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non compromessi dal marchio: «tradizione<br />
esaurita». Anzi: l’artista sudafricano<br />
li ha ricodificati e usati come base<br />
della sua coerenza estetica, fino a svelarne<br />
le regole sintattiche interne. Così<br />
l’obsolescenza dei suoi disegni monocromatici<br />
a carboncino, rudi, sfregati<br />
e sfregiati, riscritti con pesanti freghi<br />
neri alla Daumier o Grosz su segni di<br />
cancellature a vista; o i suoi film dalla<br />
preistorica animazione (anzi, sotto animazione)<br />
e, infine, gli arazzi dalla lavorazione<br />
mauale, atavica e lenta, creano<br />
crepe fuori dalla globalità dominante<br />
dell’ “opera d’arte nell’epoca della sua<br />
riproducibilità digitale” per richiamare<br />
il titolo di un testo di Walter Benjamin<br />
cardine del Novecento, dalla vitalità<br />
ancora sorprendente.<br />
Le creazioni fuori moda, desuete, per<br />
usare un termine caro a Leopardi, sono<br />
per Kentridge palinsesto di grandi speranze<br />
poi affondate e tradite da denunciare<br />
in una amara presa di coscienza.<br />
Ma, mirando i suoi arazzi, “non so se<br />
il riso o la pietà prevalga” (La Ginestra<br />
– Leopardi). L’ironia si insinua nelle<br />
opere di Kentridge, strumento potentissimo,<br />
davanti all’impossibilità di trovare<br />
soluzioni a storie di sopraffazioni, dall’apartheid<br />
sudafricana alle purghe staliniane,<br />
agli orrori odierni. Kentridge<br />
non parla mai in nome dell’arte, ma<br />
della vita, così inestetica, ne mette in<br />
scena la terribilità con il ridicolo, unica<br />
possibilità per svelare l’ordito amarissimo<br />
dell’esistenza. (Si sa che nell’orrore<br />
dei Lager gli ebrei stessi si raccontavano<br />
barzellette antisemite). Per fare questo<br />
ci lascia un palmo di Naso e che Naso!,<br />
grosso come la pera di Père Ubu e più<br />
invadente del macinino sempre in moto<br />
per imbudellare salsicce di Punch and<br />
Judy.<br />
Kentridge dà vita a un mondo abitato<br />
da nasi a cavallo, seduti al caffè,<br />
nasi con gambe, nasi tromboni come<br />
Porter Series: Geographie des Hebreux ou Tableau de la<br />
dispersion des Enfants de Noe, 2005 Tapestry - Width - 250cm<br />
nasi con gambe, nasi tromboni come<br />
condottieri o come teste penzoloni su<br />
corpi di donna, e poi ancora teste di<br />
cavallo come quelle disegnate da Leonardo<br />
o come ronzini donchisciotteschi.<br />
L’artista colloca queste “creature” in<br />
arazzi ricamati a mano, realizzati a<br />
Johannesburg nel laboratorio di Marguerite<br />
Stephens, il cui sodalizio con<br />
Kentridge è ormai trentennale, e sono<br />
nasi articolati in forma di collage su<br />
carte geografiche della Palestina, d’Egitto<br />
o di Napoli. Inoltre, l’artista realizza<br />
nasi in metallo a guisa di sculture tridimensionali<br />
anamorfiche, o nasi disarticolati<br />
in ombre montati su singoli pezzi<br />
di corpo, riversati in filmati con obsolete<br />
tecniche di animazione passo uno.<br />
L’ossessione per questa appendice corporea<br />
nasce da Il naso di Gogol, un racconto<br />
“assurdo” (ben prima dei tempi),<br />
del 1836, dove con stravolgente vis<br />
comica si narra la vita autonoma di un<br />
naso di successo; un naso che diventa<br />
persino consigliere di stato, mentre il<br />
suo proprietario Kovaliov rimane un povero<br />
travet della burocrazia russa che,<br />
scornacchiato da tutti, invano cerca di<br />
rivendicare la proprietà di quel naso.<br />
Nel racconto tutto ciò che è irreale<br />
è preso alla lettera e portato in modo<br />
realistico ad oltranza in una satira<br />
-<br />
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FUOR ASSE<br />
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Riflessi Metropolitani