggia l’opera:«Quel passaggio in Indiache Plotino non riuscì acompiere lo ha compiutoai nostri giorni Le Saux».Era un monaco cristiano-hinduche poteva cercare,al pari di Eckhart, Dio el’anima attraverso quei percorsiche dall’oracolo diDelfi giungono ad Agostino.Il «Conosci te stesso»diventa essenziale per accostarsialla soglia di Dio: èuna sorta di passaggio obbligato,presente nelle spiritualitàpiù elevate; anziquesta massima, come unacupa solfa, rimbomba senzarequie negli animi chehanno veramente cercatole dimensioni divine. «Ilprimo compito dell’uomo— scrive Le Saux — è rientrareall’interno e incontrarese stesso. Chi non ha incontratose stesso come potràincontrare Dio? Non siincontra il Sé indipendentementeda Dio. Non si incontraDio indipendentementedal Sé».Nella parte su Eckhart,Vannini offre preziosi rimandia Friedrich Nietzsche,filosofo «non certosospetto di simpatie cristianee tanto meno agostiniane»:i due, a distanza dimezzo millennio, convengono«sulla necessità di liberarsianche della verità,ovvero del preteso possessodi essa». Mirabili le osservazionisul «distacco».In tal caso Vannini parte daPlotino con il suo invitoche si perde negli orizzontipiù luminosi: «Afelepànta», ovvero «distaccatida tutto»; è questa l’«essenzadelle religioni spirituali»,brahmanesimo, buddhismo,cristianesimo.Eckhardt lascia proprio nellesue Istruzioni spiritualiparole che chiudono il sensodi questi nostri semplicicenni: «Vigila dunque sudi te, e, non appena trovite stesso, rinuncia a te stesso;questa è la cosa miglioreche tu possa fare».Il libro di Vannini reca riflessioniche non lascianoindifferenti e crea un abbracciotra Oriente e Occidente,quasi desideri evocareil sogno di Plotino. L’anticofilosofo, maestro dellamistica classica, seguì —narra Porfirio — la spedizionedi Gordiano contro ipersiani cercando di conoscerela loro filosofia equella «che predominavatra gli indiani», ma non riuscì.In queste pagine l’autorelo fa amare, giacché coluiche chiedeva di far «risalire»il divino che è innoi al divino che è nell’universodiventa l’ospite fissodelle meditazioni più alte.Un passo delle Upanishadci aiuta a chiudere i diversipercorsi: «Chi venera unadivinità considerando cheessa sia altra da sé: "Altri èil Dio, e altri sono io", costuinon sa. Per gli dei egliè come una bestia».© RIPRODUZIONE RISERVATAInumeri inanellati nel 2012 dal NationalTrust (definizione completa «NationalTrust for places of historic interestor natural beauty» di Inghilterra,Galles e Irlanda del Nord) parlano da soli:quattro milioni di membri-donatori; oltretrecento beni artistici e naturali tutelati(la prima acquisizione nel 1896, la ClergyHouse di Alfriston, nell’East Sussex);19 milioni di visitatori; 62.000 volontari attivie 435,6 milioni di sterline di incassi.Anche per questo Dame Fiona Reynolds,che del National Trust è stata Direttore generaledal 2001 fino allo scorso novembree che ha guidato il «grande boom» dell’associazione,sorride soddisfatta a chi lechiede se questa esperienza potrebbe essereesportabile in Italia: «Certo — assicuranel suo inglese perfetto —. È già successoin Francia, in India, in Canada, inAustralia e in una cinquantina di altri Paesi.L’importante è adattarla a una realtà cosìdiversa, e sicuramente più ricca, complessa,articolata come quella italiana».Il Fai (il Fondo ambiente italiano) dasempre guarda con passione, e forse conun po’ d’invidia, al modello del NationalTrust, concepito nel 1884 da un’idea diOctavia Hill, fondazione ufficiale nel1895, primo biglietto staccato l’anno successivoper 10 sterline. Soprattutto al suomodo di essere riuscito a superare il «solco»che nel nostro Paese sembra dividerepubblico e privato in materia di conservazionedei beni artistici. Da qui l’idea di accogliereDame Reynolds a Milano, nellasede della Cavallerizza Radetzky, per unaserie di seminari.Giuridicamentedefinita un «charitytrust», il NationalTrust è un’associazioneprivata acarattere volontario,senza scopo dilucro, «da sempreindipendente dallapolitica — comespiega non senzaorgoglio al «Corriere»—, lontana dallaburocrazia, mache può contare su una rete di sezionisparse sul territorio e che nascono dalcoinvolgimento diretto della