38Sabato 7 Settembre 2013 Corriere della SeraModa I protagonistiQuelli chesperimentanoè unacittà segreta,di cortili, digiardini. La«Milanoscopri solocamminando, curiosando nei portoni.Se dovessi curare un libro su Milanolo dedicherei proprio ai portonidei palazzi, ai loro ingressi. Mi piacela Storia ma anche la Milano del Novecento,il Tribunale per esempio, quelmodo molto milanese in cui si integracon i palazzi circostanti. Milano èun mix di architetture diverse, la testimonianzadel passare del tempo chediventa armonia nel contrasto delleproporzioni. Vengo qui cinque o seivolte all’anno, e ogni passeggiata mifa scoprire qualcosa di nuovo. E’ unacittà capace di abbracciare il nuovo: ilPirellone che fu rivoluzionario ancoraoggi mi piace moltissimo, l’ho sceltoper un evento, la vista e la luce del31esimo piano. I nuovi grattacieli?Ora ci fanno effetto, ma si armonizzerannocon il paesaggio, ne diventerannoparte».Parola dell’architetto della moda,Tomas Maier, direttore creativo diBottega Veneta: tedesco che vive aPalm Beach e crea dal 2001 gli accessorie gli abiti del marchio «made inVeneto» con quartier generale a Milanoe proprietà francese (Kering). «Unmarchio globale proprio perché italiano,le radici sono qui», spiega. E perquesto Maier ha scelto Milano perInaugurazioni Apre la prima maison del marchio. «Milano è una città capace di abbracciare le novit໫Quei negozi pieni di borseche mi fanno scappare via»Tomas Maier, lo stilista-architetto di Bottega Veneta:«Odio l’aggressività dello shopping, serve discrezione»aprire la prima Maison di Bottega Veneta.Verrà inaugurata durante le imminentisfilate e ospiterà in mille metriquadrati il prêt-à-porter femminilee maschile, le borse, la piccola pelletteria,la valigeria, le scarpe, gli occhiali,i profumi, gli orologi, i gioielli,l’arredamento: «La nostra identità:tutto quello che siamo».Maier, figlio di un architetto (ma alPolitecnico preferì la Chambre Syndicalede la Haute Couture parigina) hascelto dopo lunghe ricerche via Sant’Andrea15, un palazzo settecentescoche ha voluto restaurare: «Le grandifinestre, perché Milano è una citta diluce, anche nei giorni grigi. La lucedel sud delle Alpi è cosi diversa daquella del Nord Europa ma i milanesinon sempre se ne ricordano... I soffittierano stati abbassati, erano state fattetante aggiunte: ora rappresenta Milano.La sua bellezza, la discrezione».Non un negozio-galleria d’arte ma«un luogo dove non ci sia nulla diquel che non mi piace dello shopping:l’aggressività». Aggressivitàche per Maier non è solo quella «degliscaffali che crollano sotto il pesodelle borse esposte, una cosa che mifa subito scappare». Ma anche quellaarchitettonica, «i palazzi snaturatiper piegarli alle esigenze del marchioo presunte tali, quelle facciate rifatte.Sfregiate...».Alla Maison milanese (espansioneStileA sinistra TomasMaier, 55 anni.Qui sopra un«rendering»della nuovaMaison milanese,in viaSant’Andrea.Accanto, un abitodella collezionenecessaria visto lo sviluppo delmarchio, che Maier prese nel2001 prossimo alla chiusurae ha appena archiviatoil primosemestre 2013con ricavi a 465,6milioni di euro, increscita del 12,9%)ne seguiranno altre:Parigi, New York,l’Asia. «Sempre scegliendouna sede inmodo organico», perchéil lusso stile BottegaVeneta secondoMaier — che comemolti timidi amasorprendere l’interlocutore— «è unoshopping comequello che si faper i letti. Nessunoentra nel primonegozio ecompra d’impulsouna cosa impegnativacome illetto di casa —o una borsa importante.Primane vededue o tre, dinegozi, poi decide.Nella nostraMaison a me piacepensare che le clienti possanoentrare, curiosare nelle sale,uscire. Nessuna ansia. Quivedranno chi siamo. La nostraqualità. Andranno negli altri negozi.Poi però, per il loro acquisto,mi piace pensare che tornerannoda noi».Matteo Persivale© RIPRODUZIONE RISERVATATessuti Reda: dalla Nuova Zelanda a Milano UnicaLa super pecora Shreke le sue sorelleLe nuove «lane tecniche»performance ci può dare?». Cifosse una top ten delle domande«Checon cui i clienti di Milano Unica— al via martedì — assillano i produttori ditessuti, questa svetterebbe, dando parecchiallunghi ai quesiti super tecnici che andavanoper la maggiore solo qualche anno fa:«Che performance ci può dare il suo tessuto?».