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FuoriAsse #21

Officina della cultura

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che hanno dilatato il loro amore al<br />

mondo intero e a costo della loro stessa<br />

vita. Iervolino ci fa intravedere la storia<br />

di questi due uomini. Tommy e John<br />

sono espressione della consapolezza,<br />

dello stato reale delle cose. È Harry Edwards,<br />

sociologo, pioniere della Sport<br />

Sociology e ispiratore del Progetto olimpico<br />

sui diritti umani, la figura più incisiva:<br />

è grazie a lui che i due atleti ebbero il<br />

coraggio di agire utilizzando «il linguaggio<br />

più rivoluzionario che avevano a disposizione:<br />

quello del corpo». Lo stesso<br />

Harry Edwards che Lorenzo Iervolino<br />

ha incontrato; lo stesso Professore Edwards,<br />

che trascorreva ore a parlare con<br />

i due atleti durante e dopo le lezioni<br />

tenute nella San Josè State University,<br />

il centro della contestazione, il luogo<br />

dove i due atleti sono giunti, partendo<br />

da posti diametralmente opposti – uno è<br />

un figlio di Harlem, l’altro un country<br />

boy texano –, e da esperienze diverse.<br />

I luoghi, nel romanzo, sono compagni<br />

di viaggio che non rinunciano all’ironia<br />

della contraddizione.<br />

In effetti, gli Stati Uniti d’America delimitano<br />

una porzione vasta ed eterogenea<br />

di terra.<br />

I luoghi sono ombra.<br />

L’ombra della vendetta e dell’oblio attendeva<br />

i nostri eroi al ritorno dal Messico.<br />

Nessuna gratitudine, nessuna offerta di<br />

lavoro, pedinamenti e continue interferenze<br />

nella loro vita e in quella dei loro<br />

cari. L’urto dell’oppressione. Passano<br />

gli anni e bisogna fare i conti con il salto<br />

generazionale: i giovani ignorano cosa<br />

sia successo in Messico, nel 1968,<br />

«vedono la foto, ma non conoscono<br />

la storia». «Così, proprio quando i due<br />

uomini hanno ormai superato i sessant’anni<br />

e imparato a convivere con un<br />

dignitoso anonimato», trentacinque anni<br />

dopo, ecco irrompere sulla scena<br />

Alfonso De Alba, messicano nato il 16<br />

ottobre 1968, lo stesso giorno della loro<br />

premiazione, e che in Città del Messico<br />

aveva già visto sulla porta di un chiosco,<br />

in lamiera, la foto gigante del podio e ne<br />

restò folgorato.<br />

Alfonso riesce, non senza difficoltà, a<br />

togliere dalla palude dell’indifferenza<br />

e all’oblio i due atleti riportandoli nel<br />

luogo al quale appartengono. Ed ecco<br />

che, grazie alla realizzazione della statua<br />

a loro dedicata, la canzone della<br />

libertà non è più una fiammata che<br />

nasce e muore in un giorno, ma è qualcosa<br />

che va al di là dell’attuale generazione.<br />

Una scultura in cui la presenza è<br />

contro la sparizione e l’assenza diventa<br />

presenza.<br />

L’assenza di Peter Norman, l’australiano<br />

che con il suo gesto di solidarietà sul<br />

podio ha vissuto lo stesso ostracismo di<br />

Smith e Carlos, significa che quel posto<br />

è destinato ai prossimi Peter Norman.<br />

I luoghi sono destino.<br />

FUOR ASSE 162

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