gente». Siache si trattasse di Wakehurst Place Garden,di Waddesdon Manor, dell’Abbaziadi Fountains, di Belton House o del pontedi corda di Carrick-a-Rede. Perché, è unaltro dei punti fermi dei progetti del NationalTrust, «il nostro impegno è da semprequello di sorvegliare edifici storici,giardini, colline, spiagge, foreste, fattorie,brughiere, isole, castelli, riserve naturali,villaggi ma anche pubs».Secondo Dame Reynolds il modello NationalTrust potrebbe così essere trasferito,sia pure «con qualche aggiustamentonecessario», anche in Italia. Giusta dunquel’idea del Fai di guardare all’associazionebritannica come un modello virtuosoma per il presidente del Fai Andrea Carandini,«per funzionare alla perfezioneL’associazioneLa StoriaIl National Trust viene fondatoufficialmente nel 1895. L’ideaoriginaria risale però al 1884quando l’inglese Octavia Hillchiese aiuto per salvare dalladistruzione il giardino di SayesCourt a Londra. Il primo edificioacquisito è stato, nel 1896, laClergy House di Alfriston, EastSussex. Sopra: Fiona Reynolds,direttore generale del NationalTrust dal 2001 al 2012(foto di Fabrizio Villa)Le cifreOltre 300 beni tutelati; 4 milionidi membri-donatori; 62.000volontari; 19 milioni di visitatorinel 2012; 435,9 milionidi sterline di incassiin Italia sarebbe necessario trovare il giustoequilibrio tra Stato, sovrintendenze eprivati» (secondo Carandini «parlare conFiona è stato in qualche modo come parlarecon il presidente del Fai del futuro»). Ese Reynolds ha saputo trovare la via giusta,Marco Magnifico (vice presidente esecutivodell’associazione) si augura «di poterfare presto anche noi lo stesso, magarinel giro di tre-cinque anni».Attualmente il Fai può contare su 100mila membri donatori, 49 beni tutelati,450 mila visitatori, settemila volontari e22,4 milioni di euro di incassi. Tra le acquisizionipiù recenti: la batteria militareTalmone a Punta San Diego (Olbia Tempio),il bosco di San Francesco a Assisi, laVilla dei Vescovi a Luvigliano (Padova) el’Abbazia di Santa Maria di Cerrate nel Salentoper cui è stata avviata una campagnadi donazioni (www.fondoambiente.it).Tra i prossimi appuntamenti, invece,l’inaugurazione (venerdì) del «SentieroTirinzoni» a Talamona, sulle alpi diSondrio, la Faimarathon (il 13 ottobre, incollaborazione con il Gioco del Lotto) e lagrande mostra da tenersi tra ottobre e novembre,in collaborazione con il Lacma diLos Angeles, di James Turrell e RobertIrwin a Villa Panza a Varese.Come ha fatto Fiona Reynolds a trovarela giusta strada? «Quando sono arrivata— ammette — ho trovato un’associazionefrancamente polverosa e, diciamo laverità, assai noiosa. Ho pensato che la cosamigliore fosse innanzitutto aprirsi ancoradi più alla gente, a tutte le categoriedi persone, alle famiglie intere, bambinicompresi. Per farlo bisognava rendereogni visita un’esperienza piacevole. Perchése un visitatore esce da una delle nostreproprietà soddisfatto e rilassato, magariperché i nostri volontari erano sorridentie gli hanno indicato il percorso giustoo perché le didascalie erano chiare, sicuramenteavrà voglia di tornarci in futuroe, chissà, anche di fare una donazioneo più semplicemente di diventare nostrivolontari».Se dovesse scegliere un esempio britannicodi come si possa cambiare in meglioun bene artistico-culturale, Fiona Reynoldscita con signorilità l’Ashmolean Museumdi Oxford, «che non rientra nel patrimoniotutelato dal National Trust mache è stato capace in pochi anni di realizzareun miglioramento davvero impressionante».Perché un bel quadro o unaEsempio virtuosoCarandini: «Ma perché funzioniin Italia occorre trovareil giusto equilibrio tra Stato,sovrintendenze e privati»bella villa da soli, in fondo, non bastano:«ci vogliono anche coinvolgimento, passionee divertimento». Anche se poi, afferma,«quello che conta è essere prima ditutto indipendenti, lontani dalla politica,dalla burocrazia». Ma la crisi non potrebbeabbattersi anche sui futuri progetti ditutela? «Non credo — conclude sorridendoDame Reyolds —. Anzi potrebbe accadereil contrario, perché le difficoltà cihanno costretto a capire quelle che sonole nostre necessità reali. E un bel quadro,una bella villa, un bel giardino, un bel boscosono sicuramente alcune di queste necessità».