«Sarà una stagione interessante». EttoreBotto Poala, amministratore delegato di Reda(store.reda.it, sito con e-commerce), lanificiodi Valle Mosso, nel Biellese, 70 milioniil fatturato 2012, ha già le risposte pronte:sulla performance dei tessuti maschili l’aziendasi è messa in gioco da tempo. La nuovagenerazione di compratori, abbandonati idettagli maniacali, si concentra su ciò che iltessuto può dare/dire di nuovo al consumatore.E la performance, racconta Botto Poala, èla nuova parola chiave in grado di far scattarel’acquisto. Il tessuto stretch, dunque,«ma più naturale rispetto all’omologofemminile: un certo tipo di lana, di lavorazione,di finissaggio si traduce ingiacche destrutturate, estremamentecomode da portare». Ma non solo: Redapresenterà un nuovo tessuto che,mantenendo un peso «estivo», è ingrado di aumentare di 2/3 gradi la temperaturacorporea, «pensato per tuttiquei fumatori che escono dagli ufficiper accendersi una sigaretta, ne ho vistitanti a New York». Leggero, ma più caldo.È solo l’ultima innovazione del lanificiobiellese, strutturato proprio per «inventare»ogni stagione qualcosa con cui scalare il mercato.Un’operazione resa possibile da unaparticolarità della Reda, una specie di ossessione:controllare l’intera filiera, dal foraggiodelle pecore che danno la lana usata in produzionefino alla realizzazione dei macchinaricon cui creare i nuovitessuti.Un’azienda che ha radici solide nel madein Italy, ma che si allunga come Mr Fantastic,l’uomo di gomma dei Fantastici 4, fino allaNuova Zelanda, fattoria di Otamapataio (lamaggiore delle tre di proprietà della famiglia),valle di Waitaki, isola del sud, proprioquella dove venne ritrovata l’icona dei Kiwi,la pecora Shrek, per sette anni data per dispersasui monti e riapparsa all’improvvisocosì eccessivamente ricoperta di lana non tosatache il muso era diventato un puntinoperso dentro quell’incredibile ammasso lano-
Corriere della Sera Sabato 7 Settembre 201339I mitiche duranoTorino Nato francese, ora è italianissimo. «Fa sentire bene, perché non costa una follia»L’uomo che salta sul k-wayMarco Boglione e il rilanciodella giacca da pioggia«Quante ne ho distrutteprima di trovare quella giusta»Dopo la Jeep, la Nutella, loScotch, i Rollerblade o ilRimmel, anche il K-Way. Sarebbestato folle «reiventarlo»:quello era è quello saràper sempre. Ma come in «Goodbye, Lenin»risvegliarsi oggi dopo quarant’annifuori dai cancelli di una scuola qualsiasiverrebbe da pensare che «nulla è cambiato»per via di quelle giacche a vento coloratecon quella strana zip. «La RollsRoyce delle zip», ridacchia Marco Boglione,imprenditore torinese dalle mille risorsee altrettante storie, al pensiero: pertre anni, tre, ha calpestato collezioni ecollezioni di K-Way («ma letteralmente!Le gettavo per terra e dalla rabbia ci saltavosopra!») prima di decidersi di ritornaresul mercato. E ora, a cinque anni dalsuo, imprescindibile, «okkey» ecco il ritorno.Dubbi, conoscendo il personaggio? Assolutamente:«Mi sono messo lì (era il2007 ndr) dopo le sfuriate e ho definitoil concetto, in cinque o sei parole chiave.Primo: classico, perché k-way non puòessere reinventato, c’è persino sul vocabolarioe ogni giorno un milione di personeal mondo entra in un negozio echiede un k-way. Poi: contemporaneo eper questo tecnologico (la materia oggidata gli intramontabili). Funzionale: sfidochiunque a trovare un k-way che nonserva a qualcosa. Colore, in un mondotroppo scuro. Intelligente