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©Daidō Moriyama<br />
protagonisti dei romanzi di Roth, se pur<br />
il debito è qui contratto su un piano<br />
affettivo. Uriah, l’ex marito di Noga, non<br />
riesce ad uscire dalla spirale di un forte<br />
rancore verso la donna che non ha voluto<br />
dargli un figlio e che, come una comparsa,<br />
sente sempre sfuggire alla propria<br />
volontà di assoggettamento. Sarà l’amore<br />
“disperato” di Uriah a rilanciare il debito,<br />
riattivando il senso di colpa di Noga,<br />
anche a distanza di anni dopo il divorzio.<br />
La richiesta di risarcimento di Uriah implica<br />
tuttavia un investimento delle proprie<br />
risorse, in un gioco sempre al rialzo,<br />
che si traduce per Noga in possibilità,<br />
e volontà, a sua volta di perseguitare<br />
Uriah, rendendolo schiavo di una aspettativa.<br />
Del resto, Uriah, sottoliniamo noi,<br />
in modo speculare continua ad anticipare<br />
Noga in una figura idealizzata, sottomessa<br />
al proprio desiderio, che nulla<br />
ha a che fare con l’imprevedibilità dell’evento,<br />
di un nuovo incontro.<br />
Sono tutti personaggi invischiati in<br />
pericolose dinamiche di indebitamento,<br />
incapaci di vedere il mondo anche con gli<br />
occhi dell’altro, dunque non in grado di<br />
indirizzare diversamente un pensiero; e<br />
ci conducono, prefigurandolo, al protagonista<br />
di Cosmopolis del romanzo di<br />
De Lillo. Eric Packer, come ben individua<br />
Mazzarella, è infatti «l’archetipo» e «l’ultima<br />
incarnazione ipotizzabile di una<br />
pulsione di morte regolata dallo spreco<br />
di ogni investimento» che trova nell’ambiente<br />
finanziario l’ideale estensione del<br />
proprio stato pulsionale. L’autoreferenzialità<br />
è qui totale, l’oggetto del godimento<br />
cambia continuamente in una frenesia<br />
schizofrenica che non trova appagamento<br />
alcuno. Alimentando continuamente<br />
quello che Lacan definisce un «godimento<br />
smarrito», analizza Mazzarella,<br />
questo personaggio rinvia il debito con se<br />
stesso all’infinito: una responsabilità del -<br />
l’agire che «il tripudio nichilistico» non<br />
solo non può colmare, ma continuerà<br />
a sottolineare per assenza. Personaggio<br />
che si autopriva di un destino, giacché si<br />
priva di una vera conoscenza, sarà lui<br />
stesso ad affermare ciò che gli manca:<br />
«Essere consapevole di ciò che mi sta<br />
attorno. Capire la situazione di un’altra<br />
persona, i sentimenti di un’altra persona.<br />
Sapere, insomma, cos’è importante».<br />
Quel vero punto di vista, dicevamo noi,<br />
che presupponendo un uscire da sé, nella<br />
configurazione dell’altro, crea spazio a<br />
una diversità del pensare.<br />
Ma allora quale alternativa a questo<br />
sprofondamento nichilistico?, si chiede<br />
Mazzarella.<br />
La prospettiva che l’autore ci apre,<br />
nel terzo capitolo del suo saggio dal titolo<br />
Le metamorfosi, è un interessante<br />
spazio dell’inatteso dove è possibile tradurre<br />
l’ascolto di un vuoto, vuoto che<br />
emerge dal riconoscimento dell’incolmabile<br />
distanza con gli altri, in un pieno<br />
di «figure», «risonanze», «desideri» in<br />
grado di «tenere testa alla pulsione di<br />
FUOR ASSE<br />
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Il rovescio e il diritto