© RIPRODUZIONE RISERVATAL’INTERNO DELL’ABBAZIA DI SANTA MARIA DI CERRATE (FOTO FRANCESCO FRANCIOSI / FAI)Festivaletteratura Il libro dello storico contestato dal critico Belpoliti. Al centro, la vicenda di un’esecuzione partigianaLuzzatto e il segreto di Levi, polemica a Mantovadalla nostra inviataCRISTINA TAGLIETTIMANTOVA — Alla vigilia dell’8 settembreal Festivaletteratura di Mantova si parladi scrittori e partigiani. A cominciare daBeppe Fenoglio, al centro di una serie diincontri che celebrano i cinquant’anni dellamorte. Se oggi e domani quattro autorisi concentreranno sulla sua scrittura scegliendociascuno un’opera e una parolaper definirla (questa sera Eraldo Affinatiparla di energia, Marcello Fois di sobrietà;domani Paolo Giordano di natura, DavideLongo di gesto), ieri Piero Negri Scaglioneha messo a fuoco la redazione de Il partigianoJohnny come momento chiave percomprendere la personalità dello scrittore.Ma ieri si è tornati a parlare anche dell’esperienzanella Resistenza di un altroscrittore piemontese, Primo Levi, al centrodi Partigia (Mondadori), il libro dello storicoSergio Luzzatto che prima dell’estate haPartigiani in piazza Duomo a Bresciasuscitato un acceso dibattito sulle pagineculturali, riproponendo le contrapposizionitra destra e sinistra. Contrapposizioni acui lo stesso Luzzatto aderisce quando diceche la sua sconfitta è stata vedere che «Partigiaè stato accolto dai fascisti come un libropieno di meriti e dagli antifascisti comeun libro pieno di peccati. Il che è unparadosso perché io sono più vicino ai secondi».Luzzatto ha paragonato il nuovo libroa quello (molto critico) su Padre Pio:«Partigia è scritto con buone intenzioni,come l’altro. Perché allora da una parte,dalle stesse persone, ci sono stati elogi equi anatemi?».Ieri si è tornati sul tema con Marco Belpoliti,studioso di Primo Levi, che da subitoha dichiarato di essere critico con l'operadi Luzzatto. Partigia ruota intorno al cosiddetto«segreto brutto» (essere stati «costrettidalla nostra coscienza a eseguireuna condanna») cui Primo Levi fa riferimentonel racconto Oro del Sistema periodico.Che sarebbe, secondo Luzzatto, l’esecuzione,nell’autunno del ’43, di due giovanipartigiani da parte di alcuni compagni,tra cui lo stesso Levi. «Un libro che la strutturanarrativa, da romanzo, rende ambivalente,se non ambiguo, dal punto di vistadella ricerca storica» dice Belpoliti. Il criticosi addentra in una puntuale analisi filologica,attraverso le opere di Levi, per sostenereche non ci sono le basi per inserire,come fa Luzzatto, un brano di Se questo èun uomo o la poesia Partigia, o una letterascoperta dall’autore, nel recinto del «segretobrutto». Non ci sono elementi, secondoBelpoliti, per dire se Levi partecipò o no all’esecuzione.«Perché allora coinvolgerlo?— si è chiesto il critico — perché Levi è unmito. Ma questo è un libro a metà, che siferma sulla soglia».Luzzatto non segue Belpoliti sul terrenofilologico («Tra poco c’è Grossman e vogliolasciare al pubblico la possibilità di andarea sentirlo») ma spiega che Partigia volevaraccontare tutta (o quasi) Resistenza.«Che sia stato ridotto solo al "segreto brutto"è deludente, ma forse è giusto perchéquesto è il cuore di tenebra del libro. La veritàè che prima di me nessuno si è sprecatoad andare a cercare negli archivi, nessunoha riletto l’opera di Levi alla luce di quellafrase del Sistema periodico».La verità, secondo Luzzatto, è che una figuracome quella di Levi non guadagna dall’esseremitizzata. «Il segreto brutto è laspia della zona grigia dentro la Resistenza— dice lo storico —. Levi, che non ha maismesso di approfondire il tema della deportazione,non ha mai voluto dire di piùsulla Resistenza, perché farlo, soprattuttonegli anni in cui i fascisti mettevano lebombe, erano incistati nel cuore dello stato,era troppo scabroso».Partigia inizia con l’immagine dell’autorebambino a cui la madre legge le Letteredei condannati a morte della Resistenzaitaliana. «Vorrei regalarlo ai miei figli —conclude Luzzatto — ma solo quando saremopronti a guardare questa storia fino infondo e tutta la verità verrà fuori».© RIPRODUZIONE RISERVATA