perché fa sentirebene il consumatore che non spendeuna follia».Così sulla rinascita del «capo più raccomandatonelle gite scolastiche» scherzaancora. «D’altronde è nato così», aggiungeBoglione. A seguire il «c’era unavolta». Fu tal Leon Claude Duhamel, figliodi un sarto parigino, che s’intestardì:«Ma come? L’uomo va sullo spazio(era il 1965 ndr) ma per la pioggia ha inventatosolo l’ombrello, per altro ingombrante».Così l’uomo inventò la giaccaCas d’eaux cioè «in caso di» (vento, poggia,freddo) e quando fu il momento dicommercializzarla pensò che fosse meglioamericanizzare il nome e Cas d’eaudivenne k-way. Fu un successo pazzesco,fra il 1965 e il 1970 ne furono vendutimilioni di pezzi. Poi accadde che la fabbricabruciò e il marchio fu venduto esparì del tutto nel 2000.Nel 2005 Boglioni lo acquista insiemea Superga per la sua scuderia alla BasicNet, azienda modello web integrata dacinquecento persone che ridà vita a marchicon valore.Una storia da «c’era una volta» ancheImprenditoreMarcoBoglione,57 anni,presidentedi BasicNetSotto, alcuninuovi modellidi K-way,anche inpellicciasintetica. Frale fan SarahJessica Parkerquesta. Con un Boglioni diciottenne cheincontrò un imprenditore del tessile,Maurizio Vitali, che lo coinvolse nel «Maglificioe Calzificio Torinese dal 1919».Calze che fecero posto ai jeans Jesus(«C’erano Maurizio e Jean Charles de Castelbaljace Oliviero Toscani ed EmanuelePirella, no dico! Era il boom del casual,significava libertà. Cercavano unnome, erano a a New York e videro incartellone Jesus Chris Superstar, "perchéno?" dissero, è un nome che conosconotutti»). Boglioni a cogliere. Anche dopoquando la Robe di Kappa inventò losponsor: «Andammo da Boniperti! Ciguardò stupito ma accettò. Poi fu la voltadella nazionale Usa per Los Angeles. Ildream team: Carl Lewis ed Eddy Moses.Firmammo il contratto su di un tovagliolo».E poi? «Marco si ammalò, ma primadi morire mi disse che io ero un imprenditore,non un manager. Mi ordinò diandarmene. Lo feci: fondai con la miaprima moglie la Moto Taxi e la FootballSport Merchandising, vendevo let-shirt delle squadre su internet. Perchéin verità è il web la mia storia».Un’altra? «Non esiste carta da noi,solo il digitale e tutto di conseguenza.Anche la mia raccolta di Apple,dal numero uno con tanto di certificatofirmato da Steve Jobs».Giri immensi per tornare al«Maglificio&Calzificio»: «Lo acquistai,sì, con tutta la sua storia e lameravigliosa sede che da su unapiazza che ora porta il nome diMaurizio». Perché le belle storienon di dimenticano, mai.Paola Pollo© RIPRODUZIONE RISERVATAIdatiAllevamentoLe pecore merinodi Reda sonoallevate in NuovaZelanda. Con ilvello di una sirealizzano tre abitimaschili. Perpassare dal vello altessuto occorrono3 mesi di lavoroLe fasiFrancesco BottoPoala mostra lalana appenatosata. Poi, con uncollaboratore,controlla la qualitàdel vello dellepecore. A sinistra,Shrek com’eraal momento delritrovamentoso. Lì i Reda allevano le pecore merino chedanno la lana con cui fare esperimenti di performance.«Otamapataio vent’anni fa aveva6 mila pecore, ora gli animali sono raddoppiatie facciamo una lana del tutto diversa»,racconta Francesco Botto Poala, direttore generaledel lanificio, l’uomo che segue più davicino le proprietà dall’altra parte del mondo.Ma le pecore non sono tutte uguali? Sbagliato.«Gli allevatori in Argentina sono ricchiproprietari terrieri che vivono a BuenosAires, qui in Nuova Zelanda invece vivonoin fattoria, a contatto con tutti i problemiche dà la lavorazione della lana: questo fa ladifferenza». Anche le lane da 18 micron nonsono tutte uguali: «Se le pecore vengono nutritetroppo, lo stress da cibo ferma la crescitadella lana o la rallenta, così il filo diventafragile e la resistenza è un parametro importante:puoi fare i 18 micron, ma se poi sirompe...». Trentamila le pecore delle tre fattorieReda, 120 mila chili la lana che scendedalla tosatura.La lana è il 3% delle fibre utilizzate a livellomondiale e la lana fine è il 5% dell’interaproduzione di lana: stiamo parlando quindidi una fetta piccolissima e molto ricercata.