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FuoriAsse #21

Officina della cultura

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una giungla selvaggia, incontrollabile, infestata<br />

da potenze che sovrastano l’uomo.<br />

Siamo ormai pienamente dentro l’atmosfera<br />

paurosa che Antonioni ha ricreato nel<br />

film Il deserto rosso. L’uomo si aggira<br />

con incertezza e con paura fra le sue stesse<br />

creature 10 .<br />

Una definizione che va a rompere definitivamente<br />

il legame che l’individuo aveva<br />

intessuto con il suo habitat, uno<br />

spazio, quello del cinema italiano che<br />

anche se totalmente distrutto, come<br />

quello ritratto dal cinema neorealista,<br />

celava pur sempre ancora un mito, una<br />

statura tragica, alle spalle. L’individuo<br />

del cinema neorealista, a differenza di<br />

quello antonioniano, aveva una carica<br />

mitica dettata da una volontà di recupero,<br />

di lotta continua per far risorgere il<br />

sole sulle rovine belliche dell’Italia. Invece<br />

con Antonioni questo non accade,<br />

l’uomo è defraudato della sua identità,<br />

non c’è alcuna lotta ed il paesaggio<br />

industriale domina e conquista senza<br />

speranza alcuna i protagonisti, per lo<br />

più piccoli borghesi. Nel cinema di Antonioni<br />

domina il vuoto, la vacuità e i suoi<br />

personaggi sono ammorbati e nauseati.<br />

Il regista ferrarese può considerarsi un<br />

vero e proprio anticipatore della concezione<br />

postmoderna dell’esistenza. Per<br />

dirla con le parole di Sandro Bernardi:<br />

per Antonioni la borghesia diventa emblema<br />

del cosiddetto homo oeconomicus, o<br />

anche homo sapiens, quello che secondo<br />

Rosario Assunto, ha distrutto il paesaggio e<br />

sta distruggendo il mondo, chiuso com’è<br />

nel suo spazio-tempo puramente quantitativo.<br />

Abituato al pieno delle giornate, delle<br />

strade, delle stanza, a rapporti misurati in<br />

tempo lavorativo, in denaro, com’è appunto<br />

il caso delle nostre «amiche» (da il film Le<br />

amiche, 1955, ndr) e dei loro amici, l’uomo<br />

industriale, l’abitante di megalopoli, come<br />

©Brett Walker<br />

lo chiamerebbe Assunto, non può che provare<br />

una grande insofferenza, noia e fastidio<br />

di fronte al residuo dell’infinito che il<br />

mare rappresenta in questa scena 11 .<br />

L’individuo antonioniano non prova<br />

nessun piacere e gioia nel rapportarsi<br />

allo scenario naturale; i luoghi dominati<br />

da una natura incontaminata non sono<br />

più locus amoenus o luoghi predisposti<br />

per la riflessione ma, anzi, sono paesaggi<br />

che recano a chi li contempla un<br />

senso di noia, di nausea sartriana che<br />

mette in uno stato continuo di disagio<br />

il personaggio “contemplatore”, oramai<br />

assuefatto dai suoi nuovi dei; i grattacieli<br />

industriali, che non lasciano spazio<br />

all’uomo di servire altri padroni. E, spaziando<br />

sull’importanza dei valori, quali<br />

quello del sacro e del mito, che nella<br />

società arcaica e rurale erano ben<br />

presenti, ma che con quella cittadina<br />

borghese sono sempre più in via<br />

di sparizione, proprio per l’imporsi<br />

dell’industrializzazione e del meccanicismo,<br />

in questo Antonioni richiama<br />

molto Pavese:<br />

10 Ivi, p. 14.<br />

11 Ivi, p. 144.<br />

FUOR ASSE<br />

131 Cinema

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