«Per questo, per esempio, non viviamo i produttoricinesi di tessuti come concorrenti —riprende Francesco Botto Poala —: il costototale del loro tessuto è pari al nostro costodella sola materia prima».La Cina, dunque: quanto pesa nei contidel settore tessile? «La Cina è importante,ma è pur sempre il 15% del nostro fatturato,fatto quasi tutto all’estero, con Germania eGiappone in testa».Rewoolution è l’altra faccia dell’innovazioneReda: una linea di abbigliamento tecnicoche sfrutta la capacità di innovare dell’azienda.A Valle Mosso è stata impiantata una lineadi produzione in miniatura dedicata asperimentare subito ogni intuizione: «Siamodiventati veloci, in due settimane riusciamoa testare qualunque cosa». Dopo la polo inpiquet e il pail di lana, il nuovo prodottoRewoolution è la rete, tessuto adatto alle prestazionisportive.«Abbiamo analizzato con attenzione i vantaggie gli svantaggi e alla fine abbiamo deciso:se vogliamo continuare a servire i 600clienti che abbiamo, dobbiamo restare in Italia.C’è un clima speciale in azienda ed è quelloche fa la differenza».Daniela Monti© RIPRODUZIONE RISERVATAShourouk per SwarovskiL’India di cristallodella designer giramondoBagliori arcobaleno sulla via della seta: dal tremolio dellaLaguna, riflesso sui marmi e le altane della Serenissima, allecalde atmosfere dell’India. Esplora la terra dei maharaja lacapsule collection firmata da Shourouk per la nuova lineaautunno-inverno «Secret Treasures» di Swarovski. Una tappa delviaggio a Oriente che Nathalie Colin, direttore creativo delmarchio boemo fondato nel 1895, ha voluto affidare all’estrosadesigner di gioielli. Complice la sua familiarità con il cristallo:«Materiale camaleontico e giocoso, dotato di una brillantezzaunica», come lo definisce la creativa francese con l’animo daglobe-trotter. Ipnotizzata da quel caleidoscopio luccicante: «Lepietre mi hanno sempre affascinato — racconta Shourouk —. Dabambina, mi piaceva giocare con i bracciali di diamanti di mianonna. Lei e mia madre tenevano i gioielli in una scatola, comeun piccolo tesoro. Mi divertivo a osservarle quando liindossavano nelle occasioni speciali». Da adolescente siappassiona al designafricano e Masai,all’accostamento di coloriforti, ma la malia della luce,delle sue iridescenze,rimane sotto traccia. Edecco che, creativa disuccesso, riscopre le infinitepotenzialità del cristallo,impreziosite dalla tecnicadel ricamo. Dai monili agliaccessori, sperimentaintrecci originali:contaminazioni con il Pvc ole borse con tracollegioiello. A ispirarla sonol’opulenza decorativa e lenuance vivaci dell’India: «DaBaglioriShourouke unasuacreazioneperSwarovskipiccola — ricorda — nei film di Bollywood ho scoperto i colori, laricchezza dei tessuti, le strabilianti coreografie: quando sonocresciuta, mi sono innamorata di questo Paese pieno di contrasti,del modo particolare in cui la storia si fonde con il kitsch». Le sueicone estetiche, però, provengono da altre latitudini: dopo avercreato gioielli per il jet-set internazionale (tra le altre: SarahJessica Parker, Beth Ditto, Lady Gaga e la first lady MichelleObama), Shourouk confessa: «Mi piacerebbe disegnare per AnnaDello Russo (consulente creativa di Vogue Giappone), donna conun senso della moda davvero unico». L’altra musa è MarisaBerenson: «La sua eleganza e la sua freschezza mi hannoconquistato. La sua naturalezza sulle copertine dei magazine anniSettanta si faceva notare rispetto al gusto kitsch del periodo».Pezzo chiave della collezione, la collana ricamata con cristalli neitoni del grigio, del nero e del marrone.Maria Egizia Fiaschetti© RIPRODUZIONE RISERVATA